Il dragon fruit

Origini, gusto, proprietà e impieghi gastronomici dell'accattivante frutto che prende il nome di pitaya o regina della notte

Il dragon fruit

In Italia quando si parla di frutti di piante grasse (tecnicamente si tratta delle piante succulente, dato che le piante non ingrassano!), il pensiero corre subito al fico d’India, diffuso e coltivato in particolare nel nostro meridione. Di recente, però, è apparso sui banchi dei mercati ortofrutticoli più “chic” (tra i quali quello del centro della stupenda Genova che ho avuto modo di visitare recentemente), il cosiddetto Dragon Fruit, considerato un superfood, bellissimo nell'aspetto e nel colore (giallo o rosso), coltivato in Italia in Sicilia, conosciuto anche come Pitaya, Pitahaya, Regina della notte.

Per la botanica sistematica si tratta della specie Selenicereus undatus (per altre classificazioni si tratta di Cereus undatus/Hylocereus undatus) in cui undatus discende dal latino undātus, cioè fatto a onde, ondulato, con riferimento alla caratteristica del fusto suddiviso in tratti separati da strozzature, tratti che consentono alla pianta di svilupparsi seguendo diverse direzioni; il termine cereus, comune alle tre denominazioni tassonomiche, riporta al grande genere Cereus della famiglia delle Cactacee, a cui appartengono gli splendidi esemplari a forma di candelabro tipici del paesaggio di alcune zone desertiche dell’America del Nord, nome che deriva dal latino cērĕus e che indica qualcosa dall’aspetto ceroso (in virtù della cera che in strato sottilissimo riveste la pianta sia per ridurre le perdite di acqua nell’ambiente tropicale, sia per combattere i parassiti), pieghevole, morbido (proprio come la cera). 

Seleni, invece, rimanda al greco selene ovvero luna, dato che i fiori bellissimi si aprono di notte (ne gode per prima la Luna), mentre di giorno sono chiusi, da cui il nome di regina della notte dato alla Pitaya. Il nome dragon fruit (o uovo di drago) sarebbe, invece, correlato alla iniziale convinzione cinese che si trattasse dell’uovo della femmina del drago rosso, sia per grossezza, che per la strana forma, il colore rosso fuoco e le piccole lingue verdi sulla superficie!

Si tratta di pianta originaria di aree comprese tra Messico e America Centrale (Guatemala, Nicaragua, Costa Rica), di cui esistono 25 varietà (anche di tipo solamente ornamentale), alcune delle quali si sono adattate anche all’ambiente cinese, del sud est asiatico (Vietnam, Cambogia, Thailandia, ecc.), in Australia, Filippine, Sri Lanka, e altri Paesi dell’area indiana. Il dragon fruit per gli inglesi è strawberry pear/night blooming cereus, per gli spagnoli pitahaya/tuna/nopal

Pianta bella e molto produttiva, la pitaya per essere coltivata (sesto di piantagione 5 x 5 m almeno) necessita di un clima caldo e umido, con temperature che non scendono mai sotto i 18-25 °C (resiste fino a -2°C, non ama superare i 38°C). La pianta preferisce un terreno ben drenato, ricco di materia organica e leggermente acido. Può essere coltivata sia in piena terra che in vaso, purché si assicuri un adeguato drenaggio. Ama molto il sole, ma nei primi 3–4 mesi di vita è meglio ombreggiarla con rete idonea, che può essere comunque lasciata se si vuole, dato che la pitaya cresce bene anche in mezz’ombra (i risultati migliori sono però in pieno sole, purchè non si superino i citati 38 gradi).  

Le piante nuove si ottengono sia da seme che da talea, metodo preferito per la velocità di ottenimento della nuova pianta e per la conservazione delle caratteristiche della pianta madre da cui sono state prelevate le talee. La nostra Pitaya è arborescente (cioè che ha portamento intermedio tra albero e arbusto), presenta molti fusti che possono raggiungere ciascuno anche 6 m di lunghezza e che in natura possono divenire striscianti (nella coltivazione si usano, invece, supporti a T, alti 2,5 m + 0,5 m interrato, che la fanno sviluppare in verticale e ricadente), alta anche fino a 10 m, capace di emettere radici aeree con le quali abbarbicarsi su altre piante (o infilarsi nel terreno se divenuta strisciante per mancanza di sostegni). Non ha forma di candelabro dato che i rami sono, invece, penduli, molto lunghi e tali da conferire alla pianta un aspetto “piangente”.

Sono rami spessi, costoluti, spinosi (aspetto tipico dei Cereus), suddivisi in tratti separati uno dall’altro da una strozzatura del tessuto vegetale. Su questi rami compaiono, fiori che durano solo 2 giorni, molto belli e grandi, bianco – verdastri, dal profumo di vaniglia, con stami molto lunghi che fuoriescono dalla corolla. La pianta di dragon fruit quando in produzione fruttifica fino a 5 volte in un anno, fiorisce sia in primavera che in autunno, consentendo così di raccogliere frutti da maggio a tutto novembre (parliamo ovviamente dei Paesi tropicali). 

La formazione dei frutti avviene talvolta per autofecondazione, ma nella maggior parte dei casi si tratta di fecondazione incrociata necessaria per l’autosterilità delle piante di pitaya. L’apertura notturna dei fiori consente che all’impollinazione icrociata pensino farfalle notturne e pipistrelli, attratti dal nettare. Una pianta di pitaya adulta (3 – 4 anni) produce ogni anno anche 100 kg di frutti, e la sua produzione dura fino al 20° anno di vita. Il prezzo del dragon fruit al dettaglio attualmente oscilla tra 24 e 28 €/kg.

Il frutto della pitaya, il vero e proprio "dragon fruit", si forma nei 50-60 giorni successivi all’impollinazione: è una bacca di 150 – 600 g di peso, formata da sottile buccia, tanta polpa e moltissimi semi neri (20 % polpa, 75% polpa, 5% semi), che a maturazione diventa facile da comprimere leggermente con le dita (indice della maturazione). Dal punto di vista nutrizionale, 100 g edibili di dragon fruit apportano solo 36-40 kcal con 80–90 g di acqua,  0,15–0,5g di proteine, 0,1–0,6 g di grassi, 9-14% di carboidrati, 0,3–0,9 % di fibre, potassio circa 190 mg, calcio 6–10 mg, fosforo 16–36 mg, ferro 0,3–0,7 mg, vitamina C 4-25 mg, tracce di vit. A, Tiamina (B1), Riboflavina (B2), Niacina (B3) 0,2–0,5 mg. I valori nutrizionali ed energetici variano sia con lo stato di maturazione, sia a seconda del clima del Paese produttore (i principali sono Colombia, Ecuador, Brasile e Vietnam, con particolare abbondanza sui mercati mondiali durante le festività natalizie).

Vista la composizione in nutrienti, il dragon fruit possiede buone proprietà alimentari ed anche benefiche, tra le quali quella lassativa della polpa, astringente dei semi ed antiossidante (vitamine e tannini). In realtà l'effetto del frutto sull'intestino è di tipo modulatore, grazie alla presenza di fibre viscose quali pectina e mucillagini nella polpa, e di altri principi attivi prevalentemente astringenti contenuti nei semi (che tuttavia, non vengono masticati a fondo e spesso non incidono significativamente). Per questi aspetti il consumo di dragon fruit è quindi sovrapponibile a quello degli altri frutti (esotici o italiani), per un reciproco completamento nutrizionale ed energetico. Il dragon fruit per la ricchezza di semi è un alimento decisamente controindicato nella patologia della diverticolosi (disturbo a carico del colon che presenta estroflessioni dello strato mucoso, le quali se si infiammano originano la diverticolite).

Di dragon fruit esiste il tipo con buccia rossa (che stiamo esaminando) e il tipo con buccia gialla (originario del Messico, frutto del peso di 200-300 g, buccia verde con placche, diventa giallo quando a maturazione, presentando polpa bianca e ricca di succo con tanti semi scuri), ma il più commercializzato è il primo, su quale ci soffermeremo. Presenta polpa bianca, rossastra orosata, morbida, dal sapore non eccessivamente dolce, appena acidulo (un misto di kiwi/fico d’India/ananas), profumo delicato e piacevole che ricorda un pochino la liquirizia. Anche il sapore è delicato. 

Il dragon fruit si consuma preferibilmente fresco sia per apprezzare il profumo di questo frutto esotico, sia per trarre il meglio dei suoi benefici e proprietà nutrizionali. Per mangiarlo basta tagliare trasversalmente il frutto, poi aiutandosi con un cucchiaino scavare per estrarre e gustare la polpa. Molti usano il frutto svuotato come contenitore di macedonie fatte anche con lo stesso frutto. Altri consumano il prodotto fresco sbucciandolo e poi affettandolo (ma per farlo si consiglia che non sia troppo maturo).

In cucina il dragon fruit si presta ad entrare in accompagnamenti e decorazioni edibili di successo, grazie al suo aroma gentilmente esotico. In pasticceria tra creazioni di frutta tropicale, cheesecake, topping per gelati, nonché sorbetti e le sopra citate macedonie (ottimo in abbinamento a litchi e fragole). Ai nostri giorni lo potremo ritrovare anche in cocktail creativi (sia come ingrediente che come guarnizione), nonché in accompagnamento ad una fresca degustazione di crudi di mare. 

Un famoso drink preparato con il dragon fruit è l’agua de pitaya, da servire molto fresco per l’estate, poco calorico, molto ricco di fibre, consigliato a coloro che devono seguire una dieta ipocalorica. Si prepara con frutti di pitaya (5), acqua (2 litri), succo di limone (1 frutto), menta (poche foglioline), sciroppo di yacon (3 cucchiai, estratto dai tuberi di un tipo particolare di patata dolce, Smallanthus sonchifolius, diversa dalla classica patata zuccherina Ipomea batatas). Concludo segnalando che la pitaya si conserva bene anche fino a 10 giorni senza porla in frigorifero, sconsigliato perché il frutto non sopporta la bassa temperatura, con conseguente perdita di profumo e sapore.

Note bibliografiche
Cappelletti, Botanica generale, Ed. UTET
Cappelletti, Botanica sistematica, Ed. UTET
V. Forte, Nuovo dizionario tecnico di agricoltura, EDAGRICOLE
G. Lomazzi, Buona tavola, salute e bellezza con i frutti esotici, RED EDIZIONI
O. Cacioppo, Fico d’India e pitaya, FELTRINELLI
R. Ferraris, Verdura e frutta esotica – Se la conosci la cucini, TERRE DI MEZZO EDITORE

Photo via Canva

Scritto da Luciano Albano

Laureatosi nel 1978 con lode in Scienze Agrarie, presso l'Università di Bari, si è specializzato nel 1980 in "Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli" presso il C.I.H.E.A.M. (Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici del Mediterraneo) di Valenzano (Bari), ha conseguito nello stesso anno anche l'abilitazione alla professione di Agronomo. Fino al 1/3/2018 ha lavorato alla Regione Puglia nell'Ufficio Territoriale di Taranto, quale Responsabile della P.O. "Strutture Agricole". Appassionato di olio e vino ha conseguito il Diploma di Sommelier AIS nel 2005 e ottenuto nel 2008 l'Attestato di Partecipazione alle Sedute di Assaggio ai fini dell'iscrizione nell'Elenco Nazionale di Tecnici ed Esperti degli oli di oliva extravergini e vergini. Fino al 2018 è stato iscritto all'Albo Provinciale dei Dottori Agronomi e Forestali e come CTU presso il Tribunale di Taranto. Ama il food & beverage e ne approfondisce i vari aspetti tecnici, alimentari e storici

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