E allora… mushiska!

Una tradizione ereditata dai pastori che praticavano la transumanza delle greggi: scopriamo la carne essiccata tipica della Puglia

E allora… mushiska!

L’arte di conservare la carne per renderla più serbevole è senza dubbio (e da tempo immemore) una vera specialità del popolo italico. Coppe, prosciutti, mortadelle e salami regnano sovrani nella gastronomia di ogni regione, da Nord a Sud: ma non bisogna dimenticare che tutta la conoscenza umana che ha guidato all’ottimizzazione commerciale attuale di questi prodotti deriva da una metodologia tra le più arcaiche, che consisteva semplicemente nel trattare la carne con del sale e lasciarla essiccare. 

Proprio come accadeva - e ancora oggi accade, benché per l’ottenimento di piccole produzioni di nicchia – nelle zone collinari e montane dell’area garganica della Puglia, dove è ancora radicata una tradizione antica che prende il nome di mushiska (o anche mesciscke, muscisch’ka, muscisca): un prodotto a base di esclusiva carne magra di capra, pecora o giovani bovini (questi ultimi tipicamente di razza podolica), tagliata a strisce larghe 2-3 cm e lunghe 20-30 cm, poi condite con sale, semi di finocchio, peperoncino e aglio e lasciate essiccare. Nel comune di Andria, ne esiste anche una versione a base di carne equina; i pastori in generale usavano per lo più recuperare la carne dei propri animali che morivano di vecchiaia per ricavare la mushiska. 

In tempi moderni, per motivazioni di sicurezza igienico-sanitaria, per produrre la mushiska ci si serve di appositi essiccatoi al cui interno la temperatura e l’umidità sono rigorosamente controllate. Un tempo l’essiccazione avveniva sotto il sole cocente: questa carne salata, aromatizzata ed essiccata trovava infatti le sue origini tra i pastori del Gargano, che usavano mettere le strisce a seccare poste su stuoie di canna, a loro volta sistemate sui muretti o sulle capanne in pietra a secco tipiche del luogo, o ancora venivano appese su un filo di cotone che collegava un cespuglio erboso a un altro, il tutto per garantire sempre e comunque una ottimale ventilazione del prodotto. 

I pastori avevano anche cura di porre la mushiska lontano dalle mandrie, affinché la carne potesse essiccare in totale isolamento, e spesso avevano persino l’accortezza di coprire con dei veli la carne per non farla attaccare dagli insetti. Il periodo di essicazione poteva variare in base alle condizioni atmosferiche, ma in genere occorrevano circa 20 giorni affinché il prodotto fosse pronto da consumare, crudo oppure arrostito

L’aspetto della mushiska pugliese è più scuro rispetto alla carne fresca, con sfumature marroncine, dovute alla sua naturale ossidazione: i pastori hanno avuto ben modo di imparare che questa mutazione cromatica non rappresentava un rischio per la salute, anzi, portava ad ottenere una carne salata che un tempo era una delle poche possibilità per loro di potersi nutrire di proteine animali durante i lunghi periodi di permanenza nei pascoli, specialmente nel periodo della transumanza

Oggi la mushiska è ancora una ricetta tradizionale pugliese, in particolare delle cucine dei comuni di Minervino Murge e Spinazzola, ma in passato era diffusa un po' ovunque in zona, fino ai territori dell’Alta Murgia e all’Abruzzo. Questo accadeva certamente per via dell’esistenza, dal 1447 al 1806, della Regia dogana della mena delle pecore di Puglia, antica istituzione aragonese che rappresentava la dogana regolamentatrice della "mena" (ovvero la conduzione) relativamente ai settori dell’agricoltura, dell'allevamento e della transumanza dal Tavoliere delle Puglie al Salento (la sua esistenza permetteva la riscossione di proventi dai pastori i cui armenti svernavano nel territorio). Dal 1532, la sua competenza si estese anche all'Abruzzo: proprio grazie agli incontri dei pastori, provenienti da aree diverse, presso le poste del sistema doganale degli Aragonesi, le tradizioni gastronomiche sono andate mescolandosi, e ricette come la mushiska (ma anche gli arrosticini e le testine d’agnello cotte sui carboni ardenti) sono entrate a far parte di diverse tradizioni pastorali della zona.  

Si pensa che anche l’isola di Cipro abbia tratto spunto dalla mushiska (o viceversa?) per una preparazione tradizionale molto simile, che prende il nome di tsamarella, oggi poco diffusa (e tutelata da presidio Slow Food), ma che rappresenta appunto carne di capra condita con sale e origano poi essiccata al sole. Tuttavia, l’etimologia del termine mushiska parrebbe derivare da un vocabolo marinaro, ovvero “mosciame” (con le sue varianze dialettali pugliesi): dopotutto, anche il pesce e le sue parti potevano subire lo stesso identico processo e guidare all’ottenimento di un ottimo prodotto a più lunga conservazione e dal gusto ben gradito. 

Fonti sitografiche:

Scritto da Redazione ProDiGus

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