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Un'icona casearia della provincia di Verona, che esiste anche in versione d'allevo e "ubriaco": scopriamo il formaggio Monte Veronese dalla sua storia al suo sapore
Tra i formaggi italiani più ricercati rientra certamente il Monte Veronese, nome che non ha nulla a che fare con la montagna, ma che rimanda invece alle due mungiture (in dialetto veronese la mungitura si chiama munta o monta) necessarie per ottenere il latte vaccino destinato ad essere trasformato in questa vera icona casearia della provincia di Verona. Il nome deriverebbe per alcuni esperti da “formajo de pì monte”, ovvero “formaggio di più munte”, trasformato infine in “formajo monte” e in italiano “formaggio monte”, a cui successivamente si aggiunse “veronese”. Questo perché un tempo le munte che si miscelavano erano più di due munte provenienti da diverse stalle: il formaggio si faceva dopo aver scremato il latte, in quanto bisognava approvvigionarsi di burro. Si otteneva così un formaggio meno soggetto alle alterazioni, meno saporito perchè magro, duro e perciò più facile da trasportare sulle strade sconnesse di montagna.
La monta era anche alla base del pagamento dell’affitto dei terreni (monta era anche il nome del canone d'affitto): si pagava in base a quanto formaggio si otteneva da una monta o da due monte, parametro che implicitamente indicava anche la quantità e la qualità dell’erba che si otteneva dai campi dati in affitto, indicando così anche la fertilità dei terreni e il numero di vacche che vi si potevano allevare. Ovviamente, veniva anche quantificata in questo modo la capacità di allevare bene le vacche da parte del fittavolo, nonché la capacità della razza di vacche allevate di produrre molto e buon latte.
Attraverso l’affitto, già nell’anno 1000 i proprietari dei terreni ricevevano una quota del buon formaggio prodotto dagli affittuari coltivatori: si trattava del precursore di quello che poi avrebbero prodotto i coloni bavaresi. Infatti, furono costoro (per la precisione Cimbri, già stanziati sull’altopiano di Asiago), giunti nel Veneto intorno al 1200 per praticare agricoltura, allevamento e produzione di formaggio, legno e carbone sulle terre di montagna e disabitate, concesse loro in usufrutto dal vescovo di Verona Bartolomeo della Scala, a migliorare la produzione del formaggio.
I risultati furono eccellenti in quanto si trattava di agricoltori esperti nelle citate produzioni, in particolare di quelle casearie, per l’antica e pregiata tecnica casearia della Baviera, già allora molto apprezzata in tutta Europa. Per altri appassionati di storia locale, sarebbero stati alcuni casari lombardi (non tedeschi) a produrre il progenitore del Monte Veronese, intorno al 1400 in seguito alla caduta dei Della Scala, che determinò la loro migrazione verso il veronese, dove diffusero anche l’allevamento ovino.
Il riconoscimento della Denominazione d’Origine giunge nel 1993, mentre l’iscrizione tra le DOP è del 1996, con la delimitazione della zona di produzione di latte e formaggio alla sola porzione settentrionale della provincia di Verona, zona dei Monti Lessini (). Di Monte Veronese si producono 2 tipologie: quella “Monte veronese d’allevo” - tipica della Lessina, prodotta con latte vaccino scremato, da vacche tenute sui rati di alta quota (d’alpeggio) - e quella “Monte veronese a latte intero” prima detto anche “Grasso Monte”, più recente (1970) e derivato dal latte di animali allevati in pianura, ovviamente più dolce e morbido.
Prima del riconoscimento d’origine, il latte d’alpeggio e quello di pianura si mescolavano per ottenere un unico tipo di Monte Veronese DOP, ma successivamente grazie a Slow Food quello d’alpeggio, che rappresenta la vera tradizione di questo formaggio, è stato iscritto tra i Presidi, differenzando la tipologia d’allevo tra quelle previste dal disciplinare, purchè ottenuto soltanto dal latte di malga. Altro progetto di Slow Food è quello diretto a valorizzare il Monte Veronese, prodotto usando esclusivamente latte di vacche della razza Bruna Alpina.
Le razze bovine produttrici del latte sono la Frisona e la Bruna Alpina (allevate in alpeggio per 4 mesi all’anno, per il resto alimentate con miscele di foraggi freschi e secchi, di qualità e talida conferire al latte aromi e retrogusti di fiori ed erba), ma va detto che il disciplinare non cita razze da latte specifiche, tanto che viene utilizzata anche la Pezzata Rossa. Il latte (parzalmente scremato per il d’allevo) può essere lavorato a crudo o pastorizzato o termizzato (la prima soluzione è dei caseifici artigianali, le altre due di quelli industriali), dato che il disciplinare non presenta prescrizioni cogenti.
Quando dopo una notte di riposo il latte raggiunge spontaneamente il pH giusto grazie alla microflora naturale del latte (o volendo per entrambe le tipologie con aggiunta innesto prodotto nel caseificio stesso o in quelli della zona), lo si riscalda e si aggiunge il caglio di vitello per ottenere la coagulazione delle proteine. Si rompe quindi la cagliata a chicco di riso, la si riscalda a 43–45°C per 10 minuti nel tipo intero; 46–48°C per 15 minuti per il tipo d’allevo e riposo per entrambi di 25/30 minuti: si tratta perciò di formaggi a pasta semicotta (cottura dela cagliata). Lo spurgo dura 24 h e la salatura avviene sia a secco che in salamoia. La stagionatura del tipo intero è di 30 gg, mentre quella del d’allevo è di 90 gg minimo se da tavola e di 6 mesi minimo se da grattugia. Per il tipo d’allevo si distinguono tre varianti: giovane di 3 mesi, mezzano di almeno 6 mesi, stravecchio di oltre 12 mesi.
La forma delle due tipologie è cilindrica, con diametro di 25-35 cm; peso 7–10 kg (intero) e 6–9 kg (d’allevo), crosta sottile e di colore giallo pagliarino; pasta di colore bianco o giallo paglierino, morbida con piccole occhiature, un po’ più grandi nel tipo d’allevo; consistenza morbida per il d’allevo, compatta per l’intero; sapore dolce, di burro, delicato per l’intero, mentre intenso e tendente al piccante per il Monte Veronese d’allevo.
Come composizione nutrizionale, 100 g di Monte Veronese d’allevo contengono umidità 27/34%, proteine 27/35%, grasso sul tal quale 30/34% e grasso sulla ss. 45/50%, ceneri 4/7%, sale 1/2%; 100 g di Monte Veronese intero contengono umidità 40/45%, grasso su tal quale 28/32%, grasso su s.s. 49/55%, proteine 21/25%, ceneri 3,5/4,5%, sale 2,7/1,4%. Apporto calorico: 407 kcal/100 g; appena più elevato per l’intero (per entrambi in funzione della stagionatura).
Dopo l’acquisto il Monte Veronese può essere conservato in frigorifero, preferibilmente nello scomparto meno freddo, rimanendo avvolto nell’incarto di acquisto o ricorrendo a contenitori in vetro o plastica per alimenti dopo averlo avvolto in foglio di alluminio. In cucina il tipo intero è da tavola, abbinato ad altri formaggi, affiancato a frutta fresca e secca (pere e noci), come componente di primi e secondi. Ottimo anche per polenta e torte salate. Il tipo d’allevo più stagionato e idoneo per la grattugia, unendolo a paste (es. pasta con fonduta di Monte Veronese), gnocchi (gnocchi di malga), risotti (risotto all’Amarone), mentre i meno stagionati (giovane e mezzano) per creme e fondute. Ottimo puro a fine pasto. Concludo con una curiosità: oltre al Monte Veronese di sola Bruna, viene prodotto anche il Monte Veronese Ubriaco, costituito da forme affinate nella vinaccia umide di Amarone (uve Corvina, Corvinone, Rondinella, Oseleta, Negrara, Rossara e Molinara), poi asciugate e poste a stagionare.
Note bibliografiche
Mucchetti - Neviani, Microbilogia e tecnologia lattiero casearia, Ed. Tecniche Nuove
Fidanza - Liguori, Nutrizione umana, Ed. Idelson
Mensile il Mio vino, Ed. Il Mio Castello
L. Veronelli, Bere giusto, Bur Rizzoli
AA.VV., Merceologia degli alimenti, Ed. AIS
Photo by Giampiero RInaldi
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