Sappiamo farlo nel modo giusto?
Viaggio nei cibi di strada più antichi attraverso la storia delle dominazioni siciliane
Gaetano Basile, Piaceri e Misteri dello Street Food Palermitano, 132 pagg. 15 E, Flaccovio Editore 2015
Sono un cacciatore di libri. Tra le tante inutili pubblicazioni dell'editoria enogastronomica, cerco l'originalità, la serietà della trattazione, la piacevolezza della narrazione. Voglio che la lettura mi stimoli l'appetito gastrico e quello intellettuale. Caratteristiche che trovo già nelle prime pagine di questo prezioso volumetto, adeguatamente illustrato, in cui trovo, finalmente, la risposta ad una domanda che mi arrovellava da tanto tempo il pensiero sulle melanzana alla parmigiana.
Mi chiedevo come e quando questo ortaggio si fosse contraddistinto per il matrimonio col famosissimo cacio. Scopro che non è il formaggio che dà il nome al piatto, ma la disposizione delle melanzane affettate e fritte disposte in una teglia rettangolare in modo da sembrare una "parmiciana" ovvero la "persiana della finestra" in dialetto siculo. Uno svelamento che ribadisce la complessità del sistema alimentare, per la cui narrazione è necessario un approccio multidisciplinare con l'uso di metodologia storica e linguistica. Il cibo normalmente raccontato è banalizzato e travisato e non piuttosto considerato come il deposito più ricco di legami tra lingua, storia, territorio, usi e simboli di genti e paesi.
Ben oltre lo street food, l'autore e la sua narrazione vanno ben oltre il contesto palermitano, con i continui rimandi alle influenze esercitate nei secoli dalle diverse dominazioni e culture. La sudditanza linguistica all'inglese (street food) può indurre in errore e far credere che si tratti di un fenomeno recente, ma il cibo di strada ha origini e tradizioni ben più antiche di quanto si possa pensare restando confusi dalla narrazione di questa nostra post-modernità.
Non è, come forse pensano i più, una tradizione e un comportamento acquisito negli ultimi decenni, ma si origina con la nascita delle grandi concentrazioni urbane. Basta girare le megalopoli del mondo per rendersene conto. Basta leggere i resoconti dei canonici viaggi in Italia più famosi e, al primo posto, andrei a rileggere cosa scrive Goethe di Napoli nella descrizione che fece del suo viaggio che si svolse tra i 1786 il 1788 . Come ci spiega la ricerca scientifica, le illusioni cognitive tratteggiano i sentieri delle nostre pseudo conoscenze e tanto più, aggiungiamo, nel campo alimentare.
L'autore Gaetano Basile, premiato nel 2011 dall’Associazione della stampa estera in Italia come il "migliore divulgatore culturale della gastronomia italiana", ci guida in un viaggio che si snoda attraverso panelle, cazzili, arancine (a Palermo al maschile!), guastedde ca meusa, frittola, rascature e biancomangiare. Riviviamo la storia della cucina locale con annotazioni lessicali e aneddoti storici che gustiamo come il sapore delle ricette ben descritte negli ingredienti, nei metodo di preparazione e, in alcuni casi, anche accompagnate da tabelle nutrizionali.
Ci muoviamo attraverso vie, viuzze e vicoli seguendo una mappa veritiera dei luoghi dove poter gustare le pietanze per quasi ognuna delle quali viene raccontata una storia e quasi sempre si ricorre alle definizioni di dizionari lessicali ed autori che hanno fatto la storia delle tradizioni popolari. Giuseppe Pitrè, che studiò a fondo la cultura dell'isola, nel 1897 definisce "appestante il fumo che si levava per le strade" dove le stigghiole budelli attorcigliati di castrati vengono arrostiti allo spiedo.
Abbiamo scritto in altre occasioni che nel cibo e nella cucina molto forte è, più ancora che in altri settori culturali, la circolarità tra quello quotidiano consumato dai più e quello dei nobili e dei ricchi. Palermo in generale, così come Napoli, sono un esempio probante di tale affermazione. La varietà e la qualità delle materie prime, pur rivisitata, ingentilita, trasformata, speziata e imbandita, ha permesso in questi due città del Regno delle due Sicilie, di poter realizzare banchetti come quello del Principe di Salina, il Gattopardo, con il suo strepitoso timballo, dove si sposano i saperi e i sapori di secoli di storie e di civiltà diverse.
Cito letteralmente quanto scriveva nel 1970 A. Denti Di Pjrano nel suo Siciliani a tavola: "La cucina siciliana è la più antica d'Europa [...] I saraceni le apportarono la ricca fantasia orientale e gli impensati contrasti di sapori, i rozzi normanni l'arte di cuocere nei forni, gli arabi la perizia nel confezionare dolci e gelati, gli spagnoli il gusto delle preparazioni barocche, gli inglesi dai loro possedimenti coloniali l'uso di rhum e cioccolata, i francesi infine il dominio ottocentesco della haute cusine."
Quest'ultima influenza, come abbiamo avuto modo di dilungarci nel nostro precedente La Cucina di Corte napoletana, fu dovuta soprattutto alla presenza del monsù. I grandi sommovimenti legati alla Rivoluzione francese si fecero sentire anche nelle tradizioni culinarie. I grandi cuochi che avevano lavorato per le grandi dinastie d'oltralpe si dispersero nell'emigrazione e la cucina francese, l'unica codificata in Europa a quella data, iniziò il suo cammino verso una progressiva democratizzazione, colonizzando l'aristocrazia europea e ponendo le basi per l'avvento della gastronomi della nuova classe sociale emergente,la borghesia.
Eco di questo influenza nelle vicende politiche francesi sul cibo si trova anche nel racconto di Karen Blixen Il Pranzo di Babette. Anche in questo caso una cuoca francese, fuggita dopo la repressione nel sangue della Comune di Parigi del 1871, porta lo splendore della grande tradizione in una piccola comunità bigotta nel piccolo villaggio norvegese Berlevaag . Babette Hersant spenderà tutta la somma di una inaspettata vincita non per tornare a Parigi, ma per ricreare la magia dei suoi pranzi, imbandendo brodo di tartaruga e quaglie en sarcophage, bevendo Amontillado, Gran Cru Clos de Vougeot del 1846, Champagne Veuve Clicquot del 1860 e Vieux Marc de Champagne. Nel film, tratto dal racconto, si vede il potere di trasfigurazione del cibo frutto di una tradizione ideale, estetica e tecnica.
Scritto da Sergio Bonetti
Ha insegnato all'Università, si è occupato di piccole imprese e, negli ultimi anni, soprattutto di quelle del settore enogastronomico, per le quali ha promosso eventi legati alla cultura del territorio. Le sue grandi passioni sono i libri, il cibo, il vino…e le serie tv.
Ama viaggiare e per lui ogni tappa diventa occasione per visitare i mercati alimentari e scoprire nuovi prodotti, tecniche e tradizioni.
E’ inoltre appassionato di ricerca e dello studio di testi in ambito culinario, per contrastarne la spettacolarizzazione e i luoghi comuni.
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