Dove il prosciutto è in crosta

Dall'Impero austriaco alla cucina friulana, la tradizione del prosciutto in crosta merita di essere conosciuta ma soprattutto assaggiata!

Dove il prosciutto è in crosta

«[…] I piatti furono cambiati di nuovo. Comparve un enorme prosciutto dalla crosta impanata, rosso mattone, affumicato e cotto, con salsa di scalogno bruna e aspretta e con una tale quantità di legumi che da un solo piatto tutti si sarebbero potuti saziare. Lebrecht Kröger si assunse la funzione dello scalco. I gomiti leggermente rialzati, i lunghi indici distesi sul dorso del coltello e della forchetta, tagliò con precauzione le fette sugose. Fu servito anche il capolavoro della moglie del console, la “terrina russa”, una composta di varia frutta conservata sotto spirito e piccante.» (Thomas Mann, I Buddenbrook, trad. it. F. Jesi e S. Speciale Scalia, Garzanti, Milano 2003)

Stavolta partiamo da alcune righe di una delle opere più famose di Thomas Mann, per trovarvi un preciso riferimento ad una tradizione culinaria ancora oggi viva nel territorio friulano  Il prosciutto in crosta è infatti una preparazione che troviamo trai piatti tipici del Friuli Venezia Giulia e, in particolare, nella tradizione della cucina pasquale goriziana. Le attestazioni di questo piatto, quindi, si sovrappongono a quelle più note e ricorrenti di capretti ed agnelli pasquali, ma è bello rintracciarne le origini e le radici, perché sono molto lontane. 

Non sorprendetevi dunque se possiamo datare la prima tappa già al 181 a.C., quando all’epoca della conquista del Friuli da parte dei romani venne fondata la colonia di Aquileja, con tremila famiglie in gran parte provenienti dalla regione romana del Sannio. Alcune ricette dell’antica città friulana originata dai romani, sono tutt’ora in uso in queste terre: si parla di piatti come la brovada – rape acide finemente tagliate e stufate con del lardo, le sopes indorades di pane raffermo affettato, ammollato nel latte e poi impanato e fritto, servito con vincotto e miele, e poi la polenta, preparata anche prima dell’arrivo del mais utilizzando farine di differenti cereali, nonché la marcundéla, carne di maiale cotta avvolta nella sua rete. 

Quest’ultima preparazione pare affine al nostro prosciutto in crosta, ma per trovare tracce documentate bisogna risalire al De Re coquinaria di Apicio la preziosa raccolta scritta probabilmente tra il I sec. a.C. e il IV sec. d.C. (senza dilungarci qui in dispute sulla reale paternità dell’opera)  in cui nel settimo libro – precisamente De Re Coquinaria, VII, 9, 1-5 -  compare la ricetta per la preparazione del prosciutto. La carne della coscia di maiale veniva lessata con alloro e fichi, si attuava poi una sorta di iniezione di miele e si termina con una cottura in forno, dopo averla avvolta in una “crosta” preparata con farina e olio. La si serviva accompagnata da vino cotto, vino condito, meglio se da mostaccioli. Se ne deduce una attenta e scrupolosa preparazione, con delle indicazioni già allora molto precise per il servizio in tavola.

Il successivo passaggio in queste terre dei popoli cosiddetti barbari, non lasciò alcuna eredità domestica apprezzabile. I tempi più bui della tradizione gastronomica friulana furono dunque quelli dell’alto Medioevo, fino a quando, caduto lo Stato patriarcale, tra il 1419 e il 1420 una dopo l’altra le città friulane “aprirono le porte” ai veneziani. La loro cucina guadagnò contaminazioni importanti che portarono in Friuli piatti come le “pesse” in saor, il baccalà alla veneziana e i bigoli in salsa, appartenenti alla più diffusa tradizione della Serenissima.

Ma è con la caduta della Repubblica Veneziana ed il successivo Congresso di Vienna (1814-1815) che il Friuli e le zone di Gorizia e Gradisca vengono annesse al nuovo Regno Lombardo Veneto, politicamente dipendente dall’Impero Austriaco. È proprio questo assetto geopolitico che contribuisce a definire finalmente ed in maniera definitiva la fisionomia delle tradizioni culinarie che noi oggi conosciamo. Come in ogni tradizione che si rispetti, diventano di casa piatti come gli knödel, i krapfen, le Wienerschitzel, i wurstel ed il gulasch; arrivano anche gli usi e costumi delle popolazioni austroungariche, slave e boeme nella conservazione delle carni, che per questioni di clima avevano affinato le tecniche dell’essiccazione e delle affumicature.

Nella cultura gastronomica di questi paesi riscontriamo una discreta presenza di prodotti conservati con l’affumicatura, che si rendeva necessaria per le stagioni meno favorevoli: a fronte di una certa difficoltà nel reperire il sale, l’altro grande protagonista nelle tecniche di conservazione delle carni, si usava quanto il territorio regalava, ovvero grandi spazi, buon legno e aria asciutta. Notevole è il grado di affinazione per la conservazione delle carni di maiale, come lo speck ed il prosciutto Praga, che sembrano proprio essere retaggio di queste non lontane contaminazioni di derivazione geo-politica e forse, non è un caso che proprio nelle provincie di Trieste e di Udine, si sia sviluppato un florido filone di attività commerciali connesse con la produzione di prosciutti affumicati, tanto crudi quanto cotti.

La ricetta del prosciutto in crosta dell’epoca di Apicio si è potuta dunque arricchire grazie ai successivi apporti storico culturali che la regione friulana ha attraversato, integrandosi ed evolvendo nella versione che noi oggi conosciamo: il semplice prosciutto cotto iniziale è sostituito con la sua versione affumicata, dal sapore ben più complesso e sofisticato, mentre per il guscio di rivestimento, la semplice crosta di farina e olio ha lasciato il posto alla più ricca pasta di pane

Nella provincia di Gorizia è tradizione ancora oggi preparare il prosciutto in crosta per il pranzo della domenica di Pasqua, accanto a pinze, fule, pivuz e ciavuz. Prosciutto prodotto con una lavorazione artigianale che prevede l’iniezione manuale di salamoia in vena, una cottura molto lenta e una leggera affumicatura con trucioli di legno (di solito faggio o abete), in seguito la coscia viene avvolta in una pasta di pane e la cottura continua a 200°C per circa due ore (la cottura ideale è di un’ora per kg di peso). I profumi vengono vengono trattenuti dal pane insieme ai liquidi rilasciati dalla carne, il che rende il risultato finale davvero morbido e gustoso da assapoorare.

Il prosciutto cotto in crosta va rigorosamente affettato a mano. La fetta risulta di un bel colore rosato e il sapore è dolce, delicato e leggermente affumicato. È ottimo come secondo ma dà il meglio di sé per un aperitivo o un brunch, mangiato caldo con senape o una grattugiata di cren (radice di rafano). Il gusto piacevolmente corposo richiede l’abbinamento con vini bianchi intensi, come un Isonzo Pinot Bianco o un Friulano. Non 

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Dopo la laurea in Lettere Antiche segue la passione per la cucina non smettendo mai di approfondirne l'essenza sia nella pratica che nell'approfondimento degli aspetti storici. Oggi cura varie attività che cura in qualità di chef e libero professionista, supportando diverse tipologie di aziende.

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