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Il suo nome botanico è critmeto, ma prende anche il nome di “paccasassi” o “ferruggiu marin”: scopriamo questa deliziosa pianta marittima
Se siete pugliesi o se vi è capitato più volte di visitare gli splendidi luoghi (e soprattutto le coste) di quella bellissima regione del nostro meridione che è la Puglia, è possibile che la vostra vista si sia imbattuta su bassi e fitti tappeti di verde che si sviluppano sulle scogliere rocciose dei litorali locali. Agli occhi della maggior parte delle persone, questo spettacolo rappresenta ancora una delle tante particolarità naturali che rendono unica la Puglia, ma in pochi sanno che si tratta di una pianta ben specifica, che prende il nome di critmeto (Crithmum maritimum, volgarmente conosciuto come finocchio di mare) e che in passato era oggetto di grande raccolta da parte delle genti del luogo, grazie alle proprietà alimentari e medicinali che può vantare.
Il nome botanico Crithmum proviene in tutta probabilità dal greco antico krithmon: secondo alcuni studiosi tale termine sarebbe da collegare con l’etimologia kreas (“carne”) e tèmno (“tagliare”), che starebbe ad indicare una tipicità propria della pianta, ovvero il possedere foglie carnose che sembrano come tagliate a fettine. Secondo altri, invece, deriverebbe dalla parola krithe (“orzo”) per la somiglianza del frutto del finocchio di mare con la cariosside di questo cereale. Ma è la stessa antica radice del nome a confermare anche l’uso arcaico della specie vegetale, celebre un tempo nella cucina e nella medicina popolare non solo pugliese, ma anche di Sardegna, Sicilia, Campania, Marche (dove il critmeto prende il nome di paccasassi e si trova ancora in vendita in conserva nei negozi di specialità tipiche), Toscana e Liguria (nel genovese la pianta viene chiamata ferruggiu marin, e nella fascia costiera fino a Nizza l’eccessiva raccolta ne provocò quasi la completa scomparsa).
Il critmeto era consumato un tempo in tantissime zone costiere d’Italia soprattutto come verdura cotta, o in alternativa veniva posto in conserva sott’aceto o sott’olio: in entrambi i modi poteva poi rientrare nell’aromatizzazione di minestre, salse e altri condimenti, con il suo sapore balsamico e i sentori marittimi che la fanno somigliare nel gusto in parte alla salicornia e in parte al finocchietto selvatico, con i suoi retrogusti che sommano salato, appena amarognolo e a volte, a seconda dell’habitat di crescita, persino una nota leggermente piccante.
Nel Salento leccese, la pianta assumeva tantissime denominazioni (ripili, crìtimi o crìtimu, trìtimu, saplippici, erva ti mare, salissia) e la raccolta delle foglie tenere per il consumo fresco si protraeva da maggio fino a luglio. Queste venivano consumate anche fresche in insalata, nonché come farcitura per panini e friselle, ma soprattutto la tradizione voleva che le foglie tenere appena raccolte fossero lasciate asciugare ed appassire brevemente sotto il sole estivo, per poi essere sistemate in vasetti a chisura ermetica coperti da aceto di vino bianco, per poi essere riposti a maturare per mesi. Ci si accorse così che il finocchio di mare non diventava solo più buono lui stesso da mangiare, ma faceva sì che si ottenesse anche una aceto intensamente aromatico, altrettanto buono da impiegare in cucina (la sua parte alcolica è perfetta per accogliere al meglio tutte le molecole aromatiche che compongono il profumo intenso del finocchio di mare).
Ma quali sono ancora oggi le qualità che più fanno apprezzare questa pianta, che benché antica e quasi scomparsa possiamo comunque a ben cercare trovare in degustazione “amena” o addirittura in acquisto (noi abbiamo trovato i paccasassi lo scorso anno in un piccolo negozio di generi alimentari a Recanati) presso le località costiere più belle d’Italia? Accanto al suo particolarissimo sapore, tutto da provare, il finocchio di mare ha dalla sua parte un alto contenuto in vitamina C (circa 41 mg/100 g), e vanta proprietà digestive, diuretiche, toniche e vermifughe conseguenti al consumo possibile di ogni parte della pianta. Molto apprezzata anche per l’aiuto nell’alleviare calcoli renali e spasmi intestinali, la pianta del critmeto è stata citata anche da William Shakespeare nell’atto IV del suo Re Liar (qui si descrivono i rischi mortali che correvano i raccoglitori di samphire arrampicandosi sulle ripidissime scogliere del Dover, nella zona del Canale della Manica, altro luogo di diffusione della pianta): ancora una testimonianza di quanto il finocchio di mare fosse prezioso e ricercato ai tempi.
Fonte sitografica:
Scritto da Redazione ProDiGus
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