E l’alta moda si fa gourmet
Il poeta italiano che fu premio Nobel nel 1906 amava il buon cibo e partecipare alle "ribotte": ecco alcuni aneddoti
Tutti conosciamo fin dai tempi della scuola il famoso poeta Giosuè Carducci (a lui piaceva farsi chiamare Giosue senza accento) e spesso siamo ancora in grado di recitare alcuni versi delle sue poesie più famose a memoria. Il poeta, assai prolifico di scritti, è stato fra l’altro il primo italiano a ricevere il premio Nobel per la letteratura nel 1906.
Giosuè Carducci nacque a Valdicastello, in provincia di Lucca, nel 1835. Ad iniziarlo all'istruzione fu il padre in prima persona, medico di professione, il quale per motivi politici fu costretto a trasferirsi con la famiglia a Bolgheri, poi in altri paesi vicini della Maremma pisana dove il poeta trascorse la sua prima giovinezza, e infine a Firenze. Qui Giosue si laureò in lettere e filosofia, e dopo aver insegnato presso diversi istituti superiori,.nel 1859 gli fu offerta una cattedra di insegnamento all’Università di Bologna.
Il Carducci conservò l’incarico per il resto della vita e si legò tanto a Bologna da descriverla come la sua “Patria seconda”. I paesaggi dei componimenti del poeta si ispirano ad un profondo sentimento della natura e più spesso alla storia, rievocata in immagini di potenza espressiva e accenti di vibrante passione. Carducci insegnava non solo come professore di lettere ed eloquenza, ma come maestro di vita; con il suo esempio insegnava ad amare tutto ciò che è bello, nobile ed eroico; insegnava a ricordare le glorie del passato storico per sentire la fierezza di essere Italiani e l’entusiasmo di dare alla patria appena risorta tutto il contributo delle proprie energie.
Arguto intellettuale, impegnato e innovatore, fin da giovane Carducci ebbe due grandi passioni: le donne e il buon cibo. Un giorno speciale per lui nella campagna maremmana era la data del 24 agosto, giorno di fiera a Bolgheri, dove ogni anno si preparava la “maccheronata di San Meo”. I maccheroni , pasta fatta in casa con molte uova e tagliata grossolanamente come delle larghe tagliatelle, erano conditi con sugo di papero e castrone (un montone, ovino castrato) ma senza pomodoro. Ai maccheroni si affiancava del buon vino locale e la festa terminava con balli e canti.
Il profondo legame del poeta con i paesi di Bolgheri e della vicina Castagneto lo indussero a celebrare con i suoi vecchi amici di quei luoghi le cosiddette “ribotte”, delle grandi abbuffate che duravano dal mattino fino al tramonto. Lui, vestito alla maniera dei contadini maremmani e con il cappello a tesa larga, durante questi banchetti annaffiati dal vino locale allietava i commensali conversando e recitando le sue poesie .La prima ribotta fu quella del 1879, organizzata presso la Caffetteria di Giovanni Manetti a Castagneto, e il piatto immancabile di questi incontri conviviali erano i tordi allo spiedo. Il menù delle ribotte solitamente prevedeva i sopracapellini (sottili spaghetti chiamati fedelini in Liguria e mezzanfini in Toscana) serviti in brodo di quaglia, cervello fritto col contorno di croccante prezzemolo,e tordi di Castagneto allo spiedo.
I tordi, tanto graditi al Carducci, oggi sono specie protetta e possiamo solo immaginarne il sapore; in quelle delicate carni Giosue ritrovava i profumi delle bacche di ginepro e delle olive della amata terra natìa di cui i volatili si erano cibati .Questo profumo rianimava i ricordi giovanili a tal punto che quando abitava a Bologna si faceva recapitare i tordi proprio dalla Maremma . Tra i piatti preferiti dal poeta c’erano anche il pesce fritto e le fettuccine con l’abbacchio; assieme al suo amico editore Zanichelli si recava spesso nei ristoranti tipici dei luoghi che visitava alla scoperta di nuove ricette .
Oltre che buongustaio, Carducci era anche un buon bevitore; il vino è evocato in diverse sue poesie ma anche in opere quali “L’Ostessa di Gaby” e “Rime e ritmi”, e durante il periodo in cui collaborava alla “Cronaca Bizantina” si faceva pagare in barili di Vernaccia. Una sera a Roma assaggiò per la prima volta il gin e lo gradì tanto da scrivere il componimento dedicato “Gin e ginepri”. A Napoli apprezzò le ostriche che insieme ad altri piatti tipici partenopei accompagnava coi vini Posillipo e Vesuvio.
La scrittrice Brunetta Lugioli ha recentemente pubblicato il libro ”Rime e ricette in Giosue Carducci .Tour poetico-gastronomico nella Maremma toscana” nel quale ad una dettagliata biografia del poeta segue una raccolta di ricette maremmane che va dagli antipasti ai dolci .La maggior parte dei piatti descritti proviene dalla tradizione orale delle donne del luogo, molte delle quali ai tempi del poeta non sapevano leggere e scrivere .
La prima insolita ricetta è quella del pollo al curry, che una celebre documentarista del Risorgimento di nazionalità inglese aveva dato alla moglie del poeta .Tra gli antipasti semplici ci sono le “freghe” , bruschette fatte con pane toscano raffermo su cui vengono strofinati i pomodorini pallini del luogo. Questi pomodorini sono fatti asciugare in luogo fresco appesi ,legati ad un ramoscello , per essere gustati anche fuori stagione ; la tecnica di conservazione è la stessa dei pomodorini pugliesi detti “pomodori ‘nzerta” coi quali si condiscono le frise o friselle; le freghe si strofinano coi pomodorini da ambo i lati e si condiscono con olio toscano, sale ed eventualmente pepe; nelle frise l’olio è quello della Puglia ed è immancabile il profumo dell’origano. Paese che vai…
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