Vino e selvaggina

Che sia da piuma o da pelo, ogni tipo di selvaggina ha il suo vino ideale per essere gustata al meglio in tavola: scopriamoli insieme

Vino e selvaggina

Consumare carne di selvaggina e di cacciagione denota sempre un momento particolare, qualcosa che distingue quel giorno dagli altri perché siamo in visita in una zona ricca di selvaggina dove è tipico consumare queste carni, perché un nostro amico è un cacciatore, o semplicemente perché vogliamo sederci a tavola con qualcosa di diverso dal solito anche se un po' più laborioso, perché ne vale davvero la pena. Mangiare selvaggina non è dunque cosa di tutti i giorni, ma proprio per questo quando decidiamo di acquistare tali carni - generalmente più costose - è bene non sbagliare nella scelta del vino da abbinare: una carne di pregio esige un vino altrettanto prezioso.

In Italia, il Veneto è famoso per il cervo, il Lazio per le pernici e le faraone, mentre in regioni come Umbria e Toscana è facile trovare il cinghiale. Cominciamo allora col dire che con il termine selvaggina si indica la carne di animali selvatici che possono essere da pelo (cinghiali, cervi, daini, camosci, caprioli, lepri e conigli selvatici) o da piuma (fagiani, quaglie, piccioni, starne e altri volatili selvatici). Per una maggiore precisione, però, bisogna dire che dal punto di vista gastronomico, per cacciagione si intende l’insieme degli animali selvatici da piuma, mentre per selvaggina quello degli animali selvatici da pelo. La carne di questi animali è definita nera perché di colore rosso scuro, risulta soda e con un deciso odore detto di selvatico (in inglese foxy), più o meno pronunciato a seconda della specie dell’animale. Il sapore di queste carni dipende non solo dall’animale considerato, ma anche dal suo ambiente di vita e dalla sua alimentazione.

E quanti modi ci sono in cucina per preparare pietanze a base di selvaggina e cacciagione: c’è l’imbarazzo della scelta, specialmente per chi si avvicina per la prima volta a tali carni e non ha ancora individuato la preparazione di suo gradimento! La preparazione è funzione del tipo di animale e della tradizione gastronomica del luogo in cui l’animale è stato catturato, frollato e venduto. Infatti, mentre nella cucina del Nord Europa si ricorre a insaporire queste carni con spezie e frutta cotta (mele e prugne in particolare), oppure a consumarle arrostite accompagnandole con salse, nei Paesi Mediterranei, invece, la selvaggina viene cucinata con l’aggiunta di erbe aromatiche (aglio, maggiorana, timo, origano) oppure marinandola in vino per poi brasarla o arrostirla.

Nell’abbinamento con il vino, per entrambe le categorie (cacciagione e selvaggina, come sopra distinti) sono ideali i grandi vini rossi, con sentori gusto - olfattivi molto complessi e ricchi, che ben si abbinano con i sapori e i profumi molto intensi delle preparazioni a base di cacciagione e selvaggina (grandi rossi per la prima e ancor più grandi per la seconda). In ogni caso la selvaggina da pelo è più esigente in fatto di abbinamento con il vino, rispetto a quella piuma. Questo rinviene dalla caratteristica delle carni dei volatili, le quali presentano profumi e sapori meno decisi, meno invadenti, più tendenti alla neutralità, consentendo per questo l’abbinamento con una gamma di vini molto più vasta di quella relativa alla selvaggina da pelo. Quest’ultima vuole invece che si ponga molta attenzione al vino semplicemente perché le sue carni sono sode, dal gusto forte (tanto che a molti non piacciono), che oscilla tra l’aspro e il dolciastro.

Si tratta comunque di preferire i vini rossi secchi, con tenore alcolico di almeno 12,5°C, colore rosso granato – rosso aranciato, da servire a 18 – 20°C. Grande è la lista dei vini utili per la selvaggina e la cacciagione, ma come al solito cercheremo tra quelli della zona, per poi eventualmente passare a vini diversi ma con le caratteristiche giuste. La scelta dipenderà naturalmente anche da quanto siamo disposti a spendere.

La cacciagione (galli cedroni, fagiani, tordi, beccaccine, ecc.) esige vini rossi, secchi, con bouquet fruttato (ribes, lampone, mirtillo, fragolina, ciliegia, prugna, mela) – erbaceo/vegetale (erba, foglie, fieno, fungo, tartufo, sottobosco, mallo di noce, ecc.), morbidi (per glicerina, alcol etilico e altri alcoli), caldi (cioè alcolici), abbastanza tannici (l’astringenza del tannino fa salivare, determinando così la pulizia del cavo orale tra un boccone e l’altro), di corpo (quindi ricchi di estratto secco) e buona persistenza aromatica in bocca dopo la deglutizione.

Alla selvaggina, invece, devono essere abbinati vini cosiddetti austeri, nobili, dai profumi intensi, morbidi, caldi, corposi (ricordo che il corpo del vino o struttura o estratto secco è l’insieme di tutte le sostanze disciolte nel vino, al netto di acqua, alcol e sostanze volatili) o addirittura robusti (in relazione al corpo un vino è robusto quando non solo è ricco di estratto secco ma all’interno di questo vi è equilibrio tra sostanze dolci, amare, astringenti, salate, acidule, di morbidezza e di durezza) e con buona persistenza aromatica.

Ma esaminiamo alcuni esempi classici:

  • La lepre in salmì, preparazione complessa e con diverse varianti regionali (diffusa tanto in Lombardia) richiede, per quanto detto prima, un vino rosso importante e invecchiato, ricco di profumi intensi e complessi, dovuti anche alla permanenza in botte, caldo per ricchezza di alcol etilico, con corpo consistente e persistenza aromatica notevole dopo la deglutizione.
  • Nei piatti a base di cinghiale troveremo sapori e profumi ancora diversi dalla lepre: abbineremo vini rossi vigorosi e strutturati, con profumi terziari intensi (da invecchiamento), corposi, armonici, persistenti in bocca.
  • Passando al capriolo e al daino, sanno meno di selvatico rispetto alle sopra citate, sono più delicate: andranno bene vini rossi maturi, meno importanti dei precedenti, ma sempre con bouquet intenso e complesso perché si tratta comunque di carne che necessita di sentori erbacei, che contrastino le sostanze volatili del selvatico, morbidi, caldi, corposi, armonici e persistenti.

La cottura in umido consente a selvaggina e cacciagione di trasformarsi in un ottimo risultato nel piatto, avendo l’accortezza di usare tegami dal fondo pesante, in modo da non far attaccare la carne, con coperchio a chiusura ermetica o quasi in modo da non far disperdere le sostanze aromatiche e i liquidi. I risultati migliori si raggiungono con una cottura lenta ed un calore moderato. In alcuni umidi vi è l’aggiunta di sugo di pomodoro (come quelli toscani), ma non mancano brasati (come salmì e civet), stufati e stracotti.

Concludiamo ricordando che regola vuole, come ci insegna il grande Fabio Campoli, che il vino usato in cottura non sia scadente rispetto a quello che berremo, anzi, sarebbe addirittura meglio pretendere che questi vini siano identici tra loro. Al limite quello che si beve sarà superiore a quello usato in cottura, fermo restando la tipologia e variando in aumento l’invecchiamento. Possiamo quindi affermare che nel salmì, e tutte le volte che si cuoce con il vino, il protagonista alla pari con la carne è il vino e la sua qualità, che per un risultato eccellente dovrà essere altrettanto eccellente.

Note bibliografiche

  • L. Cassioli, 500 ricette di selvaggina, Ed. Diana
  • L. Cassoli, Caccia & Cucina, Ed. Diana
  • Gasteiger – Bachmann – Weiser, 33x Selvaggina, Ed Athesia
  • L. Veronelli, Bere giusto, Ed. BUR Rizzoli
  • Mensile Il Mio Vino, Ed. Il Mio Castello
  • AAVV, Tecnica dell’abbinamento cibo – vino, Ed. AIS
  • AAVV, Merceologia degli alimenti, Ed. AIS

 

Scritto da Luciano Albano

Laureatosi nel 1978 con lode in Scienze Agrarie, presso l'Università di Bari, si è specializzato nel 1980 in "Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli" presso il C.I.H.E.A.M. (Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici del Mediterraneo) di Valenzano (Bari), ha conseguito nello stesso anno anche l'abilitazione alla professione di Agronomo. Fino al 1/3/2018 ha lavorato alla Regione Puglia nell'Ufficio Territoriale di Taranto, quale Responsabile della P.O. "Strutture Agricole". Appassionato di olio e vino ha conseguito il Diploma di Sommelier AIS nel 2005 e ottenuto nel 2008 l'Attestato di Partecipazione alle Sedute di Assaggio ai fini dell'iscrizione nell'Elenco Nazionale di Tecnici ed Esperti degli oli di oliva extravergini e vergini. Fino al 2018 è stato iscritto all'Albo Provinciale dei Dottori Agronomi e Forestali e come CTU presso il Tribunale di Taranto. Ama il food & beverage e ne approfondisce i vari aspetti tecnici, alimentari e storici

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