Cosa si aspettano le nuove generazioni dal cibo del futuro?
Viaggio tra storia, ricordi personali e tradizione del piatto di pasta che sa rinnovarsi e tenersi in vita senza temere il trascorrere del tempo
Pasta alla matriciana: un primo piatto che concentra nella sua essenza la storia popolare di contadini, pastori e transumanza, e che vede coinvolti i territori degli Appennini dell’Italia Centrale, tra le campagne di Lazio, Abruzzo e Marche.
Possiamo solo lontanamente immaginare il trambusto quotidiano di cui si viveva secoli fa per racimolare un pasto anche in condizioni precarie, usando una padella di ferro, del guanciale, del pecorino e perché no il peperoncino. Forse si trattava di un piatto “ruffiano”, facile, saporito, e al contempo energetico.
Sembra che tra Medioevo e Rinascimento ci fossero già tracce del condimento base alla radice della moderna versione della A-Matriciana: infatti, è proprio partendo dal nome secolare cacio unto, che inizia la storia che ancora continua a rinnovarsi. Proprio così: “cacio e unto” era una ricetta a base di pecorino e guanciale cotti alla fiamma.
Questa cacio e unto va incontro ad una trasformazione nel tempo divenendo gricia, e qui le radici etimologiche e storiche si allargano. Sicuramente ancora è saldo il legame con le campagne e non con le città, ma i pareri si dividono: alcuni fanno riferimenti a “griscia” da Grisciano (il paese), altri al termine “grici”, che nel dialetto romanesco era utilizzato per definire chi vendeva alimenti (in quel tempo venuti dalla Valtellina e Grigioni).
Altri ancora rimandano alla definizione data con l’appellativo di “grici”, con i quali si dice che i romani indicassero gli abitanti della zona più interna della regione, corrispondente all’Appennino Laziale-Abruzzese, avvalorando l’ipotesi che la gricia non sia nata proprio nella Capitale ma tra le montagne del rietino.
Da qui in poi ne abbiamo di tutti i gusti e tipi, da poterne raccogliere in un bel libro di racconti. Per fare un poco di ordine, dividerei ad oggi l’amatriciana di Amatrice (spesso realizzata con spaghetti) dalla nostra ormai Matriciana.
Una cosa è certa, ed è la storia che ce la consegna. Un giorno la signora “Anna De Angelis, maritata Baiocchini, arrivò con il suo fagottino – la mappatella – vicino alla vecchia Stazione Termini. E qui questa donna cominciò a preparare, con mezzi molto modesti, i famosi bucatini all’Amatriciana per alcuni ortolani di passaggio. Gli anni passarono e, agli ortolani che venivano al mercato, si unirono entusiasti i romani per gustare gli appetitosi bucatini della “Matriciana”. Successivamente il locale si ampliò, in concomitanza con la costruzione del vecchio Teatro Costanzi (1880), poi trasformatosi nel Teatro dell’Opera (1929), e acquistò sempre più notorietà ed importanza”.
Questa storia (anche se ci sono altri documenti storici con altre testimonianze) mette il punto su una ricetta di campagna che diventa Romana, con un indirizzo differente da quello originario: non serve più per sfamare solo gli stomaci, ma serve per ristorare anche la mente e l’animo, in un piatto che arricchisce i momenti di convivialità e condivisione, tra ottima compagnia e ottimi vini dei Castelli Romani (e come scritto nel libro Le osterie di Roma del 1929, proveniente quasi esclusivamente da Frascati e Grottaferrata).
La ricetta diventa così la Matriciana romana, realizzata con il pomodoro, la cipolla e il vino bianco aggiunto al guanciale e pecorino. E da questo punto le strada è dritta, e la Matriciana si attesta come ricetta tipica, diventa tradizione romana, e nel tempo è proprio questo successo nella capitale che permette ad Amatrice di riprendersi le radici con gli spaghetti all’amatriciana e la loro relativa codifica.
A Roma la Matriciana si mescola con l’amatriciana e tutte le sue innumerevoli varianti camaleontiche. Questa ricetta, proprio grazie alla vita metropolitana, al cambiamento dei tempi, alle discussioni tra tradizioni ed innovazioni, è stata in grado trasformarsi di continuo ed arrivare ad oggi nuova e di moda seguendo i trend globalizzati, arrivando ad essere portata, conosciuta e amata in tutto il mondo.
Questo breve focus porta ad intuire che, fin dalla sua nascita, la Matriciana, grazie allo scambio giornaliero di viveri tra Roma e Frascati, ha permesso di fondersi nel binomio che oggi ancora celebriamo. Da un lato c’era il vino Frascati che ogni giorno arrivava a gratificare i clienti delle osterie e ristoranti romani, e dall’altro i romani che amavano (e ancora oggi amano) trascorrere il loro tempo fori-porta a Frascati, continuando ad alimentare la tradizione.
Il solido legame del vino Frascati con la Matriciana trova dunque conferma in uno stile di vita che consisteva di silenziosa interdipendenza, soprattutto nello sviluppo del commercio, dei cittadini di Roma e delle genti provenienti dalle campagne dei Castelli Romani.
Mi piace immaginare che i ristoranti e le osterie frascatane servissero normalmente la pasta con guanciale e pecorino proprio come facevano le mie nonne, ad uso di un piatto di campagna. Questo per dire che in quella che oggi chiamiamo A-Matriciana si cela un piatto di campagna che arriva a Roma e si trasforma, e grazie al ristorante la Matriciana ed alla sua proprietaria “di Amatrice” si è potuto celebrare un successo che di ritorno ha premiato Amatrice in nome di un’area molto estesa.
Per questo la Matriciana è una ricetta che di cui si mescolano le tracce e ciò fa discutere: pensate che con una piccola ricerca nella mia biblioteca ho potuto constatare come la Matriciana a Roma venisse realizzata anche con la cipolla, poi con un improvviso switch, dagli anni 90, ha iniziato a “depurarsi” per quasi tornare alle origini.
Dico “quasi” dal momento che le mie nonne la cucinavano - una in Ciociaria e una a Frascati - semplicemente prendendo il bottiglione dell’olio di casa (ed era sempre abbondante fino a galleggiare sopra il pomodoro), il guanciale o la pancetta sempre di casa (tenuta a stagionare in cantina) e vai n padella, un poco di vino di Frascati, poi la bottiglia di pomodoro (sempre fatto in casa), un poco di conserva (non poteva mancare) e poi la cottura dolce.
Appena pronta la salsa, mettevano in cottura (rigorosamente) i bucatini, che appena scolati finivano nel piattone formato famiglia (senza “ripassare”, “risottare”, o altre pallonate moderne) coperti da mestoli grondanti di sugo, olio e grasso mentre la pasta fumava. E per concludere, piogge bianche e sapide di formaggio pecorino, proprio o di qualche amico (non romano). Ecco: che la si chiami Matriciana o Amatriciana, sicuramente quella era buona e genuina (seppur più ricca di calorie rispetto a come la prepariamo oggi).
SI sappia dunque, in conclusione, che l’amatriciana nasce per via di una storpiatura romanesca: diventò La Matriciana e i bucatini furono ribattezzati come il piatto dalle “5 p” (pasta, pancetta - che in realtà era guanciale, come da tradizione - pomodoro, pecorino e peperoncino) alle quali Aldo Fabrizi, gradito ospite del locale, volle aggiungere con una simpatica battuta romanesca la sesta “p”: la panza. Per concludere ecco i suoi versi in poesia dedicati all’amatriciana.
L’amatriciana mia
Soffriggete in padella staggionata
cipolla, ojo, zenzero infocato,
mezz’etto de guanciale affumicato
e mezzo de pancetta arrotolata.
Ar punto che ‘sta robba è rosolata,
schizzatela d’aceto profumato
e a fiamma viva, quanno è svaporato,
mettete la conserva concentrata.
Appresso er dado che je dà sapore,
li pommidori freschi San Marzano,
co’ un ciuffo de basilico pe’ odore.
E ammalapena er sugo fa l’occhietti,
assieme a pecorino e parmigiano,
conditece de prescia li spaghetti.
Aldo Fabrizi
Brano tratto da La pastasciutta – Ricette e considerazioni in versi, Arnoldo Mondadori editore 1970
Nota: Aldo Fabrizi in alcune note alla poesia consiglia di preferire una padella di ferro per la cottura del condimento, così come, in alternativa agli spaghetti, suggerisce “maccheroncelli ma soprattutto bucatini”. Inoltre, si noti che nel vecchio gergo romanesco, con "zenzero infuocato" o "zenzero piccante" si intendeva in realtà il peperoncino.
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Mercoledì 13 dicembre 2023 il Lazio celebra a Frascati le sue eccellenze con una moneta: la pasta all’amatriciana e il vino Frascati DOCG scelti dalle Regione come due prodotti tipici che compariranno in doppia faccia sulla moneta celebrativa che l’Istituto poligrafico e Zecca dello Stato ha coniato per dedicarla ai prodotti che caratterizzano e raccontano la tradizione del territorio laziale. Anche Fabio Campoli sarà presente all’evento di presentazione della moneta appartenente alla serie “Cultura enogastronomica italiana”, presso il Salone delle Scuderia Aldobrandini, sito nella piazza principale di Frascati.
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Scritto da Fabio Campoli
Imprenditore e opinion leader del panorama gastronomico, attraverso le sue poliedriche attività incentrate sulla cultura, la promozione, la ricerca e una presenza ininterrotta dal 1998 sulle più note reti televisive italiane e sul web, Fabio Campoli ha coniato un modo di essere chef che si esprime ”in cucina e oltre”.
Fondatore di Azioni Gastronomiche Srl e direttore della testata Promotori di Gusto, nonché direttore tecnico dei progetti editoriali nazionali Facile Con Gusto e Club Academy,
Fabio Campoli è oggi un affermato professionista che con la propria squadra offre servizi su misura per il mondo della ristorazione, dell’intrattenimento, della formazione, della comunicazione/informazione e della promozione.
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