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Sul nuovo trend dei vini invecchiati in fondo al mare e delle degustazioni organizzate "in immersione"
Dopo il vino invecchiato nello spazio arriva quello invecchiato nelle profondità marine: alcuni produttori stanno scegliendo infatti di affinare i loro vini nelle profondità marine e addirittura di fare assaggi e degustazioni in immersione: è questa, a quanto pare, l’ultima tendenza del settore.
Sono sempre di più i produttori, in Italia e all’estero, che abbandonano la cantina tradizionale per affinare e invecchiare il vino negli abissi sfruttando le proprietà dell’acqua di mare per la maturazione delle loro bottiglie. Si tratta infatti di vere e proprie cantine sottomarine create nei fondali, incastonate tra gli scogli o addirittura nascoste all’interno di relitti di navi affondate.
Ma cosa succede ad una bottiglia di vino in fondo al mare? Perché scegliere di affinare sott’acqua piuttosto che in una più comoda cantina magari scavata nella roccia? I promotori di questo metodo di affinamento ritengono che il particolare microclima che si crea con una temperatura costante, l’assenza totale di luce e di ossigeno, cui si aggiungono il movimento delle correnti (che eliminano i solfiti e l’acidità) e delle onde che cullano le bottiglie, nonchè il completo riparo dalle fasi lunari, permettano condizioni ottimali per la maturazione del vino.
La fermentazione del vino avviene in maniera completamente naturale, coadiuvata esclusivamente dalle proprietà chimico-fisiche del mare. L’ambiente marino favorirebbe infatti lo sviluppo di proprietà organolettiche, sentori olfativi e gustativi speciali ed unici che non si possono ottenere con il metodo di affinamento tradizionale. La penombra, la temperatura e il movimento oscillante (soprattutto per le bottiglie di vino frizzante che vengono naturalmente “agitate” dal ritmo marino che esercita peraltro una forte “contro-pressione”) donano un carattere più intenso al sapore, un gusto più fresco e rotondo al vino.
Inizialmente si è trattato di una vocazione a carattere territoriale, relegata all’ambizione di pochi produttori, poi l’interesse di quegli stessi ha portato a creare l’Undersea Wines, un consorzio per la tutela del metodo di affinamento subacqueo con l’obiettivo di approfondire scientificamente l’effetto che la profondità provoca sui vini. La fermentazione sottomarina, infatti, consente al vino di acquisire tannini più raffinati e un maggior senso di freschezza al palato.
Questa procedura, tuttavia, come si può facilmente intuire, comporta un aumento dei costi, al momento stimati in un 30/40% in più rispetto ai costi tradizionali dell classico "invecchiamento terrestre”. Gli incrementi sono dovuti essenzialmente ai costi per la produzione e la progettazione delle gabbie di affinamento, per la loro installazione, per la produzione degli involucri che proteggono il tappo in sughero da contaminazioni. A questo corrisponde, di contro, un risvolto positivo dato da un interessante ridotto impatto ambientale, determinato da una riduzione delle emissioni di CO2 e da un minore uso di risorse energetiche, che rende il processo più ecosostenibile nel suo complesso rispetto alla tradizionale vinificazione terrestre.
Il nostro Paese sperimenta questa tecnica dalla Liguria alla Sardegna passando per l’Emilia Romagna. Tra i pionieri dell’affinamento marino in Italia troviamo l’azienda vinicola Bisson (Liguria) che nel 2009 ha creato una cantina nei fondali marini a largo delle coste di Porto Fino. Oggi in quegli stessi fondali vengono immerse ben 30.000 bottiglie destinate anche ai mercati esteri, che offrono al consumatore pezzi unici, modellati dal mare, con incrostazioni marine inimitabili dovute al fouling (cioè al lavoro degli organismi marini dei fondali che creano disegni e rilievi di bellezza apri ad opere d’arte).
In Emilia Romagna, la Tenuta del Paguro di Brisighella dal 2010 affina bottiglie di Merlot, Sangiovese e Cabernet al largo di Ravenna, nel relitto di una piattaforma petrolifera che affondò nel 1965 a seguito di un incidente (dichiarato sito di importanza comunitaria) che ha reso l’oasi sottomarina l’ambiente perfetto per un vino speciale e pregiato. Nelle profondità del lago di Cala di Forno, in Toscana, si trova una cantina che ospita 9000 bottiglie di vino rosso Terre di Talamo (uve Syrah, Cabernet sauvignon, Merlot), e in Sardegna i fondali delle acque del Parco di Porto Conte (Alghero) ospitano la produzione della Cantina Santa Maria La Palma che matura il proprio vino da uve di Vermentino prodotto con metodo charmat ad una profondità di 40 metri.
Inizialmente considerata come una ardita e sapiente mossa di marketing, messa in atto con lo scopo di rendere più esclusive alcune bottiglie ed etichette e di offrire pezzi unici da collezione, nell’ultimo decennio la tecnica si sta imponendo - in Italia e all’estero - con risultati sorprendenti, riuscendo ad immettere sul mercato degli underwater wines interessanti e meritevoli di nota dal punto di vista qualitativo. Anche al largo delle coste di Francia, Spagna, Grecia, Croazia e ancora Stati Uniti, Cile e Australia troviamo aziende e startup che sperimentano questa modalità di lavorazione e maturazione marina del vino in zone riservate. Nessuna azione legata a questa tipologia di processo di maturazione del vino danneggia o mette in pericolo l’ecosistema marino e la sopravvivenza delle specie floristiche e faunistiche.
Sarà il tempo a dircelo, ma non dimentichiamo che questa tecnica ha origini antichissime, si ispira alla storia greco-romana che già sfruttava le caratteristiche chimiche del mare per accelerare il processo di vinificazione. Ai posteri l’ardua sentenza!
Photo via Pexels
Scritto da Viviana Di Salvo
Laureata in lettere con indirizzo storico geografico, affina la sua passione per il territorio e la cultura attraverso l’esperienza come autrice televisiva (Rai e TV2000). Successivamente “prestata” anche al settore della tutela e promozione della salute (collabora con il Ministero della Salute dal 2013), coltiva la passione per la cultura gastronomica, le tradizioni e il buon cibo con un occhio sempre attento al territorio e alle sue specificità antropologiche e ambientali.
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