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La rosolatura rende i cibi più appetibili dalla vista fino all'assaggio, ma occorre fare attenzione all'acrilammide e alla frequenza di consumo
Provate a “googlerare” la parola acrilammide in rete e vi si aprirà una finestra su un tema che, solo recentemente, ha catalizzato l’attenzione degli scienziati. L’acrillammide è infatti una sostanza che si forma in alcuni alimenti, che è utilizzata in alcuni processi industriali oltre ad essere contenuta nel fumo di tabacco.
Alcuni studi hanno messo in evidenza la correlazione tra l’esposizione a dosi molto elevate a questa sostanza e l’aumento del rischio di sviluppare neoplasie. Recentemente la comunità scientifica ha iniziato a parlare di rischio acrilammide tanto che, seppure senza alcun intento allarmistico, anche l’EFSA - Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare - su richiesta pervenuta dalla Commissione Europea e sulla scorta di studi già effettuati dall’OMS, ha da qualche anno iniziato a condurre studi specifici con l’obiettivo di capire più approfonditamente non solo cosa sia l’acrilammide, come riconoscerla, ma soprattutto come limitarne l’esposizione e dunque ridurre i rischi per la salute umana di grandi e piccoli.
Per capire e valutare il rischio di esposizione all'acrilammide bisogna sapere di cosa si tratta. L’acrilammide è una sostanza chimica che si forma naturalmente nei prodotti alimentari amidacei (contenenti cioè amido, come le patte, i biscotti, il pane) durante la normale cottura ad alte temperature (frittura, cottura al forno, alla griglia e durante i processi di lavorazione industriali ad una temperatura superiore ai 120° e in assenza di umidità). Si forma a partire dagli zuccheri e dagli aminoacidi (soprattutto l’asparagina) naturalmente presenti negli alimenti che sottoposti ad alte temperature subiscono un processo chimico chiamato reazione di Maillard che conferisce al cibo quel tipico aspetto “abbrustolito” e ambrato che lo rende più gustoso e accattivante per occhi e palato. La stessa reazione avviene anche nella tostatura ad alte temperature dei cereali, del caffè, nonché nei processi di cottura delle carni.
Si tratta dunque di una sostanza presente in maniera diffusa e abbondante nell’alimentazione umana di tutte le fasce di età, compresa quella dei neonati (cosa che ovviamente preoccupa in una prospettiva di esposizione a lungo termine). Ecco perché la stessa EFSA, dopo aver condotto una accurata valutazione dei rischi per la salute pubblica, ha diffuso un parere scientifico nel quale mette in evidenza una serie di elementi specifici relativi ai rischi che i consumatori corrono consumando cibi contenenti acrilammide e confermando, purtroppo, le precedenti valutazioni relative alla correlazione tra assunzione della sostanza e sviluppo del cancro in tutte le fasce di età.
L’EFSA sottolinea infatti che, essendo l’acrilammide una sostanza presente in una ampia gamma di cibi di uso quotidiano (cibi fritti, patate, biscotti, crackers, pane morbido e croccante, caffè e cereali), l’allarme riguarda tutti i consumatori e il rischio aumenta per i bambini in relazione al rapporto tra quantità di sostanza assunta e peso corporeo. Risulta evidente, da quanto detto, che le condizioni di lavorazione, cottura e conservazione degli alimenti influenzano la formazione di acrilammide.
Ancora una volta, la scelta del metodo di cottura, anche a casa, influisce sia sul livello di formazione dell’acrilammide sia, più in generale, sulla salubrità del cibo che si consuma (cfr. documento EFSA alla sezione 4.4 “impatto della materia prima, conservazione e lavorazione”).
Una volta ingerita attraverso il consumo di cibo, l’acrilammide viene assorbita dal tratto gastrointestinale, distribuita agli organi e metabolizzata (uno dei principali metaboliti prodotti da questo processo è la glicidammide). Benchè gli studi condotti in laboratorio sugli animali abbiano dato risultati allarmanti e preoccupanti circa la correlazione tra sostanza assunta e aumento della probabilità di sviluppare neoplasie, l’EFSA, con cautela, dichiara che è necessario continuare ed ampliare gli studi sull’uomo per poter arrivare ad una altrettanto netta e compiuta evidenza scientifica. Certo è che gli esiti delle analisi condotte su individui esposti, per ragioni professionali all’acrilammide, hanno purtroppo, messo in evidenza un aumento delle patologie a carico del sistema nervoso.
Stanti le evidenze scientifiche note, c’è da capire se vi sia una dose tollerabile e accettabile per l’organismo. Partendo dall’assunto che qualsiasi livello di esposizione ad una sostanza genotossica e cancerogena può danneggiare il DNA e conseguentemente far insorgere il cancro, e considerato che l’acrilammide e la glicidammide sono sostanze appartenenti a questa categoria, gli scienziati dell’EFSA hanno concluso di non poter stabilire una dose giornaliera tollerabile (DGT).
Tuttavia, gli stessi esperti hanno stimato l’intervallo di dosaggio entro il quale è probabile che l’acrilammide causi una lieve ma misurabile incidenza sullo sviluppo di tumori (i cosiddetti effetti neoplastici) o di altri potenziai effetti avversi (come quelli neurologici, quelli relativi allo sviluppo pre e post natale o del sistema riproduttivo maschile). Il limite inferiore di questo intervallo viene definito limite inferiore dell’intervallo di confidenza relativo alla dose di riferimento (BMDL). Nello specifico, hanno stimato un BMDL10 di 0,17 mg/kg pc/1 giorno per i tumori (che significa 0,17 milligrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno) e un BMDL10 di 0,43 per altri effetti avversi. Confrontando questi parametri è possibile, per gli addetti ai lavori, individuare un livello di allarme per la salute umana definito margine di esposizione (MOE).
Individuare il margine di esposizione è utile per fornire indicazioni sul livello di allarme di ordine sanitario relativamente alla presenza di una sostanza a rischio in un determinato alimento, senza tuttavia poter quantificarne il rischio connesso. L’applicazione e l’utilità di questo parametro si concretizza con la possibilità di definire azioni utili per mantenere più bassa possibile l’esposizione alla sostanza nociva e quindi prevenire l’insorgenza di patologie correlate.
Ad oggi, gli studi condotti dall’EFSA consentono di affermare che gli attuali livelli di esposizione alimentare non costituiscono rischio elevato pe la popolazione anche se per i bambini e i neonati la soglia di attenzione è più alta. Tutto ciò premesso, risulta evidente che il consumatore deve conoscere le categorie di cibi e alimenti a rischio (che variano nella quantità di consumo in relazione anche all’età) in modo da poterne tenere conto in una dieta equilibrata e varia; ogni categoria di alimenti infatti espone al rischio in percentuale diversa.
Attenzione dunque a: prodotti fritti a base di patate (patate a bastoncini, crocchette, patate al forno) responsabili fino al 49% dell’esposizione media negli adulti, caffè (34%), pane morbido (23%), seguiti da biscotti, crackers, pane croccante, cereali da colazione, prodotti da forno (dolci e pasticceria), fette biscottate e snack. Ricordiamo infine che non sono solo i cibi l’unica fonte di esposizione, perché l’acrilammide è presente anche nel tabacco (per fumatori e non fumatori) con una incidenza nell’esposizione addirittura maggiore che negli alimenti e, avendo un’ampia varietà di usi industriali non alimentari espone a rischio diverse categorie di lavoratori mediante assorbimento cutaneo o inalazione.
Attualmente è in atto una sinergia tra gli Stati membri dell’Unione Europea, che monitorano i livelli di acrilammide negli alimenti, e l’EFSA che ne analizza i dati al fine, se necessario, di adottare specifiche misure di riduzione dell’esposizione dei consumatori a questa sostanza per tutelare la salute pubblica.
Photo made in AI
Scritto da Viviana Di Salvo
Laureata in lettere con indirizzo storico geografico, affina la sua passione per il territorio e la cultura attraverso l’esperienza come autrice televisiva (Rai e TV2000). Successivamente “prestata” anche al settore della tutela e promozione della salute (collabora con il Ministero della Salute dal 2013), coltiva la passione per la cultura gastronomica, le tradizioni e il buon cibo con un occhio sempre attento al territorio e alle sue specificità antropologiche e ambientali.
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