L’albicocca

Dall’Oriente con amore, colore e sapore: scopriamo tutto sull’albicocca, da storia e origini a coltivazione e uso in cucina

L’albicocca

Tipico e amato frutto estivo, è ormai universalmente accettato che la pianta dell’albicocca sia cinese, originaria dell’Asia centrale, precisamente della zona russo-cinese compresa tra il Kirghisistan e il Sinkiang, dato che esemplari spontanei di albicocco sono stati trovati sulle montagne intorno a Pechino, nel Turkestan, nella regione Himalayana, nella Manciuria meridionale e nella Mongolia sud-orientale. La certezza dell’origine cinese della pianta deriva anche da ritrovamenti databili 2.205 a.C., sotto l’imperatore Yù, quando nel libro sacro da questi scritto, si cita la piantagione di moltissimi Sing (albicocco in cinese). 

Botanicamente l’albicocco coltivato appartiene alla famiglia delle Rosacee, sottofamiglia delle Prunoidee, genere Prunus, specie P. armeniaca (come si nota il nome della specie richiama l’Armenia, regione erroneamente ritenuta originaria, in quanto creduta sede del Paradiso Terrestre, tanto che Eva avrebbe mangiato non una mela ma una grossa albicocca, secondo le credenze ebraiche; secondo altri perché Alessandro Magno aveva trovato gli albicocchi in Armenia). Esistono anche altre specie di albicocco (P. dasycarpa, P. mandshurica e P. sibirica) che sono coltivate non per i frutti commestibili ma per il miglioramento genetico della specie coltivata. 

In passato, l’albicocco si faceva rientrare nel genere Armeniaca, specie A. vulgaris. Romani e Greci non conoscevano l’albicocco, come dimostrato dal fatto che in nessuno degli scavi archeologici è stata mai trovata traccia del contrario. L’introduzione in occidente è pertanto successiva a tale periodo, probabilmente intorno al III-IV secolo d.C. Gli Arabi lo introdussero in Francia intorno all’anno 1.000, durante la loro occupazione della regione del Roussillon.

Nella UE i maggiori produttori di albicocche sono la Spagna (a sud in Murcia, Valencia e Saragoza), l’Italia, la Grecia e la Francia (Roussillon, Rodano, Loira e Provenza), mentre a livello mondiale il maggior produttore è la Turchia, seguita da Uzbekistan, Iran, Algeria, Pakistan, Giappone e Ucraina; produzioni rilevanti si registrano anche in USA, Sud Africa e Australia, oltre che in Tunisia, Marocco e Algeria. In Italia la produzione di albicocche si realizza per circa il 60% in Campania, per il 20% in Emilia-Romagna, seguite da Basilicata, Sicilia e Piemonte. Terra eletta per le albicocche è, come detto, la Campania dove nel 1500 si distinguevano le bericocche rotonde, a pasta bianca, con nòcciolo aderente alla polpa e mandorla amara, dalle chrisòmele o crisòmmele, dal greco: mele d’oro, di differente pezzatura e forma, soave aroma e molto colorite, nòcciolo spiccagnolo, mandola talvolta dolce.

L’albicocco è una pianta alta 4-8 m, che in autunno perde le foglie, ha un solo fusto (monocaule) con le sue branche principali e secondarie su cui si formano i rametti vegetanti e quelli fruttiferi, chioma molto bella esteticamente ed espansa, un tronco inconfondibile perché con corteccia di colore bruno-rossastra con screpolature più chiare trasversali, mentre i rami danno sul rossastro. Anche le foglie sono inconfondibili tra le prunoidee drupacee, in quanto cuoriformi con apice appuntito e picciolo rossastro. I fiori sono ermafroditi (cioè lo stesso fiore porta antere con polline e pistillo con ovuli), con petali bianchi o appena rosati; la fioritura (che precede, come nel mandorlo, la comparsa delle foglie) segue quella del mandorlo e precede quella del pesco, verificandosi di solito tra febbraio e marzo; l’impollinazione è entomofila, operata da api, vespe, bombi e altri. 

I frutti (che maturano in giugno e luglio, ma tenuto conto delle produzioni estere europee si trovano sul mercato da maggio ad agosto) sono le albicocche, tanto attese e gradite quando compaiono sui mercati, specialmente quando ben mature durante l’estate: si tratta botanicamente di drupe, dalla forma obovata (In botanica, di organo vegetale in cui la metà superiore sia più larga di quella inferiore, quindi con un profilo simile a quello di un uovo capovolto), ellittica, sferoidale a seconda della varietà, di dimensioni medio – piccole, con buccia (epicarpo) tomentoso (leggera peluria), color giallo o giallo aranciato, più intenso sulla faccia della drupa esposta al sole. La polpa si presenta colorata dal verde giallastro all’aranciato, dal sapore dolce e acidulo, gradevolmente profumata, abbastanza soda (salvo la sovra maturazione). Ogni drupa contiene un nòcciolo grosso, appiattito, legnoso, dalla superficie liscia, di color marrone, contenente un seme (mandorla), anticamente chiamate armellino o armellina, dal sapore di solito amaro (per la presenza di amigdalina come le mandorle amare, glucoside che con la masticazione sviluppa acido prussico o cianidrico che dir si voglia), in poche cultivar dolce.

Il nòcciolo può essere aderente o semiaderente alla polpa (gran parte delle cv) oppure spiccagnolo (o spicco), cioè facilmente separabile d questa. L’albicocco si può riprodurre per seme (via gamica), ma è ormai affermata la tecnica dell’innesto (via agamica) delle varietà di albicocche su portainnesti rappresentati da P. armeniaca (Franco comune), P. cerasifera (Mirabolano), P. persica (Pesco franco) e P. domestica (susino). Le cv più coltivate, classificate in base alla precocità di maturazione con riferimento alla cv. S. Castrese (un tempo era la cv Cafona) che matura verso il 20 giugno in Campania e verso il 4-5 luglio in Emilia-Romagna (le due regioni maggiori produttrici in Italia), sono la Tirinthos, la Precode d’Imola, la famosa Cafona, la San Castrese, la Palummella, la Boccuccia, la Reale d’Imola

La raccolta delle albicocche (in media 56-60 kg a pianta) è determinata dal momento del viraggio del colore dal verde al giallo; l’operazione deve non solo deve essere effettuata a mano (con una lieve torsione del frutto da staccare) per la delicatezza del frutto, ma anche perché è scalare, per cui bisogna raccogliere ripassando alcune volte sulle stesse piante (una volta si raccoglievano da terra e con l’ausilio di scale, quest’ultimo oggi proibito per legge, dovendosi ricorrere a cestelli elevatori). Se i mercati sono lontani, si raccoglie con lieve anticipo sulla maturazione, dato che si tratta di un frutto climaterico, cioè che matura anche dopo il distacco dalla pianta. 

E’ proprio questo l’aspetto che non consente la raccolta meccanica integrale, ma solo quella agevolata: per poter raccogliere a mano in modo più rapido e senza danneggiare le piante, è necessario allevare l’albicocco a palmetta, in modo da avere dei filari appiattiti in verticale e tali da far passare nell’interfilare i carri di raccolta, a piattaforme laterali su cui si trovano gli operai raccoglitori, i quali riescono a raggiungere anche le parti alte della pianta in quanto elevabili a diverse altezze. Inoltre la raccolta deve essere veloce perché il problema delle albicocche è che maturano in pochi giorni, per cui se non si trova subito come collocare il prodotto, questo cade a terra e la produzione caduta deve considerarsi deprezzata o addirittura persa perché stramatura. La raccolta meccanica integrale viene praticata soltanto per le produzioni non destinate al consumo fresco ma all’industria di trasformazione. 

Dopo la raccolta le albicocche (sia per il consumo fresco che per l’industria) non possono sostare troppo nelle celle frigo in quanto subiscono facilmente il colpo di freddo; migliori risultati si ottengono conservando (sia per il consumo fresco che per l’industria) con la prerefrigerazione o e il trasporto in regime di freddo, oppure con idrocooling immediatamente dopo la raccolta. Con quest’ultimo metodo, la frutta viene immersa in acqua refrigerata, filtrata e depurata con ozono (O₃), abbattendo rapidamente la T ed eliminando (grazie al lavaggio) batteri, muffe e virus, oltre ai contaminanti chimici del campo. Le albicocche italiane sono per la maggior parte destinate al consumo fresco sui mercati nazionali, mentre solo il 5% viene esportato verso i Paesi dell’ Europa centrale e settentrionale.

L’albicocca (in inglese apricot, francese, abricot, spagnolo albaricoque, portoghese damasco, tedesco aprikose) dal punto di vista nutrizionale è un frutto molto equilibrato ricco non solo di carboidrati energetici, ma anche di vitamine e sali minerali; 100 g di questo prezioso frutto contengono 94 g di parte edibile, formata da 86 g di acqua, 0,4 g di proteine, 0,1 g di grassi, 7,6 g di zuccheri, 2,1 di fibra alimentare, 320 mg di potassio, 17 mg di magnesio, 12 mg di zolfo, 16 mg di calcio, 0,5 mg di ferro, vit. B – C – PP , carotenoidi precursori della vitamina A, apportando appena 31 kcal. Per l’effettivo beneficio alimentare le albicocche devono essere consumate quando mature e sode; se stramature perdono i loro benefici per degradazione delle componenti nutritive. I valori qui esposti naturalmente variano se consideriamo le albicocche sciroppate (63 kcal, 16 g carboidrati, 150 mg di potassio), quelle disidratate (349 kcal, 85 g di zuccheri, 1.200 mg di potassio), quelle secche (275 kcal, 66 g di zuccheri, 980 mg di potassio).

Per il consumo fresco, le albicocche vanno scelte preferibilmente mature, consumate entro breve tempo dall’acquisto. Se abbiamo comprato delle albicocche poco mature, possiamo favorirne la maturazione una volta a casa, tenendole fuori dal frigo per 2-3 giorni, mettendole in un sacchetto (meglio di carta perché traspirante antimuffa e non di plastica), lasciando il tutto a T ambiente, lontano dai raggi del sole. Se acquistate mature ma ancora ben sode, le albicocche possono essere conservate in frigo (così non prosegue la maturazione con rischio di rammollimento) per una settimana al massimo, ma anche a T ambiente per massimo 3-4 giorni. Le albicocche si possono anche congelare, a patto che vengano scelte le migliori ben sane, separate dai noccioli, divise a metà, sistemate in uno strato unico e poste in congelatore per molte ore, dopo di che poste in sacchetti e chiuse ermeticamente.

La facile deperibilità del prodotto ha determinato nel tempo l’incremento della trasformazione industriale, per cui oggi si ritrovano albicocche essiccate, sciroppate, trasformate in succhi, nettari, creme, puree, confetture, macedonie, gelatine, surgelate, disidratate. Le forme disidratate ed essiccate delle albicocche vanno consumate con parsimonia perché molti produttori usano trattarle con anidride solforosa (antiossidante contro l’imbrunimento ossidativo e lo sviluppo di batteri)

In pasticceria si usa “apricottare dolci vari e bevande usando i prodotti industriale delle albicocche (si pensi alle tante torte, in primis l’austriaca Sacher per la quale si usa la confettura); ma albicocca e derivati si usano anche in gelati, sorbetti, mentre in cucina sono utili per preparazioni salate sotto forma di salse grazie al loro retrogusto lievemente acidulo, specialmente in accompagnamento a carni sia rosse che bianche. In liquoreria con le mandorle (seme) di albicocche si preparano liquori puri o misti a vari tipi di whisky e brandy o cognac, oltre a distillare un alcol da fermentazione di albicocche (Abricotine in Svizzera, Kajsija nei Balcani). Con i semi di albicocca (mandorle o armelline) uniti a mandorle amare (come già detto, entrambe contengono amigdalina, che ne sconsiglia l’uso eccessivo) si preparano dolcetti (tipo amaretti e simil pasticceria secca), essenze da usare in bevande (amaretti, sciroppi, liquori).
 

Note bibliografiche:

  • V. Forte, L’albicocco, Edagricole
  • AA.VV., Aspetti tecnici ed economici delle produzioni ortofrutticole nel Mezzogiorno, Ed. FORMEZ
  • Fidanza – Liguori, Nutrizione umana, Ed. Idelson
  • Valli – Schiavi, Coltivazioni arboree, Edagricole
  • AA.VV., Merceologia degli alimenti, Ed. AIS

Scritto da Luciano Albano

Laureatosi nel 1978 con lode in Scienze Agrarie, presso l'Università di Bari, si è specializzato nel 1980 in "Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli" presso il C.I.H.E.A.M. (Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici del Mediterraneo) di Valenzano (Bari), ha conseguito nello stesso anno anche l'abilitazione alla professione di Agronomo. Fino al 1/3/2018 ha lavorato alla Regione Puglia nell'Ufficio Territoriale di Taranto, quale Responsabile della P.O. "Strutture Agricole". Appassionato di olio e vino ha conseguito il Diploma di Sommelier AIS nel 2005 e ottenuto nel 2008 l'Attestato di Partecipazione alle Sedute di Assaggio ai fini dell'iscrizione nell'Elenco Nazionale di Tecnici ed Esperti degli oli di oliva extravergini e vergini. Fino al 2018 è stato iscritto all'Albo Provinciale dei Dottori Agronomi e Forestali e come CTU presso il Tribunale di Taranto. Ama il food & beverage e ne approfondisce i vari aspetti tecnici, alimentari e storici

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