Il Fiore Sardo DOP

Formaggio pecorino tra i più amati e conosciuti della regione Sardegna, scopriamone tecnica di produzione, curiosità storiche e abbinamenti

Il Fiore Sardo DOP

Sardegna: terra di grandi allevamenti ovini e caprini, patria di insuperabili formaggi di pecora, famosi in Italia e nel mondo per la loro eccezionale qualità nutrizionale, gustativa e olfattiva. Tra questi rientra il famoso Fiore Sardo, cittadino della Barbagia (zona montuosa della porzione centrale della regione, con le province di Nùoro e del sud Sardegna) e del Gennargentu (massiccio che domina la Barbagia, con la vetta più alta di tutta la regione, il monte La Marmora con i suoi 1.834 m), indissolubile compagno della pecora sarda, dal cui latte viene prodotto. 

Il formaggio Fiore Sardo è storico nel senso che sembra fosse già prodotto ai tempi della dominazione romana dell’isola, ma le prime citazioni risalgono alla metà del XVIII secolo (1700 – 1776 , con commercio prevalente verso la Liguria (per unirlo al pesto) e la Campania. Il nome “Fiore” secondo alcuni sarebbe da correlare all’antico uso del succo di alcune piante come caglio vegetale, come il cardo e il fico; per altri è da correlare al fiore di asfodelo o giglio riportato sul fondo dei contenitori, motivo floreale tipico della Sardegna e riportato anche su ceramiche e stoffe artigianali.

Ma come si produce il formaggio Fiore Sardo? Base di tutto è il latte intero e fresco di mungitura della pecora sarda, allevata in tutta la regione sui pascoli, nelle aree collinari e di montagna, lavorato secondo una tradizione che non ha visto una notevole innovazione tecnologia, per cui possiamo dire che trattasi di un formaggio ancora molto artigianale, basata quindi sull’abilità del casaro, unita ovviamente a quella del pastore. E’ vero che una parte della produzione è industriale, ma la maggior parte del Fiore Sardo originale è quello prodotto dai pastori di montagna. Ogni pastore/casaro trasforma il latte delle sue pecore nella cosiddetta pinnetta, una piccola casetta nella quale un focolare serve per riscaldare l’ambiente e per l’affumicatura del formaggio.

Il latte che si usa è quello di una sola mungitura in estate e di due mungiture in inverno, riscaldandolo a 34-36°C (quindi formaggio "a latte crudo”) per poter sfruttare al meglio la microflora lattica naturalmente presente in esso (può essere usato anche un innesto lattico di fermenti autoctoni, purché derivato dalle precedenti lavorazioni), al quale il casaro aggiunge del caglio di agnello e/o capretto in pasta. Si lavora in caldaie di rame (lapiolos in dialetto) capaci di mantenere costante la temperatura della massa durante la coagulazione e formazione della cagliata. Piccola curiosità: anticamente il latte veniva riscaldato in recipienti di sughero, immergendovi dei sassi bollenti, arroventati sul fuoco delle capanne di lavorazione.

Segue la classica rottura della cagliata con un attrezzo chiamato chiova, la sistemazione dei pezzi di questa in stampi tronco-conici di acciaio (per un breve periodo di alluminio con rigature ai lati, le quali però rimanendo impresse sulla forma se da un lato l’abbellivano esteticamente dall’altro impedivano una corretta pulizia delle forme dalle muffe). I contenitori si chiamano pischeddas, in passato erano fatti di legno di castagno, quercia o pero, riportante sul fondo il simbolo del fiore dell’asfodelo, che passava così sulla forma, insieme al nome del produttore; i contenitori conferiscono al formaggio la forma tipica di due tronchi di cono uniti per la base maggiore, per ottenere la forma finale cosiddetta “a schiena di mulo”.

Segue la scottatura, consistente nel versare acqua calda (oppure scotta, cioè siero caldo avanzato) sulle forme per consentire la formazione di una crosta spessa e resistente. Proseguendo si passa alla salatura in salamoia (per 36/48 h e poi a secco) e all'affumicatura su graticci di canne sospese sapientemente sul focolare (cannittu) per 10-15 giorni per 2 ore/giorno alla temperatura di 18 – 20°C, sfruttando il fumo di essenze mediterranee come mirto, ginepro e altre capaci di conferire un’aromaticità inconfondibile al Fiore Sardo DOP.

Si passa quindi alla stagionatura che può variare da 3 a 9 mesi. Nel primo periodo si formano muffe sulla crosta, le quali vengono periodicamente eliminate a mano, oliando poi la superficie con olio d’oliva. Le operazioni descritte vengono ripetute spesso, rivoltando anche le forme: al termine la crosta diventa di colore marrone o verde scuro, mentre la pasta diventa morbida e saporita. La stagionatura avviene in locali freschi e ben arieggiati, situati a 700 – 1.000 metri di altitudine.

Il Fiore Sardo (riconosciuto a DOP il 12/9/1996, oltre che Presidio Slow Food) è prodotto in tutto il territorio regionale (con in testa il comune di Gavoi), si presenta in commercio con forma tipica di due tronchi di cono uniti per la base maggiore (diametro tra 12 e 25 cm), peso da 1,5 a 4 kg, crosta consistente (dura, spessa, secca) il cui colore varia con la stagionatura dal giallo intenso al marrone scuro. Una volta tagliato presenta una pasta di colore bianco – giallo paglierino (a seconda della stagione di raccolta del latte), compatta e morbida nel tipo fresco, più consistente se stagionato. 

Gli aspetti nutrizionali del Fiore Sardo DOP vedono nel tipo di almeno 3 mesi un contenuto di acqua del 35,5 %, grassi sul tal quale 32 % (di cui 28% saturi), grassi sulla s.s. 41 – 59 % (quindi formaggio “grasso”), proteine sulla s.s. 30 – 31 %, sale 1,9 g, energia 400 kcal/100 g. A tavola é un formaggio che mostra subito la sua peculiare personalità olfattiva e gustativa che ricorda i pascoli e il clima delle citate zone montane, che gli conferiscono un gusto intenso e aromatico inconfondibile, capace di caratterizzare, con le diverse sue tipologie, la cucina sarda.

Il sapore del Fiore Sardo varia con la stagionatura: un po’ dolce e delicato se appena stagionato (pochi mesi o di appena 1 mese di maturazione), saporito e piccante con l’avanzare della stagionatura. La stagionatura ideale per un ottimo Fiore è quella di almeno 4 mesi (ma ancor meglio se di otto, nove e più, dipendendo tuttavia pur sempre dai gusti personali). Infatti quello fresco (stagionatura di 3 mesi) è ottimo per preparare spuntini spezza fame, sia accompagnandolo semplicemente tal quale con pane casereccio, oppure friggendolo o passandolo alla brace, o ancora lasciandolo fondere e poi sistemandolo accanto a delle squisite fave fresche.

Acquistando quello stagionato oltre i 3 mesi potremo grattugiarlo sulla pasta, sulle minestre contadine, per impreziosire le classiche polpette, spolverarlo sul piatto più famoso dell’Isola e della stessa Barbagia, cioè il pane fratau, classica ricetta - piatto unico fatta con pane carasau (PAT) o comunque di grano duro, cotto in brodo, condito con pomodoro, uova e olio d’oliva; oppure dedicarlo ai famosi culurjones (IGP) detti anche angiulotus cioè agnolotti (sacchetti di pasta sfoglia ripieni di crema di patate, formaggio, aglio, menta, il cui nome sembra significhi sacchetto di cuoio o culla da culleus vista la forma); ed ancora alla polenta, alle patate arrosto e ai famosi gnocchetti sardi riconosciuti come PAT dalla Regione Sardegna (detti anche malloreddus che significa tronchetti, per l’appunto quelli degli gnocchetti). Il pregio, da non sottovalutare, di questo formaggio è di essere molto digeribile anche nella tipologia “molto stagionato”, adatto perciò sia a bambini che sportivi; altro notevole pregiò è quello che lo vede facile da conservare anche fuori dal frigorifero, pur tagliato, conservando intatti profumo, sapore e consistenza della pasta.

Per essere certi di acquistare il vero Fiore Sardo DOP bisogna verificare se sulla forma ci siano: il dischetto di caseina che identifica il Fiore Sardo, il logo della DOP “Fiore Sardo”, rappresentato dall’immagine stilizzata in bianco e nero di una pecora, il codice numerico identificativo del produttore, le diciture “Fiore Sardo” e “Denominazione di Origine Protetta” oppure “O.P.”.

Quale vinio abbinare alla degustazione del formaggio Fiore Sardo? Per quello stagionato più di tre mesi essendo da grattugia dipenderà dalla preparazione. Per quello stagionato ma per  tre mesi, che è tipo da tavola, da consumare a fine pasto o in uno spuntino preferiremo un vino rosso, di buona struttura (corpo) perché il Fiore è complesso e persistente, profumato di fiori e spezie per abbinarsi adeguatamente a profumi del Fiore, caldo in bocca, in quanto alcolico, per contrastare la succulenza indotta in bocca dal formaggio per salinità, abbastanza fresco (acidità) per contrastare la grassezza del formaggio e la sua tendenza dolce. 

Note bibliografiche
Disciplinare di produzione Fiore Sardo DOP
AA.VV., Tecnica abbinamento cibo – vino, Ed. AIS
Mucchetti – Neviani, Microbiologia e tecnologia lattiero – casearia, Ed. Tecniche Nuove

Photo by Stefano Mileto - Food Design by Fabio Campoli

Scritto da Luciano Albano

Laureatosi nel 1978 con lode in Scienze Agrarie, presso l'Università di Bari, si è specializzato nel 1980 in "Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli" presso il C.I.H.E.A.M. (Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici del Mediterraneo) di Valenzano (Bari), ha conseguito nello stesso anno anche l'abilitazione alla professione di Agronomo. Fino al 1/3/2018 ha lavorato alla Regione Puglia nell'Ufficio Territoriale di Taranto, quale Responsabile della P.O. "Strutture Agricole". Appassionato di olio e vino ha conseguito il Diploma di Sommelier AIS nel 2005 e ottenuto nel 2008 l'Attestato di Partecipazione alle Sedute di Assaggio ai fini dell'iscrizione nell'Elenco Nazionale di Tecnici ed Esperti degli oli di oliva extravergini e vergini. Fino al 2018 è stato iscritto all'Albo Provinciale dei Dottori Agronomi e Forestali e come CTU presso il Tribunale di Taranto. Ama il food & beverage e ne approfondisce i vari aspetti tecnici, alimentari e storici

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