Il nuovo concetto di “ristorazione inclusiva” che mira a valorizzare le diversità
Scopriamo cosa c’è davvero nei bastoncini bianchi e arancioni che troviamo nei supermercati sotto il nome di “surimi”
Sembra ma non è…o forse, è più giusto dire non è quello che sembra e soprattutto non è quello che si crede. Il surimi, infatti, non è un alimento esotico come si potrebbe erroneamente immaginare, e non è propriamente pesce. Si, perché, la percentuale di pesce contenuta nei bastoncini bianchi e arancioni che troviamo nel banco dei surgelati o al banco frigo non supera il 30/40%, e non si tratta neppure di pesce di prima qualità.
Per fortuna, è una preparazione alimentare che sulle tavole trova uno spazio molto limitato, ma potrebbe comunque catturare l’attenzione degli amanti del pesce, dei cibi etnici, nonché di coloro che acquistano cibi il più possibile pronti da mangiare in tavola.
Con il termine surimi (che in giapponese significa letteralmente “pesce tritato”) si indica un prodotto composto da polpa di pesce (generalmente merluzzo d’Alaska), carboidrati vari e un’abbondante quantità di addensanti, coloranti e additivi. È proprio qui il nodo della questione: il surimi potrebbe essere definito come un “cibo non cibo”, un “pesce non pesce”, perché il sapore è dato sostanzialmente da aromi artificiali che vengono aggiunti ad un preparato quasi insapore.
Gli ingredienti con cui sono preparati questi bastoncini “al sapore di...”, quindi, non sono certo di prima qualità. La lavorazione avviene impiegando parti di scarto provenienti da altre lavorazioni del pesce (merluzzo, sgombro, alcune specie di carpe asiatiche), le quali vengono abbondantemente tritate, lavate e asciugate (depauperando così il contenuto di vitamine e sali minerali), poi pressate ed infine addizionate di sapore. Dalla lavorazione si ottiene una polpa bianca praticamente insapore che viene stesa in sfoglie e generalmente arrotolata per formare i cilindretti che troviamo pronti da acquistare. A questo impasto che vengono aggiunti vari elementi per migliorarne l’aspetto (albume d’uovo), per dare sapore (aromi di granchio, di vongole, di aragosta, ecc.) e colore (arancione, rosa o rosso) ed infine per permetterne la conservazione (sale, zuccheri e polifosfati). Fecola di patate, amidi, grassi vegetali, esaltatori di sapidità e stabilizzanti completano la preparazione.
Generalmente il surimi è utilizzato nelle cucine occidentali per “imitare” la polpa dei crostacei, con diversi sapori anche se quelli più diffusi sono quelli acquistati come “bastoncini di polpa di granchio” che in realtà contengono molte cose ma non polpa di granchio, del granchio hanno solo l’aroma artificiale.
In generale, se consideriamo il surimi come un cibo “falso”, dobbiamo anche considerare l’opportunità di evitarlo all’interno di una dieta sana e naturale, anche in considerazione dell’alta quantità di sale e zuccheri aggiunti e lo scarso apporto di nutrienti buoni. Dal surimi si ottengono inoltre finte chele di granchio fritte, finti affettati di mare o addirittura altri prodotti di forma simile ai crostacei come “gamberoni” dall’artificioso sapore di pesce. Anche in relazione al prezzo, il surimi non soddisfa affatto un adeguato rapporto in relazione alla qualità del prodotto offerto: ha infatti un costo medio di 13/15€ al kg e, considerato che a fronte di un 30/40% di materiale ittico contiene un 60/70% di additivi e composti chimici, non vale assolutamente.
Non fatevi ingannare dai “gamberi di surimi”!
Scritto da Viviana Di Salvo
Laureata in lettere con indirizzo storico geografico, affina la sua passione per il territorio e la cultura attraverso l’esperienza come autrice televisiva (Rai e TV2000). Successivamente “prestata” anche al settore della tutela e promozione della salute (collabora con il Ministero della Salute dal 2013), coltiva la passione per la cultura gastronomica, le tradizioni e il buon cibo con un occhio sempre attento al territorio e alle sue specificità antropologiche e ambientali.
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