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A ciascuno il suo preferito: noi abbiamo indagato su storia, origini e differenze fra i due formaggi grana più conosciuti e amati d’Italia
In questo appuntamento su ProDiGus ci troviamo di fronte a due campioni del Made in Italy, copiati da tanti, con storie parallele ma non sempre speculari tra loro. Entrambi i formaggi, ossia il Parmigiano Reggiano ed il Grana Padano, sono come due alberi secolari (hanno circa otto secoli di storia), le cui radici affondano in ed esplorano determinati territori, sfruttando ed esaltando tutte le caratteristiche climatiche, pedologiche ed umane di questi.
Il Parmigiano ha come substrato radicale le tradizioni dell’Emilia Romagna, in un preciso triangolo geografico in cui si produce questa eccellenza casearia. Luogo d’origine del Parmigiano é la valle del fiume Enza, nelle province di Parma, Reggio Emilia (entrambe richiamate nello stesso nome del formaggio), Modena, Mantova alla destra del fiume Po, Bologna sulla sinistra del fiume Reno. Il Grana Padano trova la sua origine in un territorio molto più ampio (ben 33 province del Nord Italia) di quello del cugino parmigiano, ma per entrambi l’inizio di tutto risale a tempi antichi, visto che Columella (noto antico scrittore dedito ad argomenti agricoli, nei secoli importante per gli studiosi di Scienze Agrarie con il suo testo De Re Rustica) e Marziale (Marco Valerio Marziale, nato in Spagna nell’attuale Catalayud nel nel 38 d.C. ed ivi morto nel 104, noto per i suoi epigrammi latini)nei loro scritti citano un formaggio le cui caratteristiche sembrano proprio quelle degli attuali due formaggi di cui stiamo tessendo le lodi.
Addirittura anche Boccaccio cita il parmigiano nel suo Decamerone intorno al 1350 (Giornata VIII, Novella III), collocandolo in una contrada di fantasia, chiamata Bengodi (il nome dice già tutto), laddove c’era una montagna di Parmigiano grattugiato nella quale i cittadini affondavano ravioli cotti nel brodo di cappone, oltre a maccheroni () con salsa di pomodoro. Ma il Grana Padano non è da meno, visto che già nel 1477 era già famoso in tutto il territorio padano e aree confinanti. Grazie ai monaci (quelli dell’abbazia di Chiaravalle per il Grana Padano, quelli benedettini e cistercensi tra Reggio e Parma per il Parmigiano) e castelli, comincia poi nel 1200-1300 la diffusione del Parmigiano nelle terre della vicina Toscana, proseguendo in tutto il Mediterraneo e nel resto d’Europa, dato che tutti i cuochi delle famiglie reali e di quelle nobili lo apprezzavano sia in ricette salate che dolci, così come accadeva anche per il Grana Padano.
Nel tempo la fama della qualità ed esclusività del Parmigiano Reggiano diventano tali da dover essere tutelate con una specie di disciplinare, datato 1612, per evitare le falsificazioni; negli anni trenta del secolo scorso, sempre nell’ottica di tutelare produttori e consumatori, viene fondato il Consorzio di Tutela, mentre il nome attuale viene ufficializzato nel 1938 (1954 per quello del Grana Padano). Il riconoscimento della DOP giunge per entrambi i formaggi nel 1996. Seguendo quanto prescritto dal Disciplinare di Produzione, per fare un solo chilo di Parmigiano Reggiano occorrono ben 16 litri di latte (560 litri per una forma intera che in media pesa 30 – 40 kg), il quale deve provenire da razze bovine specifiche (Frisona e Reggiana Rossa), alimentate senza ricorrere a foraggi fermentati (i cosiddetti insilati, ottenuti ponendo i foraggi freschi a fermentare, con o senza aggiunta di colture batteriche, nei silos verticali o a trincea [coperta con teloni di plastica per proteggerli dalla pioggia e dai raggi solari]), ma soltanto con foraggi freschi (al pascolo) e fieni (entrambi di origine locale), oltre che con mangimi di origine vegetale, con esclusione perciò di ogni integratore animale.
il Parmigiano diventa così frutto della natura e di una cura appassionata e secolare. Si pensi che pur di avere un buon latte e non sforzare troppo l’organismo animale, ogni vacca il cui latte è destinato al Parmigiano produce soltanto un terzo di ciò che potrebbe produrre (questo spiega il prezzo più elevato rispetto al Grana, oltre che per le più accurate fasi produttive e la minore estensione territoriale del disciplinare, da cui una minore massa di latte da trasformare e su cui scaricare i costi fissi e variabili della trasformazione, e per la durata maggiore della stagionatura rispetto al concorrente; infine per la necessità di mangimi locali e non di massa o da zone esterne)
Senza entrare nel dettaglio della tecnica e tecnologia di produzione (dato che, pur con le dovute differenze, ricalca la classica metodologia casearia di altri formaggi), mi piace evidenziare che la stagionatura del Parmigiano Reggiano dura almeno un anno, ottenendo il tipo nuovo, mentre con maturazione tra 12 e 18 mesi si ottiene quello maturo, con 18-24 mesi si parla di Parmigiano vecchio, con 24-36 mesi di parla di Parmigiano stravecchio. Durante la stagionatura le forme sono sottoposte non solo a continui rivoltamenti con macchine sollevatrici e rotanti, ma anche all’espertizzazione, cioè al continuo controllo di un esperto, il quale usando il martelletto, l’ago e la vite (per accertare consistenza, aroma e grado di maturazione), seleziona (e rende perciò commerciabili) le forme che hanno superato il suo esame, facendo apporre su di esse quanto previsto dal Disciplinare, per indicare le forme di scarto, quelle di tipo classico (che proseguono nella stagionatura) e quelle di tipo extra (che superano i 18 mesi di stagionatura).
Tecnicamente il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano sono formaggi a latte vaccino crudo (cioè di vacca e riscaldato intorno a 32°C, per aggiungere il caglio esclusivamente di vitello, mai vegetale), a pasta cotta (cagliata cotta, dopo la rottura a chicco di riso, a circa 55°C), consistenza dura (quando il contenuto di acqua è inferiore al 38%), a stagionatura lenta (quando dura da 6 a 24 mesi), semigrasso (quando il contenuto dei lipidi sulla s.s. è compreso tra 22-42%).
In commercio il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano si presentano con forme cilindriche molto grandi e pesanti: 30-40 kg, diametro 20-26 cm, scalzo (bordo curvo) di 18-24 cm; la crosta dura e di colore paglierino, ha uno spessore di circa 6 mm, mentre la pasta ha una consistenza granulosa, friabile, tale da originare scaglie e non classiche fette, con occhiature appena visibili fatte di buchini piccolissimi. Caratteristico e inconfondibile (ne è testimonianza la continua imitazione di questi formaggi) è l’aroma fragrante, delicato, mai piccante, con una piacevole salinità che aumenta con l’invecchiamento per riduzione della quota di umidità, senza diventare mai salato.
Ci tengo a evidenziare che Parmigiano e Grana pur simili hanno differenze non da poco. Molti consumatori ritengono simili il Parmigiano Reggiano e il Grana padano, perché molto vicini per forma cilindrica e peso di questa, tipo di pasta dura e friabile, caratteristiche olfattive e gustative. In realtà ci sono differenze nell’alimentazione delle vacche (nel Grana sono ammessi i foraggi fermentati, (in particolare di mais) i quali apportano altri batteri oltre quelli naturalmente presenti nell’erba fresca e nel fieno), nell’ampiezza del territorio di produzione (il Grana Padano ha un’area di produzione comprensiva di Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Trento Alto Adige con ben 33 province, mentre per Parmigiano queste sono soltanto 3 come visto), nelle mungiture (mentre per il Parmigiano il latte della mungitura serale viene scremato per affioramento e quella della seconda si usa intero, nel Grana Padano il latte delle due mungiture consecutive viene scremato per affioramento, per cui il Grana è appena meno ricco di grassi), nella stagionatura (per il Parmigiano minimo 12 mesi e massimo 36 e oltre – fino a 72 -, per il Grana Padano minimo 9 mesi e massimo oltre 20 mesi e oltre).
Ma ciò che più differenzia i due famosi formaggi è che mentre nel Parmigiano Reggiano non è consentita l’aggiunta di alcun additivo, nel Grana Padano è permesso invece aggiungere il lisozima (prima era la formaldeide, poi risultata cancerogena), una sostanza che evita fermentazioni anomale dovute alla diversa alimentazione delle bovine e uso si starter batterici selezionati o da insilati, per cui (a differenza del Parmigiano) ad agire non è solo la flora batterica indigena. Da tale scelta si è allontanato il Consorzio che produce il Trentingrana (con area di produzione solo nel Trentino), per il quale non si usano foraggi fermentati e non si usa il lisozima, per cui il rischio di fermentazioni anomale è remoto (per questo Grana esiste uno specifico Disciplinare di Produzione). Precisiamo però che il lisozima è una sostanza proteica naturalmente presente in tracce nel latte bovino, in quello materno, oltre che nelle uova, per cui anche se classificato tra i conservanti, non possiamo equipararlo alle sostanze sintetiche che hanno la stessa funzione. Nulla di “grave”, dunque, nel pregiudicare la qualità comunque ottima del prodotto.
Note bibliografiche
- T. Sicard, Atlante dei formaggi. Origini, territorio, abbinamenti, Ed. G. Tommasi
- Mucchetti – Neviani, Tecnologia casearia, Ed. Tecniche Nuove
- AA.VV. Merceologia degli alimenti, Ed. AIS
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