Il ciauscolo

Un salume particolare… perché tutto da spalmare! Conosciamo origini, storia e usi del delizioso ciauscolo marchigiano

Il ciauscolo

Di salume spalmabile o da usare come condimento, fino a poco tempo fa, personalmente conoscevo soltanto la famosa ‘nduia calabrese: per questo sono rimasto piacevolmente sorpreso quando mia figlia mi ha offerto in regalo il ciauscolo (o ciavuscolo o ciabuscolo), definendolo subito salame da spalmare. Ho voluto approfondire l’argomento e mi sono documentato (soprattutto dopo averlo assaggiato!), scoprendo innanzitutto che si tratta di un salume insaccato tipico delle Marche, ma diffuso anche nella vicina Umbria. Quello delle Marche è un prodotto IGP (riconoscimento nazionale nel 2006, europeo nel 2009).  

Il nome del ciauscolo secondo alcuni trova la sua origine nel termine latino ciabusculum o cibusculum, con il quale si indicava un pasto dalle dimensioni ridotte, facile da trasportare al lavoro, specialmente nei campi, nell’edilizia e in tutti i casi di attività lavorativa faticosa e bisognevole di energia (grassi) e proteine (carne), facile da digerire, gustoso, poco costoso o tale da poter essere prodotto in proprio (massimizzando l’economia familiare nell’alimentazione). Peccato però che io non abbia trovato tale termine sul vocabolario di latino. Secondo altri, ciauscolo deriverebbe, al netto del prefisso cia, da iusculum, termine che in latino indica un brodetto: non ne sono molto convinto, ma potrebbe rifarsi probabilmente al fatto che durante la lavorazione vi è un momento in cui il ciauscolo sembra semiliquido, come una salsetta (tanto che poi diviene spalmabile). Data l’incertezza dell’origine, ai posteri l’ardua sentenza!

Ma torniamo al nostro salame spalmabile, per dire che il ciauscolo IGP viene prodotto in un territorio ben delimitato: molti comuni delle province di Ancona, Macerata e Ascoli Piceno, mentre quello umbro (non IGP) viene prodotto su tutto il territorio, anche perché l’arte norcina trova la sua patria proprio in questa piccola ma splendida regione italiana. E’ scontato ricordare che le regole di produzione valgono solo per quello IGP, mentre per la tipologia priva di marchio tutto si gioca sul know-how della tradizione norcina. Ci soffermeremo in particolare sull’analisi del ciauscolo IGP, anche perché quello umbro si rifà comunque alle medesime metodologie produttive e merceologiche, ancorché non codificate. 

Il ciauscolo si ottiene dalla carne dei suini di razza Large White Italiana, Landrace Italiana e Duroc, oltre che da suini derivati da incroci tra queste razze. Questi animali sono alimentati secondo disciplinare, e vengono macellati quando raggiungono il peso superiore a 145 e massimo di 200 kg, preferendo quelli di 170 kg, cioè quando diventano suini pesanti, utile sia per prosciutti crudi e cotti, sia per altri salumi (quello leggero non supera i 120 kg e lo troviamo nei supermercati, in vari tagli). I suini (non deve trattarsi però di verri e scrofe) vengono macellati non solo al raggiungimento del peso ma anche di una determinata età, compresa tra il nono e il quindicesimo mese di vita, in quanto il disciplinare prevede accrescimenti giornalieri moderati.

Per fare il ciauscolo si usano pancetta per un massimo del 70%, spalla per un massimo del 40%, rifilature di prosciutto (coscia, parte superiore della zampa posteriore) e lonza (o lombata, visto che proviene dai lombi dell’animale, cioè dalla porzione dorsale che precede le natiche) fino a un massimo del 30%. Tutte queste parti, dopo essere state ripulite dal grasso molle ed eccessivo (non dimentichiamo che si tratta di un maiale pesante, che accumula molto grasso e non tutto di tipo adatto ai salumi), dal connettivo più evidente, ghiandole e altre parti che risulterebbero inutili o dannose per il ciauscolo, devono restare in frigorifero per almeno 2 giorni e al massimo 10, per un’ottimale frollatura

Segue la macinatura nel tritacarne, avendo cura però di non far riscaldare la massa (cosa che accadrebbe se la massa fosse subito ridotta ai minimi termini) e di ripassare diverse volte nel tritacarne, riducendo ogni volta il diametro dei fori, fino a giungere a quello compreso tra 2 e 3 mm, in modo da noi stressare la carne ma portarla pian piano a diventare sempre più minuta e tale da essere, alla fine del procedimento, spalmabile agevolmente. Comincia adesso la lavorazione dell’impasto (a mano o a macchina, a seconda del tipo di produzione: casalinga, aziendale, artigianale, industriale), fase in cui questo viene reso omogeneo e addizionato di sale e spezie varie, come pepe nero macinato, vino (bianco possibilmente per non scurire l’impasto), aglio pestato e fatto macerare per qualche ora nel medesimo vino. 

Come accaduto con la carne di partenza, anche l’impasto a questo punto viene fatto riposare in frigo per almeno 24 ore, in modo da consentire alla carne e agli additivi di fondersi in modo completo, evitando che alla fine al gusto si senta troppo la carne o uno solo degli aromi o il sale. L’insaccamento viene eseguito ricorrendo a budello di bovino o di maiale, quindi a un prodotto naturale, opportunamente pulito, tenuto un pochino sotto sale, poi dissalato in un bagno di vino o aceto, in modo da igienizzarlo completamente e non compromettere la conservabilità (peraltro già limitata) del ciauscolo. 

L’insaccamento non deve essere effettuato in modo frettoloso, in quanto il ciauscolo dovrà presentarsi continuo al suo interno, cioè non si dovranno creare bolle d’aria: questo non solo per estetica ma anche per evitare che in quelle sacche di aria (trattandosi di un prodotto non pastorizzato o molto salato) si sviluppino batteri e muffe capaci di deteriorare il prodotto. Adesso il budello riempito può essere legato, usando spago di canapa (ancora una volta un prodotto naturale), legando solo le due estremità del salsicciotto o anche facendo legature intermedie, in funzione della lunghezza e del diametro del ciauscolo (si tenga presente che in commercio questo salume ha peso da 400 g a 2,5 kg, diametro tra 4,5 e 10 cm, lunghezza tra 15 e 45 cm). 

Segue l’asciugatura per eliminare l’umidità della parte più esterna del cilindro, posizionando il ciauscolo in locali arieggiati e freschi o in celle controllate, appeso a mezz’aria per un tempo che varia da 4 giorni a una settimana, sempre in funzione delle dimensioni del pezzo. Il produttore è libro di decidere se affumicare il prodotto, seguendo le norme igienico sanitarie per tale operazione (ricordiamo che tale operazione consente una maggiore conservabilità, oltre che conferire aromi e sapori apprezzati da alcuni consumatori). A conclusione del procedimento produttivo, il ciauscolo viene messo a stagionare (maturare) in locali con T tra 8 e 18°C e UR tra 60 e 85% (in modo da lasciarlo morbido e non privarlo di umidità, ma consentire le trasformazioni biochimiche per profumo e sapore finali), per almeno 15 giorni.

Quando produzione e stagionatura avvengono non solo nella zona definita dal disciplinare (obbligatorio per un IGP) ma anche in aree da disciplinare considerate “di montagna” ai sensi del regolamenti UE, il ciauscolo IGP può essere commercializzato aggiungendo la dicitura “prodotto di montagna”.  Le aree di montagna sono quelle individuate dall’art. 32 par. 1 e 2 del Reg. (UE) 1305/2013: sono quelle aree con altitudine s.l.m di almeno 500 m, caratterizzate da una notevole limitazione delle possibilità di utilizzazione della terra e da un considerevole aumento dei costi di produzione, per cui sono particolarmente aiutate, anche al fine di evitarne lo spopolamento con gravi conseguenze per la cura dell’ambiente naturale e del paesaggio agrario di una zona. 

Il disciplinare di produzione consente l’aggiunta di additivi che favoriscono l’attività dei batteri acidificanti, favorevoli alla fermentazione e alla formazione di sapore e profumo, oltre che alla conservazione del prodotto (quindi lattosio, destrosio, fruttosio e saccarosio). E’ consentito anche aggiungere all’impasto l’acido L ascorbico (E300), l’ascorbato di sodio (E301) e il nitrato di potassio (E252), tutte sostanze che conservano meglio la carne in quanto antisettici e le fanno mantenere il colore rosato. Non è consentita invece l’aggiunta di farine latte, caseinati e sostanze coloranti. 

Il prodotto finale si presenta di consistenza tanto morbida da essere spalmabile, di colore rosato – rosato chiaro, uniforme, di sapore appena sapido, tendente al dolce (sia perché si tratta di carne, sia per la presenza di tanto grasso, sia per la non rilevante salagione), profumo molto delicato, non rilevante però (salvo l’uso abbondante di spezie o pepe nero o affumicatura). Mangiare ciauscolo è un vero piacere, ma come spesso accade con le cose buone occorre stare attenti alle calorie, visto che 100 g di prodotto apportano circa 300 kcal, considerato che la percentuale di grasso oscilla dal 32 al 42%, le proteine tra il 15 e il 25%. Mangiatelo presto dopo averlo comprato, conservandolo al massimo per 20 – 30 giorni (al massimo 2 mesi), conservandolo in frigorifero a 3 – 4°C.

Ma come possiamo usare il ciauscolo a tavola e in cucina? La regola più semplice e importante da seguire per la sua degustazione in purezza è avere sempre l’accortezza di tirarlo fuori dal frigorifero 15-20 minuti prima di degustarlo, affinché la sua consistenza e i suoi aromi siano percepibili al meglio. Il ciauscolo è perfetto anche da spalmare sulle bruschette e abbrustolire velocemente in forno, sulla piastra o sulla graticola con un bel fuoco accesso. Il ciauscolo sarà ottimo anche per rifinire all’ultimo nel piatto ricette a base di pasta o risotti; è fondamentale avere cura di non sottoporlo a cotture troppo prolungate, altrimenti il grasso contenuto al suo interno si discioglierebbe completamente, rovinando il prodotto. Il ciauscolo è una delizia anche per farcire semplicemente un panino, una focaccia, un toast, o da servire in tavola un prelibato tagliere misto di salumi. 

Per un ciauscolo degustato sul crostino consiglio vini bianchi, giovani e freschi, magari vivaci, data la grassezza e la tendenza dolce del preparato; saranno vini morbidi per via del sale e delle spezie presenti, oltre che profumati per la presenza di aglio e di pepe nero macinato. Non sfigureranno i rosati di qualità, che con il loro tannino accennato stemperano la succulenza indotta dalla salagione del salume (non si tratta di vera succulenza in quanto non vi sono liquidi aggiunti alla preparazione). Quanto all’alcol, teniamoci almeno sui 12°C, in modo da sciacquare la bocca dall’untuosità indotta dal grasso (non è vera untuosità perché non dovuta all’aggiunta di grassi liquidi).
 

Fonti bibliografiche 

  • C. Cipolla, La grande salumeria italiana, Ed. Franco Angeli
  • M. Nocilla - C. Panphili, Grandi salumi, Ed. Gambero Rosso
  • Le vie consolari, Ed. Touring
  • Falloppi-Parolin-Sandri, Affetto in cucina. I salumi tipici e le ricette della cucina regionale italiana, Ed. Terra Ferma
  • AA.VV., Merceologia degli alimenti, Ed. AIS
  • AA.VV., Tecnica dell’abbinamento cibo vino, Ed. AIS

Photo via Canva

Scritto da Luciano Albano

Laureatosi nel 1978 con lode in Scienze Agrarie, presso l'Università di Bari, si è specializzato nel 1980 in "Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli" presso il C.I.H.E.A.M. (Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici del Mediterraneo) di Valenzano (Bari), ha conseguito nello stesso anno anche l'abilitazione alla professione di Agronomo. Fino al 1/3/2018 ha lavorato alla Regione Puglia nell'Ufficio Territoriale di Taranto, quale Responsabile della P.O. "Strutture Agricole". Appassionato di olio e vino ha conseguito il Diploma di Sommelier AIS nel 2005 e ottenuto nel 2008 l'Attestato di Partecipazione alle Sedute di Assaggio ai fini dell'iscrizione nell'Elenco Nazionale di Tecnici ed Esperti degli oli di oliva extravergini e vergini. Fino al 2018 è stato iscritto all'Albo Provinciale dei Dottori Agronomi e Forestali e come CTU presso il Tribunale di Taranto. Ama il food & beverage e ne approfondisce i vari aspetti tecnici, alimentari e storici

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