Sulla nascita della bilancia e sull'applicazione delle moderne unità di misura in cucina
Una relazione “naturale” che in tempi moderni si inizia a perdere di vista
Se ci soffermiamo un po’ a riflettere, tanti sono i cibi che risultano collegati in modo quasi indissolubile alle date del calendario, tanto che ve ne sono alcuni collegati a festività religiose (Natale, Pasqua, Quaresima, ricorrenze di alcuni santi), altri a eventi civili, ed altri alle stagioni. E’ evidente perciò che esista un nesso tra calendario e alimentazione, o almeno esisteva, visto che attualmente sembra che la forza di tale legame si stia allentando, correndo il rischio di scomparire.
La relazione tra cibo e calendario è in primo luogo fondata su elementi naturali, come le stagioni. Che il cibo dovesse in primo luogo essere legato alla stagione climatica lo dicevano e lo dicono tutt’oggi anche i medici. Lo stesso Ippocrate parlava della teoria dei quattro umori (caldo, freddo, secco, umido) per la quale in inverno bisognava mangiare cibi caldi ed in estate cibi freddi.
La carenza di cibo però affliggeva spesso le popolazioni e la stessa carenza di pioggia (estate) o l’eccessivo freddo (inverno) non consentivano ai campi di produrre quanto necessario alla sopravvivenza, per cui era necessario conservare alcuni prodotti per poterli consumare quando non ve ne erano in natura.
Ciò determinava già allora un’ allentamento della relazione cibo - calendario: i poveri mangiavano fuori stagione i cibi che avevano conservato con vari metodi (esempio classico sono le conserve di ortaggi estivi da consumare durante l’inverno), mentre i ricchi potevano permettersi di gustare elementi fuori stagione facendoli arrivare freschi dai luoghi dove si producevano.
Successivamente, nella relazione tempo – cibo subentrarono anche aspetti culturali come quelli religiosi, e questo è accaduto in ogni religione esistente. Per i cristiani, basti pensare al condizionamento introdotto nel calendario liturgico. Infatti, a partire dal IV secolo le gerarchie ecclesiastiche imposero ai cristiani l’osservanza dei cosiddetti periodi di magro e quelli di grasso, cioè i momenti dell’anno in cui non mangiare carni e grassi animali, optando per vegetali, pesce, formaggi da far circolare sulle tavole, alternativamente a seconda dei giorni della settimana.
Questo accadde anche nelle altre religioni, in primis l’ebraismo, seguito dalle religioni orientali e dall’islamismo, che prevedevano non solo la calendarizzazione dell’alimentazione ma anche l’esclusione di tutti quel cibi ritenuti impuri, e ciò ovviamente si scontrava molto spesso non solo con gli effettivi desideri soggettivi ma anche la stagionalità degli alimenti.
Sempre in base al calendario liturgico cristiano, molti cibi, in particolare dolci, furono collegati alle festività pasquali e natalizie e nel Medioevo si può dire che ogni festa religiosa aveva il suo cibo caratteristico: lasagne a Natale, focacce di farro a Carnevale, cacio e uova in Quaresima, oca e maccheroni a Ognissanti, maiale nel giorno di S. Antonio Abate, agnello a Pasqua, frittelle e vino dolce a Carnevale,ecc.
Ma in questo ambito si può certamente affermare che ogni località prevedeva cibi speciali nelle diverse festività, senza tralasciare quelli comuni con tutto il resto del territorio. Col tempo ciò accadde anche per le ricorrenze civili come l’arrivo della primavera, il periodo di raccolta di alcuni prodotti, la festa per il vino nuovo, quella per la mattanza dei maiali, ecc.
Va però detto che il legame tra alcuni cibi e le date fissate per il consumo discendeva anche da elementi non religiosi: infatti l’agnello si mangia a Pasqua e a Natale non solo per ricordare Gesù, ma anche perché è a dicembre e ad aprile che gli agnellini sono pronti per essere mangiati al meglio, lo stesso dicasi per il maiale di Sant’Antonio Abate consumato a gennaio.
Questa considerazione si può estendere a tutta la relazione cibo – tempo, nel senso che la scelta di un cibo da consumare in una certa ricorrenza, civile o religiosa, è una scelta operata sempre tra i prodotti presenti naturalmente nel periodo, salvo ovviamente quei prodotti che con la stagionalità non hanno rapporto ma discendono soltanto dalla cultura gastronomica (panettone, colomba, pandoro, panforte, quaresimali, ecc).
In questi ultimi si faceva ricorso a prodotti delle stagioni precedenti opportunamente conservati, come l’uvetta, i canditi, la farina, le mandorle, le noci, ecc. In buona sostanza, tanti preparati, in particolare i dolci, ci ricordano una festività, e quindi una data del calendario, non per la loro composizione ma perché si fanno solo in quel giorno (vedasi panettone, pandoro, colomba, chiacchiere, quaresimali, ecc.), tanto che farli in un altro periodo non consentirebbe l’apprezzamento individuale (sarebbe equiparabile a un fuori stagione non gradito) e non avrebbe rilevanza commerciale: sarebbe prodotto per poi essere poi buttato via!
Possiamo quindi concludere che le relazioni cibo – calendario non scompariranno mai del tutto, ma nello stesso tempo esse si stanno riducendo al minimo e col tempo sanno poche quelle che resteranno.
Note bibliografiche e sitografiche
- M. Montanari, Il cibo come cultura, Ed. Laterza
- Montanari-Capetti, La cucina italiana. Storia di una cultura, Ed. Laterza
- M.Montanari, La fame e l’abbondanza, Ed. Laterza
- www.ok-salute.it
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