Approfondimenti tra fisica e cucina
Dal nome del comune in provincia di Cuneo, un vino rosso piemontese invecchiato e super ricercato: scopriamo storia e tipi di Barbaresco
Terra chiamata “barbarica sylva” e luogo di nascita dell’imperatore romano Publio Elvio Pertinace (Alba 126 – Roma 193, il cui regno fu brevissimo 1/1/193 – 28/3/193), Barbaresco (Barbaresch in piemontese) è un piccolo e grazioso comune della provincia di Cuneo (caratteristico per una torre inconfondibile), molto importante per la storia vitivinicola piemontese, tanto da rientrare nell’area denominata “Paesaggio vitivinicolo di Langhe e Monferrato” inclusa nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità UNESCO, e così rinomato per il vino che vi si produce, da essere stato scelto come denominazione del vino stesso: il famoso Barbaresco DOCG.
Il nome del paesino secondo alcuni risalirebbe alla parola “barbari”: i Romani li chiamavano così perché i suoi abitanti non parlavano correttamente il latino ma lo "balbettavano". Espressione della bravura dei vignaioli e degli enologi piemontesi, questo vino si ottiene dall’uva del vitigno Nebbiolo, il più famoso della regione e suo emblema internazionale. Fino alla fine dell’800 il vino Barbaresco si produceva soltanto di tipo dolce (come avveniva anche per il più blasonato Barolo e come risulta da una bottiglia di Barbaresco del 1870, conservata presso la cascina Drago a San Rocco Senodelvio); fu grazie a Domizio Cavazza (Concordia della Secchia [MO] 1856 – Barbaresco [CN] 1913, agronomo ed enologo, primo direttore della Scuola di Viticoltura ed Enologia di Alba).
Fu proprio lui a dare inizio alla produzione del tipo secco e più alcolico. Fu proprio il Cavazza che, insieme ad altri pochi soci, fondò nel 1894 la prima cantina sociale non solo di Barbaresco, ma di tutto l’Albese, a disposizione della quale pose le spaziose cantine del castello di Barbaresco, acquistati da lui e dalla moglie nel 1886 con i relativi vigneti. I primi risultati furono modesti per la quantità, ma esaltanti per la qualità, tanto che il vino della Cantina Sociale di Barbaresco divenne punto di riferimento per gli altri vini prodotti in zona, per adeguarsi allo standard qualitativo superiore del Barbaresco.
Prima di proseguire con il vino, due parole sul vitigno Nebbiolo ("Nebieul" o "Nebieu" in dialetto), le cui prime notizie sono datate 1300, dalle quali si apprende che il nome deriva da “nebbia”, con riferimento all’abbondantissima pruina che riveste gli acini maturi come se fossero stati immersi per molto tempo in una fitta nebbia; altri studiosi propendono invece per una relazione tra il nome e il tardivo maturare dei grappoli, proprio in un periodo caratterizzato su queste colline da una fitta nebbia autunnale, umidità nella quale avverrebbe la vendemmia; ulteriore ipotesi è quella che ritiene Nebbiolo derivato da nobile per indicare un vino “generoso, gagliardo e dolce” che si ricava, come scriveva nel 1606 Giovan Battista Croce (gioielliere di Carlo Emanuele I di Savoia) in una sua operetta.
Alcuni studiosi ritengono che la zona d’origine del Nebbiolo sia Alba, ma documenti recenti di cui ipotizzano dimostra che di esso si parlava già nel 1200 in quanto coltivato in territori lungo la via Francigena che da Torino portava al Monginevro, attraverso la Valle di Susa. Nel catalogo nazionale di vitigni il Nebbiolo (non di rado si adotta per esso la grafia "Nebiolo" anziché "Nebbiolo") è stato inserito il 25/05/1970, con codice 160; i sinonimi sono veramente tanti, ma i più importanti sono: Spanna (Vercelli e di Novara; da “Spioania” citato da Plinio e coltivato nel ferrarese; parola che deriva da spinus e che indica anche il Prugnolo i cui frutti sono ricoperti da tanta pruina), Chiavennasca (a Sondrio; da “ciu vinasca”, cioè adatta alla trasformazione in vino), Brunenta o Prunenta o Prunent (a Domodossola); rientra nei disciplinari di altre 7 DOCG, 22 DOC, 36 IGT. E’ un vitigno molto sensibile quanto a terreno e clima, che predilige zone elevate, con buona esposizione e suoli non troppo asciutti. La maturazione del Nebbiolo è tardiva in quanto ricade tra la metà e la fine di ottobre.
Il Barbaresco ha ricevuto la DOC nel 1966 e la DOCG nel 1980; il suo disciplinare di produzione ha subito diverse modifiche, l’ultima nel 2015. Per produrre il Barbaresco DOCG si lavora in purezza il Nebbiolo, coltivato nei comuni di Barbaresco, Neive, Treiso e parte della frazione San Rocco Senodelvio nel comune di Alba, tutti in provincia di Cuneo, fascia collinare a sud est di Alba, in prossimità del fiume Tànaro (il secondo fiume per lunghezza del Piemonte dopo il Po, del quale è anche principale affluente di destra). Interessate alla coltivazione sono le sottovarietà del Nebbiolo denominate Michet, Lampia e Rosé, molto adatti al microclima particolare e ai terreni locali.
Si tratta di zone con terreni calcarei e argillosi, con altitudine anche di 300 – 450 m s.l.m. e un microclima particolare che rende più ampio il ciclo vegetativo delle citate sottovarietà, le quali sono le prime a germogliare e le ultime a perdere le foglie, con indubbi riflessi positivi su quantità e qualità dell’uva e, di conseguenza, del buon Barbaresco. Non mancano però i rischi di riflessi anche negativi, in quanto l’ampiezza maggiore del ciclo vegetativo determina l’assoggettamento alle bizzarrie climatiche, specialmente con le tanto temute conseguenze del cambiamento climatico che stiamo vivendo a cui si cerca di porre rimedio senza ancora riuscirci. Il clima in questa zona del Piemonte è normalmente di tipo continentale freddo – temperato, ma la citata ampiezza del ciclo vegetativo delle uve per il Barbaresco espone queste a gelate tardive, piogge intense, nebbie fitte, con risultati negativi per quantità e qualità dell’uva prodotta.
Certo è, però, che i migliori vini Barbaresco si ottengono dalle uve coltivate nelle zone più elevate (massimo 550 m, come da disciplinare di produzione), grazie alle notevoli escursioni termiche giornaliere e stagionali. Il disciplinare prevede una produzione massima di uva di 72 quintali per ettaro (scarto massimo ammessi del 20% in più), che diminuisce se si usa la menzione vigna e quella geografica aggiuntiva, nei quali casi diventa importante anche l’età del vigneto). La resa massima in vino deve essere del 70% e non si devono produrre più di 56 ettolitri di vino per ettaro.
Il Barbaresco DOCG deve subire un invecchiamento di minimo 26 mesi, di cui almeno 9 in botti di rovere o di castagno. Il tenore alcolico minimo è di 12,5°, così come il tipo “Riserva”. Il risultato è un vino secco, dal corpo elegante, ricco di tannino morbidi, di colore rosso granato con riflessi arancione, con un bouquet ricco di sentori di confetture di frutti di bosco, note floreali di viola, note speziate ricche specialmente di vaniglia.
La specifica “Riserva” è attribuita al Barbaresco DOCG invecchiato per minimo 50 mesi, di cui almeno 9 in legno, ottenendo un vino secco, di colore rosso granato con pronunciati riflessi arancione, con bouquet ricco di sentori di cacao, funghi secchi, sottobosco, liquirizia, balsamici e di tabacco. Nelle bottiglie meglio riuscite si avvertono anche sentori eterei (tipici dei vini invecchiati), oltre a quelli dell’iniziale fruttati di pesca, ciliegia, mela, e di quelli speziati di vaniglia e cannella, ai floreali di violetta, rosa canina, fiori di campo e geranio. In bocca si avverte un grande corpo (ricordo che il corpo o struttura è l’insieme di tutte le sostanze disciolte nel vino, al netto di acqua, alcol e sostanze volatili, chimicamente chiamato estratto secco), una persistenza considerevole (persistenza aromatica intensa, gustolfattiva, che si avverte in bocca dopo la deglutizione, grazie alle vie retro nasali e al calore della bocca e delle vie respiratorie).
Nella designazione e presentazione dei vini Barbaresco e Barbaresco riserva, la DOCG può essere accompagnata dalla menzione «vigna» seguita eventualmente dal relativo toponimo o nome tradizionale. Il bicchiere più adatto è un calice medio/grande, largo nel punto più ampio circa 10 cm, con imboccatura più stretta, per convogliare meglio al naso i profumi. Servendolo ad una temperatura ottimale di 18-20°C, si abbina con i piatti tipici della cucina piemontese: tajarin e ravioli d’anatra ai tartufi, carni rosse (specialmente brasato al Barbaresco) e di selvaggina (gradita la lepre al Barbaresco, il camoscio alla piemontese), formaggi stagionati (vedi Castelmagno, Bagoss, Pecorino romano, Montasio, Grana padano). Ottimo anche da bere in compagnia senza abbinamento ad alcun cibo.
Infine, il vino Barbaresco è eccellente anche in quanto la sua longevità oscilla dagli 8 ai 25/30 anni per le annate migliori (in particolare quello ottenuto dalle vigne di Barbaresco e Neive), mentre l’epoca migliore per il consumo varia da 10 a 15 anni (dalla vendemmia)..
Note bibliografiche
AIS Il vino italiano;
Calò/Scienza/Costacurta Vitigni d’Italia Edagricole;
Rivista Il mio vino Ed Il Castello
Disciplinare di produzione Barbaresco DOCG
Photo via Canv
0 Commenti