La liquirizia

Sapevate che è una leguminosa? Scopriamo tutto sulla radice della liquirizia, da storia e origini fino alle qualità e impieghi gastronomici

La liquirizia

Quanta dolcezza nella liquirizia, quanti ricordi di un’infanzia non facile ma tranquilla, nella quale si aveva poco da sprecare, per cui ogni piccolo piacere era apprezzato e gustato fino in fondo. Il discorso calza a pennello per la liquirizia, che un tempo noi piccoli all’uscita dalle scuole elementari trovavamo in bella mostra sulla bancarella, onnipresente vicino ad ogni istituto per piccini. Guardavamo con desiderio la liquirizia a forma di pesciolini, di rotelline, di bastoncini rigidi o morbidi (più facili da gustare) e l’immancabile, e meno costoso di tutti, zippro doce”, che nel dialetto tarantino (e salentino in genere) indica un bastoncino da masticare, fatto da un pezzo di radice di liquirizia, lungo una decina di cm, grezzo ma pulito, da masticare a lungo per trarne il dolce succo e poi eliminare. Bastava poco per tenerci contenti e farci poi riprendere i giochi pomeridiani!

La liquirizia era nota nel mondo antico, specialmente in Cina, Egitto, Grecia e a Roma. Di liquirizia ne esiste un tipo dettobastarda o falsa, botanicamente appartenente alla specie Polypodium vulgare, mentre la vera liquirizia (o liquerizia o regolizia o legno dolce) in botanica appartiene al genere Glycyrrhiza con la specie G. glabra, distinta in tre varietà: var. typica o liquirizia di Spagna, spontanea nell’ambiente mediterraneo, comunemente coltivata per l’alto contenuto di glicirrizina dei rizomi (dal 5 al 20%); var. glandulifera o liquirizia di Russia, diffusa nella Russia Meridionale; var. violacea o liquirizia di Persia o Turca, con rizomi aventi corteccia molto spessa e diametro grande (fino a 8 cm).

Si tratta di una leguminosa spontanea nel Mezzogiorno italiano, soprattutto in Calabria e Sicilia; pianta perenne (cioè che non esaurisce la sua vita con la formazione dei semi, ma dura in vita parecchi anni), suffruticosa (cioè con il fusto legnoso alla base ed erbaceo nella parte superiore), rizomatosa (cioè capace di formare sottoterra, oltre alla radice vera e propria, che in questo caso è un fittone, anche dei rizomi, cioè dei fusti sotterranei, lunghi fino a 2 metri, da cui si originano le radici in corrispondenza dei nodi o degli internodi, mentre all’apice portano una gemma da cui si formerà la parte fuori terra di una nuova pianta, dopo due anni), con aspetto cespuglioso, fusti eretti, e alti circa 1 - 1,5 m, foglie composte e imparipennate, fiori piccoli azzurro - violacei riuniti in racemi (infiorescenza, cioè insiemi di fiori) posti all’ascella delle foglie, avente come frutto un legume allungato (15-30 mm) e compresso, contenente i semi (da 2 a 6, bruni e reniformi). 

Fino al secondo dopoguerra la liquirizia era coltivata molto sia in Calabria che in Sicilia (terre in cui la liquirizia risulta più dolce e più ricca di oli e resine, grazie al clima caldo e secco), ma col passare degli anni l’Italia ha visto ridursi le superfici a liquirizieto, per cui oggi dipende molto dal prodotto che giunge da Grecia, Turchia e Siria. Attualmente la maggior parte della liquirizia italiana è prodotta in Calabria (70%), con una qualità talmente elevata e con lavorazioni storiche che le hanno meritato il riconoscimento DOP da parte della UE per la liquirizia di Calabria. Questa liquirizia è di tipo radice fresca, radice essiccata ed estratto di radice. Importante è anche la produzione della liquirizia d’Abruzzo.

Per la coltivazione della liquirizia si sfruttano terreni marginali, anche se la pianta prospera molto bene in terreni fertili, preferibilmente di tipo argilloso-siliceo e calcareo. Non si utilizza il seme perché scarso e molto lento a germinare; si ricorre invece a frammenti di rizomi della lunghezza di 15 – 20 cm, i quali vengono posti (dopo aver lavorato bene il terreno) in solchi profondi 20 -  30 cm, ponendoli nel solco a distanza uno dall’altro di 40 – 50 cm, mentre le file sono distanti tra loro 60 – 70 cm. Il primo raccolto si fa quando la pianta ha 3 o 4 anni, talvolta anche al quinto se necessario, e poi ogni 3 – 4 anni, visto che i rizomi che residuano nel terreno riformeranno le piante (è praticamente una infestante), in modo da raccogliere sempre rizomi ben sviluppati e dolci. I rizomi estratti dal terreno con la zappa o a macchina (dipende dall’ampiezza del terreno) vengono posti ad essiccare al sole, per poi essere posti in commercio sciolti o a fascetti. Nella liquirizia le radici hanno scarso valore commerciale in quanto poco dolci perché sprovviste di midollo, mentre i rizomi sono quelli ricercati. 

Il procedimento per la produzione della liquirizia prevede che radici e rizomi (genericamente chiamati radici) raccolti dal terreno vengano ben lavati, posti a essiccare, privati delle fibre (cellulosa e lignina), quindi macinate, pressate e poste in acqua bollente per estrarne il succo. Il succo grezzo così ottenuto viene filtrato e nuovamente concentrato tramite bollitura (come si fa con il vino cotto e la saba romagnola), ottenendo una pasta nera, compatta, profumata e modellabile quando è calda. Tramite il passaggio in macchine formatrici, la pasta prende forme diverse e sapori arricchiti da additivi e aromi, per non si possono aggiungere coloranti. Un tempo il procedimento era tutto manuale, con grande presenza delle donne, mentre oggi è completamente industrializzato.

Il nome liquirizia sta ad indicare la caratteristica principale delle radici e rizomi della pianta, cioè di essere dolciastri, sia grezzi che trasformati: infatti glycos vuol dire dolce e riza vuol dire radice, per cui “radice dolce”. Il succo di liquirizia (da cui derivano tutti i formati in commercio) è amarognolo per la presenza di oli essenziali e resine derivate dalla corteccia di radici e rizomi, ma ancor più è dolce perché ricco di glicirrizina (costituita dai sali di calcio e di potassio dell’acido glicirrizico) con potere edulcorante superiore di 50 volte rispetto al comune zucchero di barbabietola (saccarosio), anche se la percezione della dolcezza è ritardata ma più prolungata nel tempo. La glicirrizina è poco sensibile al riscaldamento, mentre altri dolcificanti (come l’aspartame) si degradano al calore perdendo il potere dolcificante. In altre parole la glicirrizina resta dolce anche se riscaldata in una preparazione da forno o fritta, o in una bevanda calda. Gli effetti collaterali sono dovuti in genere all’abuso di liquirizia, in quanto si verificano ipertensione ed edemi dovuti all'accumulo di ioni sodio e acqua nei tessuti.  

I rizomi si impiegano anche per la produzione della polvere di liquirizia, usata in farmacopea per produrre pillole per il transito intestinale (per la presenza di mannite) o come eccipiente insieme ad altri principi attivi; anche il succo ha un uso farmaceutico come edulcorante e miglioratore di tisane, oltre che per la preparazione di bibite rinfrescanti. La liquirizia grazie alla glicirrizina e agli oli e resine che contiene, è un ottimo emolliente e calmante della tosse. Il succo, variamente aromatizzato è efficace contro raffreddore, angine, irritazioni della gola. E’ anche un ottimo purgante (come la polvere già citata), blando e non irritante per l’intestino. Di proprietà della liquirizia se ne elencano tante altre, come quelle digestive, antinfiammatorie per le diverse mucose dell’apparato digerente e respiratorio, per la cura dell’alitosi.

Il prodotto puro, in polvere, sciroppo, caramelle (dure o gommose), pesciolini, rotelline, bastoncini da masticare, mentine, ecc. sono tante le varianti della liquirizia in commercio. Va detto però che della liquirizia in commercio solo il 10% è liquirizia pura, cioè senza aggiunta di zucchero e altri additivi. La maggior parte contiene fino a 70 g di zucchero/100 g, con 375 kcal.

Oltre farmaceutico ed erboristico, la liquirizia trova impiego alimentare e gastronomico, visto che è usata in cucina, pasticceria e gelateria. In cucina la polvere di liquirizia si può aggiungere alla farina per preparare dolci e pasta fresca (cavatelli, risotti, rigatoni,ecc.), oltre a secondi piatti con un gradevole sapore dolce-amarognolo e profumo intenso, come quelli salati o quelli a base di pesce. Con la liquirizia si prepara anche un ottimo liquore (usando la polvere o la spezzatina), da conservare in frigo anche fino a 90 giorni, ma può anche essere congelato. In gelateria ottimo il gelato alla liquirizia, in pasticceria muffin, torte e biscotti. La liquirizia viene anche usata per aromatizzare la birra, il cioccolato, il caffè. Tanti gli chef che si stanno dedicando alla preparazione di piatti con ricorso alla liquirizia, per un tocco tutto speciale alle preparazioni, magari organizzando un intero menù con sensazioni di liquirizia in crescendo dalla prima all’ultima portata, bevendo ovviamente birra alla liquirizia.
 

Note bibliografiche

  • AA.VV.  Enciclopedia agraria, Ed. UTET
  • Baldoni-Giardini, Coltivazioni erbacee, Ed. Patron
  • De Ascentiis, Storia della liquirizia in Abruzzo, Ed. Ricerche&Redazioni

Scritto da Luciano Albano

Laureatosi nel 1978 con lode in Scienze Agrarie, presso l'Università di Bari, si è specializzato nel 1980 in "Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli" presso il C.I.H.E.A.M. (Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici del Mediterraneo) di Valenzano (Bari), ha conseguito nello stesso anno anche l'abilitazione alla professione di Agronomo. Fino al 1/3/2018 ha lavorato alla Regione Puglia nell'Ufficio Territoriale di Taranto, quale Responsabile della P.O. "Strutture Agricole". Appassionato di olio e vino ha conseguito il Diploma di Sommelier AIS nel 2005 e ottenuto nel 2008 l'Attestato di Partecipazione alle Sedute di Assaggio ai fini dell'iscrizione nell'Elenco Nazionale di Tecnici ed Esperti degli oli di oliva extravergini e vergini. Fino al 2018 è stato iscritto all'Albo Provinciale dei Dottori Agronomi e Forestali e come CTU presso il Tribunale di Taranto. Ama il food & beverage e ne approfondisce i vari aspetti tecnici, alimentari e storici

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