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Un cibo della memoria che è tempo di riscoprire in inverno: ecco come venivano utilizzate le castagne in cucina dalle nostre nonne
Nei secoli scorsi, ma anche in un passato non troppo lontano - mi riferisco agli inizi anni Sessanta del secolo scorso -, in tante regioni del nostro bel Paese (da Piemonte e Veneto a Lazio, Toscana e Abruzzo, fino a Puglia, Sicilia e Calabria), il piatto tipico invernale delle tante famiglie povere o quasi, sia cittadine che contadine, era rappresentato - specialmente a cena - dalle castagne secche. Con esse si preparavano diverse pietanze: si trattava di piatti caldi e nutrienti che corroboravano l’organismo, specialmente dei piccoli, con il loro calore e la loro dolcezza moderata, il buon apporto calorico, in attesa che sulla tavola giungessero piatti più prelibati, come la carne e il pesce, limitati alla domenica e alle festività importanti.
Parliamo dei famosi pistiddi o pastiddre o pastidd (in Veneto stracaganasse, cioè stanca mascelle, qualora li si volesse rompere con i denti, senza attendere che la saliva li ammirbidisca), termine che ancora oggi nelle regioni del Sud indica le castagne secche, sbucciate e private della loro pellicina, un tempo vendute a modico prezzo per il ceto a cui erano destinati, oggi meno diffusi e diventati per molti una curiosità quando li si vedono in vendita in mercatini tipici e presso bancarelle di frutta secca.
Nel Lazio le castagne secche vengono invece chiamate mosciarelle, e quelle di Capranica Prenestina e San Vito Romano sono una delizia riconosciuta anche per la caratteristica di vedere la fase dell'essicazione avvenire nelle cosiddette "casette", speciali stanzette in pietra che si trovano immerse nei boschi.In Piemonte sono invece note le castagne bianche garessine, raccolte in provincia di Cuneo da castagneti secolari di questa varietà e particolarmente rinomate per la qualità del sapore nella versione disidratata, che assume anche sentori di affumicato grazie all'impiego degli essiccatoi tradizionali chiamati scau (fabbricati in pietra a secco).
Oggi si trovano in piccole bustine anche in negozi che vendono curiosità alimentari di un tempo (come carrube, giuggiole, sorbo, corbezzolo, ecc.), oltre che nelle fiere e sagre di paese, insieme ad altra frutta secca da sgranocchiare passeggiando e chiacchierando (senza tuttavia dimenticare le calorie incamerate senza accorgersene, visto il minimo ingombro nello stomaco contro le tante calorie contenute!).
Un tempo i piccoli preferivano sciogliere i pistiddi lentamente in bocca, essendo qesti dolci e farinosi, capaci di saziare sia la fame improvvisa che spesso sorgeva durante i giochi fanciulleschi, sia l’atavica sottoalimentazione dei bambini e di tanti poveri nelle terre difficili del Sud come delle montagne del nostro paese. Volendo indagare sull’etimologia del nome pistiddi, si può affermare che pastìdda in pugliese indica la castagna secca sbucciata e deriverebbe dal latino pestillum e pistillum, ovvero “pestello”, probabilmente per la necessità di schiacciarli prima di utilizzarli nelle ricette.
Altri studiosi propendono per il latino pastillus che sta per “panetto”, vista la forma e l’aspetto della castagna secca sbucciata, che ricorda un piccolo pane. Il temine si ritrova anche nella locuzione latina “pistilli versatio” con cui si indicava un circolo vizioso (qualcosa di simile si ritrova nel detto pugliese “fàra ‘u pastìdda ‘a lèngha”, cioè fare il callo sulla lingua a forza di ripetere sempre la stessa cosa).
Ancora una volta è la castagna a sfamare la popolazione, alla stregua delle patate introdotte dal Nuovo Mondo, visti i diversi usi che di questo splendido frutto hanno saputo fare le popolazioni montane e quelle di pianure e collina afflitte dalla miseria; popolazioni che, poiché il castagno cresce solo oltre i 700 m di altitudine, importavano i frutti dai paesini di montagna, barattando pur di averle i loro prodotti tipici come olio, grano duro o tenero, semola e farina, mandorle fresche e secche, vino, fichi secchi, olive conservate, meloni e pomodori conservati per l’inverno nelle cantine, salumi e carni di maiale.
Per ottenere i pistidi si ricorre all’essiccazione delle castagne, antico procedimento adottato per secoli in tutte le realtà castanicole italiane, come testimoniano i numerosi essiccatoi ancora oggi presenti, perché le castagne sono un frutto di difficile conservazione, salvo a disidratarle quanto più possibile o trattarle con l'aggiunta di zucchero (castagne sciroppate, crema di castagne, marron glacè). Questo metodo di conservazione è utilizzato tutt'oggi per la produzione di prodotti tradizionali, e inoltre attraverso l'essiccazione i frutti acquistano digeribilità, un aumento dei principi attivi e degli elementi minerali, conservandosi per lungo tempo (oltre i 12 mesi) senza alterazioni.
La composizione delle castagne secche quanto a nutrienti è tale da determinare un apporto calorico considerevole, pari a 297 kcal/100 g, grazie alla presenza di 67 g di carboidrati di cui 26 zuccheri solubili, 4,7 g di proteine, 3 g di grassi, 17 g di fibra, 10 g di acqua, 52 mg di calcio e 2 mg di ferro. I pistiddi favoriscono la motilità intestinale grazie alla fibra contenuta, oltre a essere utili a chi fa sport impegnativi e lavori pesanti.
In tutte le preparazioni a base di castagne secche, l’attrezzo principale e immancabile era la pignata, tradizionale tegame in terracotta, tanto diffuso nel Centro-Sud Italia, nella quale per i più piccoli ci si limitava a bollirli fino a intenerirli completamente, per poi servirli ancora fumanti (siamo in inverno, in case senza riscaldamento o al massimo col camino se contadine) in un bel piatto su cui era stato spolverizzato un pochino di zucchero.
Per i più grandi le soluzioni erano più adatte alla fame degli adulti: spesso si cuocevano le castagne secche insieme a ceci o fagioli, oppure separatamente pe poi unirli aggiungendo del pomodoro e spolverizzando il piatto caldo con abbondante formaggio. Altra ricetta era quella della purea di pastidd, nota specialmente in Puglia, nella quale, dopo un bagno di una notte intera, alle castagne secche bollite si univa del prezzemolo, dell’olio e della cipolla a fettine, mescolando lentamente fino a disfare le castagne secche, trasformandole in una purea.
Lucana è la famosa ricetta di fasuli e pistiddi, caratterizzata dall’aggiunta di nepitella (simile alla menta, o di alloro in mancanza) che deve essere classicamente accompagnata con fette di pane abbrustolito o almeno del giorno prima senza abbrustorirlo. Nei territori del nord Italia, a questo scopo si usano anche fette di polenta arrostita. Altre ricette note sono gli gnocchi di patate con castagne secche (ammollate e bollite), arrosto di maiale e castagne secche (ammollate e bollite), castagne secche al vino rosso (esaltate dall’aggiunta di vaniglia, chiodi di garofano, zucchero) cotte per 2 ore a fiamma bassa.
Le castagne secche possono essere poste a bollire con il latte sia per la preparazione di dolci che per una nutriente colazione (dette biline al latte), sia con l’aggiunta di riso e una noce di burro, sia per un risotto dolce alle castagne secche. Se acquistiamo le castagne secche (oggi il prezzo medio è di 12€/kg) conserviamole in barattoli di vetro con chiusura ermetica, nel quale potranno restare anche per 12 mesi.
Note bibliografiche
Bonnelli-Bardelli, Castagne in tavola - Le migliori ricette toscane, C&Padver Effig
S. Marchese Castagne a colazione. E poi a pranzo e a cena, Muzzio Editore
L. Louis, Castagne. Semplici, nutrienti ed energetiche, Sonda Editrice
N. Gigante, Dizionario etimologico del dialetto tarantino
Photo by Luciano Albano
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