I derivati della soia

Seconda parte del nostro articolo di approfondimento di uno degli ingredienti vegetali più versatili al mondo

I derivati della soia

Proseguendo il nostro viaggio nel mondo della soia, ricominciamo andando a esplorarne la farina.

La farina di soia può essere sia raffinata che integrale (con tutti i suoi grassi), ma esiste anche in versione disoleata (dunque privata della frazione lipidica, parzialmente o totalmente). Unita ad altre farine di cereali (dal 2 al 30%) può essere usata per fare pane, cialde, frittelle, biscotti e torte, pizze e pasta, senza alterare il gusto e contribuendo soltanto a migliorare il prodotto finale.

Per quanto riguarda la produzione di pane e dolci, si è visto che l’aggiunta della farina di soia conferisce maggiore sofficità, omogeneità di struttura, una crosta esterna più accattivante, la lievitazione più uniforme e una maggiore resistenza alla retrogradazione (ovvero a far diventare i prodotti raffermi).

Inoltre, aumenta la capacità di trattenere acqua grazie al contenuto in lecitina, e se la farina si usa per biscotti e grissini i prodotti derivati risultano più croccanti, saporiti e nutrienti. Quando si aggiunge farina di soia agli impasti, si consiglia di usare soprattutto quella di tipo disoleato.

Ottima poi è la carne vegetale, ottenuta sempre attraverso la trasformazione della farina disoleata, che è praticamente un concentrato di proteine (circa il 50% contro il 20% di una fettina di carne animale). In questo caso si parla di soia ristrutturata o di soia testurizzata, con la quale l’industria alimentare ha ottenuto la perfetta riproduzione estetica oltre che gustativa della vera carne, al fine di appagare le aspettative del consumatore.

Con la farina ristrutturata si preparano industrialmente anche salami, wurstel, mortadelle, hamburger, bistecchine, involtini e tanti altri prodotti similari.

Ma accanto alla farina, famoso è anche l’olio di soia, usato in alternativa ad altri per la caratteristica di possedere sapore e odore neutri. Quest’olio si usa spesso per preparare le salse in combinazione con tuorli d’uovo (come la maionese). 100g di olio di soia contengono il 100 % di lipidi, formati per il 16% da acidi grassi saturi, il 58% da acidi grassi polinsaturi ed il 23 % da acidi grassi monoinsaturi, configurandone dunque un profilo nutrizionale di ottima qualità.

Dalla soia si ricava ancora la lecitina, un fosfolipide contenuto anche nel tuorlo d’uovo, ma che nella soia si trova solo in misura limitata, per cui estrarla è piuttosto costoso. La lecitina viene usata nell’industria alimentare per migliorare la digeribilità dei grassi, per migliorare il sapore, nonchè come antiossidante (ad esempio nelle margarine), emulsionante, stabilizzante e sostitutivo dei grassi nei dolci e prodotti da forno, che restano comunque soffici e gustosi. Si parte dal fagiolo (che contiene l’1% di lecitina) e per ottenere 200 g di lecitina occorrono ben 200 kg di fagioli!

In commercio troviamo anche il latte di soia, che in realtà è un liquido simile al latte, ottenuto dai fagioli gialli che vengono lavati, tenuti in ammollo e macinati, quindi cotti e filtrati fornendo così un liquido bianco dolciastro, assimilabile nell’aspetto alla versione animale. Rinfrescante, nutriente, meno grasso, meno calorico, senza colesterolo, senza lattosio, più digeribile, è totalmente vegetale ma contiene meno calcio di quello materno e di quello vaccino.

Può essere usato esattamente come se fosse vaccino, quindi sia freddo che caldo, e se portato a bollore non fa schiuma e non fuoriesce dalla pentola. E’ più facile da conservare perché non diventa acido come quello vaccino. Può essere impiegato nella preparazione di  creme, besciamelle, budini, frullati e molto altro.

Ciò che resta dopo aver estratto il latte di soia si chiama okara: è praticamente polpa di fagiolo di soia che aggiunta ai prodotti da forno aumenta la consistenza del preparato.

E come non parlare della salsa di soia? La tipologia più diffusa in Italia è denominata tamari, un prodotto di origine cinese che si ottiene dalla fermentazione di fagioli di soia (spesso insieme a grano) e sale. Il processo di fermentazione arricchisce il prodotto di vitamina B12 e altri composti utili che prima della fermentazione non erano presenti, come alcuni amminoacidi.

Il tamari fermenta per tre anni in tini di legno, formando alla fine un liquido bruno scuro o bruno-rossiccio, dal gusto salato che ricorda l’estratto di carne: viene infatti usato come aromatizzante al posto del dado da brodo e del sale, con parsimonia perché molto salato.

Tuttavia non tutti sanno che la salsa di soia non andrebbe mai cotta, dal momento che se ne distruggono i preziosi nutrienti. Per questo spesso nella cucina orientale viene usata come condimento a crudo o comunque aggiunta solo a fine cottura. Inoltre è difficile che la salsa di soia “scada”, anzi, in genere migliora con il tempo.

Ancora un prodotto che ha trovato apprezzamento anche nel mondo occidentale è il tofu. Il suo nome deriva dalla parola giapponese to-fu che vuol dire “carne senza ossa” (così viene definita la polpa di fagiolo di soia nell’Estremo Oriente). Ma di cosa si tratta? A livello nutrizionale, di un vero concentrato di proteine con tutti i nove amminoacidi essenziali, che supera dunque in tal senso la qualità della carne bovina, delle uova, del pesce, del formaggio.

A livello tecnico, viene definito invece come una sorta di “formaggio di soia”, perché per produrlo viene utilizzata esattamente la stessa tecnica casearia, ovvero quella della cagliatura, applicata però alla spremuta dei fagioli di soia invece che al classico latte.

Povero di grassi, ricco di sali minerali e proteine ad alta assimilabilità, è importante sapere che l’assorbimento da parte dell’organismo di tutto il buono del tofu aumenta inoltre se il suo consumo viene abbinato a quello di un cereale (come hanno confermato alcuni studi sul tema).

Il tofu si presenta come un panetto umido e biancastro, di consistenza liscia e gusto piuttosto neutro. Ciò consente di mangiarlo insieme a insalate, minestre, alla griglia, fritto, o tritato finissimamente insieme a spezie ed erbe a formare salse nuove e gustose.

Accanto al tofu, probabilmente molti di noi avranno avuto modo di trovare tra le pietanze di alcuni menù orientali il tempeh (in indonesiano tem-pey), ancora un gustoso derivato fermentato e dalla consistenza spessa, che ricorda il sapore del pollo fritto! Contiene più proteine di un hamburger e si è diffuso molto sia in Giappone che negli USA. Deriva sempre dalla fermentazione, ma questa volta di breve durata (questione di giorni), dei fagioli di soia.

Il prodotto finale è invaso da un micelio bianco di funghi. Va tenuto a bassa temperatura, seccato e salato per non deteriorarsi producendo ammoniaca. Di solito si mangia a fette condite e fritte in olio di cocco, oppure arrostito o saltato come la carne. Tipico della cucina indonesiana, in occidente si può trovare anche in alcuni fast food sotto forma di burger o chips.

Concludiamo questa breve panoramica con il miso, nome che indica un alimento fermentato di origine giapponese, i cui componenti sono i fagioli di soia, il riso e il sale, ma talvolta è fatto solo con i fagioli di soia. Entrambe le tipologie sono ricche di proteine, vitamine (A,B,D,F) e sali minerali (magnesio, calcio, ferro e fosforo). E’ un alimento utile per la costruzione dei muscoli, per chi svolge lavori pesanti, per ricostituire le persone deboli.  

Il riso viene lasciato macerare in acqua per 20 ore, poi cotto ottenendo un impasto detto koji. Questo viene posto a fermentare con aggiunta di sale, per un periodo che può arrivare anche a tre anni. Normalmente dura 40 ore e avviene a temperature di 30-35°C, che portano allo sviluppo del fungo Aspergillus oryzae.

Alla fine si aggiungono i fagioli di soia bolliti o cotti al vapore. Esistono vari tipi di miso: bianco (molto riso), giallo (fermentazione breve, leggermente salato), rosso (breve fermentazione ma salato), hatcho (fatto solo con soia e sale, fermentato per due anni). I giapponesi consumano almeno 20g di miso al giorno, unendolo a minestre calde o fredde, con verdure, alghe e tofu.

 

Note bibliografiche e sitografiche

  • G. Dalla Via, La soia, Ed. Di Red
  • F. Bonciarelli, Coltivazioni erbacee, Ed. Edagricole
  • AA.VV., Colture e allevamenti alternativi, Ed. REDA
  • www.viversano.net
  • www.fondazioneveronesi.it
  • www.saperesalute.it

Scritto da Luciano Albano

Laureatosi nel 1978 con lode in Scienze Agrarie, presso l'Università di Bari, si è specializzato nel 1980 in "Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli" presso il C.I.H.E.A.M. (Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici del Mediterraneo) di Valenzano (Bari), ha conseguito nello stesso anno anche l'abilitazione alla professione di Agronomo. Fino al 1/3/2018 ha lavorato alla Regione Puglia nell'Ufficio Territoriale di Taranto, quale Responsabile della P.O. "Strutture Agricole". Appassionato di olio e vino ha conseguito il Diploma di Sommelier AIS nel 2005 e ottenuto nel 2008 l'Attestato di Partecipazione alle Sedute di Assaggio ai fini dell'iscrizione nell'Elenco Nazionale di Tecnici ed Esperti degli oli di oliva extravergini e vergini. Fino al 2018 è stato iscritto all'Albo Provinciale dei Dottori Agronomi e Forestali e come CTU presso il Tribunale di Taranto. Ama il food & beverage e ne approfondisce i vari aspetti tecnici, alimentari e storici

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