Un documento storico giunto ai nostri giorni grazie all’opera di Bartolomeo Scappi
Un frutto tanto antico quanto ancora oggi amato per preparare confetture, gelatine, liquori e mostarde: scopriamo tutto sulle cotogne autunnali
L’odorosa, bella e saporita mela cotogna è il frutto del cotogno, albero botanicamente inquadrato nel nella famiglia delle Rosacee, genere Cydonia (al genere Pyrus o al genere Amygdalus secondo altri), originario dell’Asia Minore (regione del Mar Caspio, luogo in cui si trova ancora allo stato spontaneo), con prime coltivazioni in Persia, Anatolia, Caucaso e Grecia, specialmente a Creta, tanto che da questa isola deriva il nome Cydonia (da Cydon, corrispondente all’attuale città di Canea). Certamente era noto ai Greci e ai Romani, i quali usavano i frutti esclusivamente a fini curativi e per profumare le aule nelle quali si riunivano i senatori. Leggenda vuole che la mela cotogna rappresentasse Venere, quale simbolo di fecondità e buona sorte, nei matrimoni tra divinità, e successivamente tra i poveri mortali.
Attualmente il cotogno è molto coltivato in CSI (ex Unione Sovietica), nei Balcani, Ungheria, Bulgaria, Turchia, India e Sud America, mentre in Italia la superficie coltivata è drasticamente diminuita (oggi circa 1.000 ha), concentrandosi in Emilia Romagna, Puglia e Trentino. L’utilizzazione preponderante del cotogno in Italia è come portainnesto del pero.
Le specie più note sono la C. oblonga (un tempo C.vulgaris o Pyrus Cydonia o Amygdalus persica) o cotogno comune, la C. japonica o cotogno giapponese da fiore (oltre a C. marmorata e C. pyramidalis) e la C. sinensis (per altri Pseudocydonia sinensis) o cotogno cinese (sempre come pianta da fiore). Il cotogno comune è un alberello alto circa 3-4 metri, naturalmente portato ad assumere un aspetto arbustivo, con radici superficiali, tronco contorto, corteccia bruno nerastra che si stacca facilmente in scaglie. Le foglie sono ovate, coriacee, tomentose, di bell’aspetto. La fioritura avviene di solito in primavera, dopo il pero, con la comparsa di fiori ermafroditi, autofertili e impollinazione entomofila, con petali di colore rosati o bianchi.
Le cultivar di cotogno (C. oblonga) si distinguono in due sottospecie: C.o. maliformis a frutto maliforme (o meliforme) molto apprezzate per la trasformazione industriale perché si adattano molto bene alla raccolta meccanica, e C.o. pyriformis a frutto piriforme (poco coltivate). La pianta è molto rustica e non pone particolari problemi di coltivazione, purché posto in zone a clima mite, in terreno sciolto, fresco, poco calcareo. Ogni anno una pianta di cotogno produce circa 30-50 kg di frutti, pari a 250-300 q per ettaro. Le cv più diffuse sono Champion, Di Fontenay, Gigante di Vrania, Mollesca, Portogallo, Provenza, ecc.
Il frutto del cotogno è un pomo (come la mela e la pera, quindi si tratta di un falso frutto), privo di peduncolo, tomentoso (ma la peluria scompare con la completa maturazione), che a maturazione non è edibile per la notevole presenza di tannini (astringenti) e pectine, per cui deve essere mangiato cotto o comunque trasformato a livello domestico o industriale. La buccia è gialla, la polpa bianca o giallina, molto aromatica, astringente per tannini e pectine, acidula per la presenza di acido malico (quello delle mele acerbe che fa salivare la bocca), poco dolce pur essendo comunque presenti zuccheri ma sovrastati da tannini e acidi.
La raccolta delle mele cotogne si effettua in autunno (generalmente tra ottobre e novembre) di solito si fa a mano (salvo che nei grandi impianti con sistema di allevamento adattato alla raccolta meccanica e solo per uso industriale), con una certa tempestività per evitare l’insorgere dell’imbrunimento interno per ossidazione dei tannini con peggioramento della serbevolezza. Una volta raccolte le mele cotogne si conservano per molto tempo senza ricorrere alle celle frigorifere. Nei Paesi maggiori produttori, il prodotto viene consegnato all’industria trasformatrice per la preparazione di cotognate, gelatine, confetture, mostarde, liquori e distillati molto profumati. Modeste quantità vengono assorbite dal mercato fresco per la preparazione di confetture, cotognate e altro di cui dirò a breve.
Il valore nutrizionale per 100 grammi di mela cotogna attesta la notevole presenza di carboidrati (15 g, specialmente fruttosio, con minore indice glicemico rispetto al glucosio), fibra totale 2 g, potassio (197 mg), fosforo (17 mg), vitamina C (15 mg); va però segnalata anche la presenza di Vit. A e del gruppo B, oltre a rame, cloro, sodio, selenio, magnesio, con un apporto di appena 57 kcal.
Ovviamente tali caratteristiche sono riferite a un frutto semplicemente cotto, ma le cose cambiano quando si passa a ricette che utilizzano questo ottimo pomo. La composizione nutrizionale sopra esposta evidenzia le proprietà della mela cotogna, tanto apprezzate in passato quando le medicine di sintesi non esistevano e si ricorreva in buona sostanza alla fitoterapia. Questo frutto è utile innanzitutto per favorire la motilità intestinale ed evitare i noiosi e dannosi effetti della stitichezza cronica o comunque prolungata: ciò grazie alla ricchezza di fibra insolubile, fibra solubile tra cui pectine (che hanno proprietà gelatinizzanti, stabilizzanti e addensanti) e tannini (cioè di quei componenti che rendono quasi impossibile mangiare una cotogna cruda), per aiutare la digestine grazie al contenuto di acido malico, scongiurare infiammazioni delle pareti interne dello stomaco e dell’intestino, evitare gli innalzamenti del colesterolo nel sangue (e di conseguenza i danni al sistema cardiovascolare).
In passato le foglie di cotogno essiccate erano usate per preparare un decotto molto utile per debellare i vermi intestinali dell’uomo (elmintiasi). Oggi vi si ricorre molto meno perché è stata accertata la presenza di amigdalina in tali foglie, con conseguenti problemi di tossicità: ovviamente tutto risiede nella misura dell’uso, come al solito, oltre al fatto che nel frattempo la farmacopea ha prodotto preparati di sintesi per questi parassiti. Utili per attenuare la tosse e il mal di gola, oltre che per favorire l’appetito, sono il macerato e il decotto di mela cotogna. La presenza di acido ossalico nella polpa di mela cotogna, aiuta con la masticazione a sbiancare e pulire i denti. Nella cosmesi vengono utilizzati invece i semi, i quali in virtù delle mucillagini da cui sono avvolti, risultano utili per la reidratazione dell’epidermide e il contrasto alla formazione delle rughe.
Ultimo ma non meno famoso è l’uso che in passato si faceva dei frutti di cotogno per profumare la biancheria posta nei cassetti e armadi, metodo con il quale si combattevano anche gli insetti che trovavano alloggio tra gli indumenti conservati.
In cucina la mela cotogna viene utilizzata sempre cotta, per la preparazione di gelatine, confetture (quella abruzzese ha ottenuto il riconoscimento PAT dalla Regione), cotognate (famose quella siciliana e quella leccese, la prima usata per farcire le brioches e la seconda i famosi pasticciotti leccesi; da non dimenticare anche quella di Codogno, il cui nome richiama proprio il cotogno), frutta sciroppata, liquori (come lo sburlon del parmense e il peruviano chicha morada), gelati, torte e crostate.
Un’ultima curiosità: quando non esisteva ancora lo zucchero di barbabietola o di canna, è noto che l’unico dolcificante era il miele d’api, ma pochi sanno che si produceva anche un miele di mela cotogna che altro non era se non una confettura di cotogne molto concentrata e semisolida, grazie alla grande ricchezza di pectine, perfetta da conservare nel tempo per essere utilizzata all’occorrenza.
Note bibliografiche
- Baldini – Marangoni, Coltivazioni arboree, Ed. THEMA
- Tassinari, Manuale dell’agronomo, Ed. REDA
- Valli – Schiavi, Coltivazioni arboree, Edagricole
- AA.VV., Dizionario di agricoltura, Ed. UTET
- Ferrara, La mela cotogna e altri frutti dimenticati, Ed. Aracne
Photo via Canva
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