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Una tradizione natalizia dolcemente poetica che abbraccia più regioni, e ogni anno diventa irrinunciabile per grandi e bambini
Ricordo sempre con tanto piacere, e un pochino di nostalgia, quando alla fine del pranzo di Natale e delle festività natalizie, giungevano sulla tavola i dolci di Natale, e immancabilmente troneggiava al centro il vassoio con i prelibati mostaccioli.
Questi gustosissimi e profumati rombi di color marrone scuro surclassavano persino struffoli cartellate, grazie al loro profumo di cannella e all’aspetto traslucido del cioccolato di copertura, capaci di creare grandi aspettative gustative e olfattive al solo sguardo.
La storia di questi semplici e tanto graditi dolci natalizi è antica (ne parlava addirittura Catone nel suo libro sull’agricoltura): già i Romani utilizzavano il mustum, cioè il mosto di uva cotto (oggi impropriamente detto vin cotto, perché non fermentato), per preparare con farina grossolana e un po’ di miele questa sorta di biscotti da offrire a chi partiva e quando si voleva aiutare la digestione (vista la presenza dell’anice nella ricetta). Il saluto era addolcito da questi dolcetti scuri e profumati (chiamati mustacei da mustaceum – mustum, cioè mosto).
Il nome di mostaccioli o mustazzoli richiama quindi immediatamente l’uso di impastare la farina con del mosto cotto (mustum): si partiva da circa 4,5 kg di farina (più precisamente da un moggio, pari a 8,75 litri di farina, e quindi a circa 4,6 kg) a cui si aggiungevano semi di anice, cumino, un pochino di miele, corteccia di alloro frantumata piccolissimi pezzi e ovviamente mosto d’uva cotto e un pochino di acqua per impastare e ottenere un panetto morbido, da cui ricavare poi dolcetti ritagliandoli in forma di rombi, poi cotti insieme a foglie di alloro.
Proprio all’alloro (altro elemento profumato caratteristico della ricetta dell’antica Roma) alcuni collegano il nome dei mostaccioli, in quanto la parola mustace secondo alcuni è sinonimo di alloro nei dialetti meridionali, essendo con molta probabilità questo dolce originario del Sud Italia in genere, anche se adottato poi da tante altre regioni che l’hanno adattato al proprio contesto sociale e al gusto delle popolazioni locali. Le regioni più a sud, sin dal tempo dei Romani (e anche prima di loro) sono sempre state terre ricche non solo di olivi e olio ma anche di tantissimo vino, specialmente rosso e utile per produrre il mosto cotto.
Inoltre, in Puglia in particolare vi era anche ricchezza in fichi, e l’apprezzamento per i liquidi dolci concentrati estratti da questi frutti era tanto grande che i pugliesi producevano (quasi esclusivamente rispetto al resto del Sud e italico) anche il mosto cotto ottenuto dai fichi, ancor più dolce e profumato di quello d’uva. Certamente con gli scambi commerciali questo prodotto giunse a Roma e anche qui fu molto apprezzato e modificato secondo il gusto popolare laziale. Nel ‘500 i mostaccioli sono citati nell’opera di Bartolomeo Scappi, cuoco di papa Pio IV e Pio V, il quale consiglia di servirli come antipasto pro-digestione per pranzi impegnativi.
Non è pertanto certo che i mostaccioli siano invenzione romana, non solo per il ruolo del Salento ma anche per l’influsso arabo sulla gastronomia meridionale italiana: questa tesi è però confutabile perché Columella che scrive dei mostaccioli è vissuto molto tempo prima dell’invasione araba dell’Italia meridionale e insulare. Tutt’al più, essi hanno potuto modificare la ricetta secondo i loro usi di popolo abitante di deserti e abituato a conservare cibi e dolci.
I mostaccioli per tradizione si preparano a partire dall’8 dicembre, proprio come si fa per l’albero di Natale e altri dolci della tradizione, perché è in tale data che iniziano le festività natalizie.
Tornando ai nostri giorni, possiamo affermare che di ricette regionali di mostaccioli ve ne sono diverse (pugliesi, abruzzesi, calabresi, siciliane e sarde), ma la ricetta più apprezzata e conosciuta dei mostaccioli è spesso quella napoletana, preparata con mosto cotto d’uva e glassata con cioccolato, caratterizzata dall’uso del cosiddetto pisto, che altro non è che una miscela di profumatissime spezie (anice stellato, chiodi di garofano, cannella in polvere, noce moscata grattugiata e pepe bianco), miscelati in dosi adeguate e con ricette individuali difficilmente rivelate. Il pisto è reperibile nei negozi napoletani e campani in genere, oppure lo si può preparare in casa. Alla fine risulta essere una polvere finissima, ottenuta macinando le spezie ad alta velocità ma non a lungo, al fine di evitare il surriscaldamento delle sostanze aromatiche e la loro degradazione. Il composto deve essere poi tostato in padella e riposto in un barattolo di vetro scuro: in questo modo la luce non lo degrada e si conserva per diversi mesi, risultando utile anche per altre preparazioni anche non dolciarie.
Nella preparazione napoletana classica si usano anche le mandorle tritate, oltre alla variante di spalmare il dolce prima con marmellata di albicocche un po’ diluita e poi con glassa al cioccolato. In ormai nessuna delle ricette regionali si fa più uso delle foglie di alloro triturate e mischiate all’impasto, mentre è stato introdotto nel tempo lo zucchero (che i Romani non avevano, ricorrevano solo a miele e mosto cotto). Altra variante declamata da alcuni buongustai è quella di aggiungere all’impasto vino rosso dolce di qualità e succo d’arancia.
Come già accennato, esistono mostaccioli nelle diverse regioni del Sud Italia, con lievi varianti rispetto alla ricetta napoletana (la quale sembra che originariamente non prevedesse l’uso del mosto cotto). Quelli abruzzesi ad esempio prevedono, oltre ai soliti ingredienti, anche l’uso di uova intere e cioccolato fondente tritato; quelli pugliesi vengono invece prodotti usando anche mosto cotto di fichi e non di uva, con gusto e profumi davvero speciali.
I mostaccioli calabresi, a differenza degli altri, non sono dolci natalizi ma tipici dei matrimoni: la mamma della sposa ne prepara uno molto grande e lo invia al futuro sposo per significare che la sposa è pronta per il matrimonio. Oggi vengono preparati anche per festeggiare eventi importanti in genere e spesso si usa miele e cacao amaro senza mosto cotto, la glassa è di miele e sopra vengono fatte decorazioni con la stessa pasta del mostacciolo, mentre la forma di taglio è più similare a quella dei cantucci. I mostaccioli sardi erano in origine caratteristici della festa di Ognissanti, e si distinguevano per la lunghissima lievitazione, che poteva durare anche fino a venti giorni, oggi ridotti a due; quelli siciliani si chiamano mustazzoli e sono caratteristici perché rifiniti con miele, semi di sesamo e granella di mandorle, contemplano l’uso oltre che di mandorle anche di nocciole sbriciolate e il pepe nero nell’impasto.
I mostaccioli, napoletani o meno che siano, si conservano per una decina di giorni, ma in realtà sono buonissimi anche dopo, quando si sono asciugati molto, perché possono essere intinti in latte caldo o altri liquidi alimentari come il vino rosso o il caffè (che si sposeranno benissimo con il cioccolato della glassa e le note speziate). Non per nulla, anche lo Scappi affermava che i mostaccioli sono buoni dal giorno dopo e durano perfettamente anche un mese intero.
La conservazione è bene cha avvenga al di fuori del frigo, in ambiente fresco e in contenitori ermetici, per evitare che l’umidità ambientale ammorbidisca eccessivamente l’impasto di cui sono costituiti, con il rischio che si sviluppino muffe in superficie. Non risulta conveniente congelarli, in quanto consistenza e sapore vengono modificati irreparabilmente dalle basse temperature del congelatore.
Note bibliografiche e sitografiche
- C. Curione, Una ricetta per la felicità, Besa Editore
- Dispensa Corso di Pasticceria Boscolo Etoile Academy
- R. e E. Risolvo, Mange e bbive tarandine, Scorpione Editrice
- www.lacucinaitaliana.it
- www.agrodolce.it
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