Uno studio nel Regno Unito indaga sulla torta preferita dai suoi abitanti
Il suo profumo inebriante rende assolutamente uniche tante preparazioni dolci: conosciamo l’orchidea che origina i suoi baccelli
Vaniglia è il nome popolare dato ad alcune specie di orchidee, piante rampicanti, vere e proprie liane, con steli e rami lunghi e sarmentosi, muniti di radici avventizie, con foglie distiche (su due file), alterne (una a destra e una a sinistra), grosse, carnose, verde scuro e fiori in piccoli grappoli. La specie di maggior interesse è la Vanilla planifolia (sinonimi V. aromatica, V. bampsiana, V. duckei, V. fragrans) originaria del Messico e del Brasile, la cui diffusione è limitata ai paesi tropicali, specialmente Madagascar, Mautitius, Isole della Riunione (ex Bourbon), Seychelles, oltre a (in minor misura) Tahiti, Antille, Perù, Giava ed altri paesi tropicali.
Esistono anche V. pompona e V. palmarum, meno importanti però della planifolia. La parola vaniglia secondo gli esperti deriva dallo spagnolo vaina, a sua volta derivato dal latino vagina, termine che indica una guaina (un contenitore); la parola non cambia molto tra le diverse lingue: vanilla in inglese, vanille in francese, baunilha in portoghese, vanille in tedesco, wanilia in polacco, vaniilj in svedese.
La Vanilla planifolia è un’orchidea scandente, in quanto se è vero che la pianta si avvolge intorno ad altre piante con il suo debole fusto volubile, è anche vero che ha proprie radici nel suolo (non è parassita), oltre a radici aeree utili per assorbire umidità dall’abiente tropicale. La pianta preferisce con piovosità di almeno 1.000 mm/anno, distribuiti in 4-6 mesi, con temperatura media annuale elevata di circa 26-28°C, altitudine non superiore ai 1.000 metri. Per quanto riguarda il tipo di terreno la vaniglia non è molto esigente, preferendo quelli in pendio, profondi, fertili, ricchi di humus, con sufficiente permeabilità all’acqua.
La vaniglia ha stelo sottile e cilindrico, nodoso, riccamente provvisto di radici avventizie anch’esse nodose con le quali si afferra saldamente ai sostegni. Lo stelo contiene un succo vischioso irritante per la pelle e vescicatorio. Le foglie sono ovali e allungate, appiattite, puntute all’apice, grosse e carnose, molto lisce, lucenti e di colore verde scuro. I fiori sono bianco verdastri, riuniti in piccoli gruppi (racemi) di 18-20 fiori all’ascella delle foglie. La V. planifolia non fiorisce prima di aver raggiunta un’altezza di almeno 3 metri, restando produttiva per circa 7-8 anni, con produzione decrescente successivamente, tale da non rendere più conveniente la costosa coltivazione e lavorazione del prodotto.
Il frutto della Vanillia planifolia è una capsula pendente (frutto secco deiscente, cioè che si apre a maturità per liberare i semi), allungata, lunga 15 – 25 cm, carnosa, di colore bruno – cioccolata e deiscente quando maturo, allorché si apre lungo i setti dei carpelli in due valve disuguali, con molti semi piccolissimi di odore aromatico acuto e caratteristico, sapore dolciastro molto pronunciato. La vaniglia è una pianta che si coltiva su terreni ombreggiati (come tutte le orchidee), ottenuti spesso disboscando parzialmente la foresta o meglio impiantando i nuovi alberi all’ombra di quelli grandi (nel sottobosco), cercando di ottenere sesti regolari di impianti per quanto possibile.
In coltura (nel sottobosco, intercalare con canna da zucchero, in serra) le piante di vaniglia si allevano basse per facilitare la potatura e la raccolta, usando dei sostegni naturali (piante arbustive poco esigenti per terreno e umidità) o artificiali. L’impianto si realizza interrando delle talee di vaniglia a pochi cm dal sostegno, irrigando abbondantemente senza bagnare però la talea. Dopo un anno la pianta raggiunge diversi metri di lunghezza, per cui si procede a cimare per consentire l’emissione di altri rami laterali. Non tutte le piante riescono a fiorire, ma ombreggiandole riescono a farlo.
Una volta comparsi i fiori, l’impollinazione viene fatta a mano da donne e bambini nelle ore mattutine (soltanto nell’ambiente d’origine la fecondazione viene effettuata da api senza pungiglione). A proposito di impollinazione è interessante sapere che la prima impollinazione artificiale dei fiori di vaniglia fu effettuata nel 1836 dal naturalista belga Charles Morren, seguito nel 1837 dall’orticultore francese J.H.Francois Neumann, mentre il metodo di impollinazione artificiale ancoa oggi seguito fu messo a punto nel 1841 da Edmond Albius, uno schiavo dodicenne di Bourbon (oggi Isole della Riunione).
Tornando a noi: dopo 2 giorni si può vedere se la fecondazione del fiore è avvenuta, per la comparsa del frutticino appena abbozzato; dopo circa 1 mese si asportano i frutti malformati, oltre a effettuare un diradamento se fossero troppo numerosi. Dopo circa 8 mesi dalla fecondazione i frutti sono maturi, per cui si procede alla raccolta quando il gambo ingiallisce e si formano delle striature gialle lungo il frutto (capsula) ancora verde, il quale diventa coriaceo, gonfio e leggermente curvo.
Nella lavorazione, i frutti raccolti vengono posti su graticci, in posti ombreggiati e ventilati, ove restano per 24 ore in modo da rammollirsi; poi vengono esposti al sole per un giorno e, successivamente, posti in casse di legno coperti con lana ed esposti al sole per 16 – 22 ore, fino a quando i frutti non si coprono di un’efflorescenza cristallina (detta sudore), per poi esporli nuovamente al sole. Tutte le operazioni descritte durano circa 20-30 giorni, durante i quali le vaniglie vengo fatte essudare per 4-5 volte. L’essiccamento però può essere condotto anche con calore artificiale in appositi forni.
Le vaniglie dopo aver proceduto a cernita, divisione per colore, grossezza e lunghezza vengono alla fine riunite in mazzetti da commercializzare. Alternativo al metodo di lavorazione esposto è quello detto “sud-americano all’acqua calda” elaborato da Ernest Loupy nel 1851 e oggi più seguito: i frutti vengono immersi per pochi secondi in acqua calda a 80-85°C in panieri di rotang (Calamus rotang detta anche rattan simile a vimini), fatti sgocciolare, quindi esposti al sole in coperte di lana; durante la notte si tengono in casse sempre nelle coperte. Queste operazioni si ripetono per alcuni giorni e, infine, le vaniglie vengono poste ad essiccare al sole per 10 giorni – 2 mesi. Si può tranquillamente affermare che tra raccolta e commercializzazione di un frutto di vaniglia passano circa 10 mesi.
L’odore della vaniglia è dovuto alla vaniglina o vanillina ((4-idrossi-3-metossibenzaldeide), che rappresenta circa il 2% del peso del frutto. La vanillina si può produrre anche industrialmente per ossidazione dell’alcol coniferilico (resina dell’abete rosso) e dell’isoeugenolo (estratto dai chiodi di garofano), grazie agli studi del chimico tedesco W. Haarmann nel 1874. Mentre gli USA preferiscono la vanillina di sintesi, i paesi europei optano per quella naturale.
In commercio le varietà di vaniglia sono diverse (di solito: Bourbon, Tahiti e Tahitensis) a seconda delle qualità organolettiche, paese d’origine e metodo di lavorazione. Vanille ménagère (vaniglia casalinga) è quella destinata alla vendita al dettaglio: i frutti non devono essere spezzati, né avere cicatrici, non essere troppo secchi. La qualità migliore è rappresentata dalla Vanille givrée (vaniglia brinata), caratterizzata dall’avere cristalli di vanillina in superficie, un aroma molto intenso e delicato. Le altre qualità sono praticamente di seconda e terza scelta, destinate all’industria alimentare e all’estrazione alcolica della vanillina o alla produzione della vaniglia in polvere macinando le capsule.
Esteticamente un baccello di vaniglia di buona qualità si vede dalla forma: deve essere simile a un filo che si può facilmente attorcigliare intorno a un dito senza danneggiarsi. Il frutto della Vanillia planifolia, comunemente detto vaniglia o vainiglia, per la sua inconfondibile aromaticità è utilizzato in pasticceria, gelateria, liquoreria, cioccolateria e in alcune, oltre che in profumeria e cosmesi. Per assicurarvi di estrarre tutto il loro sapore, abbiate cura di munirvi di un coltellino a lama liscia; passatelo lungo l’intero baccello premendolo sul piano da lavoro per appiattirlo, quindi incidetelo centralmente per l’intera lunghezza. Aprite delicatamente il baccello aiutandovi sempre con il coltellino (altrimenti il prezioso contenuto si attaccherà sulle vostre mani), quindi con la lama “grattate” e ricavate il contenuto interno, trasferendolo subito nell’ingrediente da aromatizzare (impasti, panna, gelati, budini, crema inglese, crema pasticcera… e chi più ne ha più ne metta!).
Note bibliografiche
Dizionario di agricoltura, Ed. UTET
M. Brooks – I. Dal Brun, Spezie, aromi e condimenti, Ed. Il Punto d’Incontro
F. Antinucci, Spezie. Una storia di scoperte, avidità e lusso, Ed. Laterza
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