A tavola con il tartufo bianco

Quello di Alba è il più pregiato in assoluto: scopriamo come trattarlo e come abbinarlo al meglio alle ricette

A tavola con il tartufo bianco

Il tartufo (truffe in francese, trüffel in tedesco, truffle in inglese) è un fungo del genere Tuber, ipogeo (ovvero che cresce completamente sottoterra). Si sviluppa a stretto contatto con le radici dei pioppi (Populus tremula, P. nigra e altre specie), dei faggi (Fagus sylvatica e altre specie) e dei lecci (Quercus ilex), prediligendo però quelle delle querce (Quercus pubescens, Q. robur, ecc.), piante con le quali il fungo vive in simbiosi (l’insieme fungo e radici si chiama micorriza), ricevendo dalle piante alimenti che da solo non riesce a sintetizzare, cedendo alle piante elementi minerali che queste non riuscirebbero ad assorbire dal terreno, specialmente azoto per le proteine. 

Nel tartufo (corpo fruttifero del fungo) si distinguono il peridio (o scorza o corteccia o buccia) e la gleba, cioè la massa carnosa. Le specie di tartufo sono davvero molte, ma la più è pregiata e costosa è il tartufo bianco o trifola, di cui il più pregiato è quello di Alba, in Piemonte (provincia di Cuneo). Botanicamente si tratta del Tuber Magnatum Pico (detto anche Tartufo del Piemonte, Tartufo di Acqualagna, Tartufo di Alba, Tartufo bianco pregiato di Alba) in cui “Pico” vuole ricordare perennemente il medico torinese Vittorio Pico che nel 1788 per primo trattò di questo fungo nella sua tesi di laurea, nella quel definì il tartufo bianco pregiato di Alba come “fungo dei potenti” perché il più ricercato e il più costoso al mondo (circa 700 €/kg per pezzi fino a 10 g, per arrivare anche a 1.400 €/kg per quelli oltre i 50 g).  

Gli altri tartufi bianchi sono “semplicemente” dei Tuber Magnatum. Tartufi bianchi di buona qualità provengono da altre province piemontesi e regioni italiane (Toscana, Umbria, Marche, Molise, Friuli) oltre che dall’estero (es. Istria e Bulgaria).  Si tratta di un ecotipo non coltivabile (come del resto tutti i tartufi; al massimo si micorrizzano le piante da piantare poi nella tartufaia), molto delicato nella sua crescita e riproduzione, decisamente legato al suo habitat naturale che non deve essere alterato, pena l’impossibilità del fungo di sopravvivere, da cui le grandi accortezze nella raccolta e le stringenti norme che la regolano. La presenza del tartufo bianco di Alba in un territorio è indice dell’integrità dell’habitat.

La raccolta del tartufo bianco pregiato di Alba (come gli altri funghi) segue specifici calendari regionali o comunali, con un periodo che in genere copre l’autunno e l’inverno (21/9 – 31/01 in Piemonte). Per raccogliere questi tartufi (ma vale per tutti i funghi) è necessario aver frequentato un corso specifico (istituito da Enti locali), ottenendo il tesserino individuale; inoltre, ogni anno bisogna fornirsi (a pagamento) del permesso di raccolta. Solo in questo modo è possibile raccogliere i tartufi, se non si vuole incorrere in salatissime multe. 

È necessario, inoltre, essere dotati di un cane da tartufi (in modo da individuare solo i tartufi maturi), di un vanghetto (sapin in piemontese) per tartufi (per limitare danni a radici delle piante e micelio del fungo) e di un cestino non di plastica per la raccolta. Sarà poi importante rispettare le regole che indicano come raccogliere il fungo lasciando in buono stato il sito della raccolta (es. non lasciare buchette aperte, non raccogliere quelli piccoli – in Piemonte detti fioroni - che non sono validi per la cucina ma servono per diffondere le spore del tartufo, rimettere a posto il terreno con le mani, non raccogliere i tartufi immaturi o deteriorati, e altre regole di salvaguardia dell’habitat e del fungo stesso, il quale deve continuare a vivere bene). 

La raccolta di notte è vietata tranne che in Piemonte, Lombardia e Liguria considerato quanto accadeva in passato, quando il tartufaio (trifolao, trifolau, trifulé) era di solito un contadino che lavorando di giorno poteva cercare tartufi solo di notte, anche per mantenere il segreto sui siti visitati.

Per la pulizia post raccolta, il tartufo bianco di Alba non deve essere assolutamente pulito con dell’acqua, ma semplicemente pulito dalla terra che lo ricopre con un pennellino a setole morbide, poi spazzolato delicatamente con spazzolino morbido, infine pulito delicatamente con un panno umido. Se l’uso non è immediato, è bene non rimuovere il terriccio dal peridio (scorza esterna) del fungo, in modo che sia proprio il residuo terroso a consentire la conservazione di sapori e profumi, oltre che evitare danneggiamento al cappello e/o sviluppo di muffe. Avvolgeremo il nostro tartufo bianco pregiato in una garza traspirante (scambio gassoso con ambiente), lo metteremo in vasetto di vetro a chiusura ermetica e lo terremo in frigo al massimo per massimo 4 - 5 giorni. La garza va cambiata ogni 24 ore perché il tartufo respira.

Il tartufo bianco pregiato di Alba matura in autunno, presenta un peridio (buccia) liscio, color nocciola, più scura a fine raccolta; la gleba (polpa) color nocciola più o meno scura, talvolta un po’ rosata, marmorizzata con venature fini, abbondanti e chiare, con macchie rossastre su fondo grigio con la maturazione avanzata. L’odore del tartufo bianco di Alba è quello tipico del tartufo, dovuto al tetraidrotiofene (usato per caratterizzare il gas per scoprirne subito la presenza in un ambiente), ma molto più intenso degli altri tartufi, da cui l’uso in piccolissime dosi (non dimentichiamo il costo!).

In cucina questo tartufo apporta odori e sapori assolutamente unici nelle ricette. Per questo il tartufo bianco di Alba si usa preferibilmente crudo, grattugiato al momento su pasta (magari all’uovo come i famigerati tajarin al burro) e risotti, uova variamente preparate (generalmente affogate, fritte o strapazzate), fino a carni soprattutto bianche o rosa, ossia dal sapore non troppo invasivo. Il vino in abbinamento, che può essere bianco o rosso a seconda della preparazione, dovrà presentare sempre profumi intensi e buona persistenza aromatica, in modo da non scomparire di fronte agli aromi del tartufo.

Scritto da Luciano Albano

Laureatosi nel 1978 con lode in Scienze Agrarie, presso l'Università di Bari, si è specializzato nel 1980 in "Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli" presso il C.I.H.E.A.M. (Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici del Mediterraneo) di Valenzano (Bari), ha conseguito nello stesso anno anche l'abilitazione alla professione di Agronomo. Fino al 1/3/2018 ha lavorato alla Regione Puglia nell'Ufficio Territoriale di Taranto, quale Responsabile della P.O. "Strutture Agricole". Appassionato di olio e vino ha conseguito il Diploma di Sommelier AIS nel 2005 e ottenuto nel 2008 l'Attestato di Partecipazione alle Sedute di Assaggio ai fini dell'iscrizione nell'Elenco Nazionale di Tecnici ed Esperti degli oli di oliva extravergini e vergini. Fino al 2018 è stato iscritto all'Albo Provinciale dei Dottori Agronomi e Forestali e come CTU presso il Tribunale di Taranto. Ama il food & beverage e ne approfondisce i vari aspetti tecnici, alimentari e storici

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