Le avventure del risotto alla milanese

Come ci è finito dentro lo zafferano? E quali sono gli ingredienti “ufficiali”? Ecco un po' di storia tratta da una lettura consigliata

Le avventure del risotto alla milanese

Il risotto alla milanese è una pietanza che non sono abituato né a preparare, né a consumare spesso: ma forse proprio per questo motivo, quelle rare volte in cui me lo ritrovo bello, dorato e fumante davanti ai miei occhi, è subito gioia. Un “sentimento di gusto”, quello nei confronti del mitico risotto allo zafferano, che si è piacevolmente risvegliato attraverso il libro di Felice Bonalumi sul risotto alla milanese che ho da poco terminato di leggere (e consiglio: si intitola Il risotto alla milanese, edito da Jouvence nel 2015), ed è stato tanto gradevole ed illuminante da farmi desiderare di prepararlo quanto prima, con le basse temperature che incalzano e la voglia di riscaldarsi con un delizioso piatto come questo in tavola. 

Sono tante le curiosità e le considerazioni dilettevoli che questo libro sforna pagina dopo pagina, tali da rendere veramente gradevole ed istruttiva la sua lettura. Apprendo pertanto che a Milano il risotto giallo era tipico e diffuso perché una volta la vita non era tutta una corsa, non mancava cioè il tempo di cucinare e lo si faceva con tanto amore, sia che si cucinasse per sé stessi, che per la famiglia, che per gli amici. L’affezione dei milanesi per questo piatto oggi resta più viva che mai, 

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Intrigante è anche la descrizione della nascita del risotto alla milanese, che sarebbe avvenuta secondo una leggenda nel 1574, in occasione del matrimonio della figlia del vetraio belga maestro Valerio di Fiandra, impegnato nella realizzazione delle vetrate del Duomo di Milano. Un suo lavorante era particolarmente innamorato dello zafferano (e forse anche della donzella!), attratto dal suo colore giallo oro, tanto da usarlo spessissimo nelle decorazioni e da sentirsi dire, per celia, che potendo l’avrebbe messo anche nel cibo. Il garzone prese al volo l’idea e in occasione del matrimonio della figlia del vetraio (8 settembre 1574) convinse il cuciniere a usare dello zafferano per preparare il riso. A tavola fu stupore, meraviglia e curiosità di assaggiare questa pietanza tanto bella a vedersi perché color oro, il più regale. Di lì fu un gran successo e un gran parlare del risotto allo zafferano. 

Ma a parte la leggenda, il riso giallo già esisteva nelle contrade lombarde prima di maestro Valerio, anche se si trattava di riso bollito in latte di vacca, o nel brodo, con successiva aggiunta di zafferano e sale. Altri cuochi parlano di riso giallo ma in nessuna ricetta il riso viene tostato, come in nessuna ricetta si parla di vino e di midollo di bue: si tratta di riso bollito e condimenti vari, come uova, cacio, salsiccia, spezie varie e zafferano. La prima vera versione del risotto alla milanese fu quella del risotto giallo in padella comparsa nel 1809 nel libro Il Cuoco Moderno di autore ignoto (si conoscono solo le iniziali L.O.G., ndr), nella quale si parla di riso saltato in padella, con soffritto di burro e cipolla, con uso di cervellata, midollo e zafferano sciolto nello stesso brodo con cui si è fatto lentamente cuocere il riso. 

Il risotto venne definito alla milanese per la prima volta nel libro di Felice Luraschi del 1829, che prevedeva la noce moscata, ma non il vino. Per il vino si deve arrivare alle ricette di Pellegrino Artusi, che si riferiva però solo al vino bianco, pur essendo noto che già in molti centri lombardi (specialmente brianzoli) preparavano questo riso usando spesso il vino rosso, non solo perché quello bianco era raro e riservato ai nobili, ma perché molti non potevano concedersi il midollo e il grasso d’arrosto per condire il riso, per cui lo “coloravano” con il vino rosso. Ricordiamo però che la ricetta ufficiale del risotto alla milanese non prevede l’uso di alcun tipo di vino (la ricetta tradizionale è riconosciuta come De.Co., ossia Denominazione Comunale, per la sua storicità e tradizione e specificità, dal Comune di Milano nel 2007)

Altra questione affrontata nel bel libricino di Felice Bonalumi è quella di quale formaggio grattugiato usare. Tutti oggi usano il Grana Padano o il Parmigiano Reggiano, ma l’autore con tanta pignoleria storica ha accertato che ab initio si trattava di un Grana Lodigiano. L’autore informa anche sulla storia del riso in Italia prima e in Lombardia poi, sulle scelte degli Sforza per farlo coltivare in quanto non solo nutriente e molto produttivo, ma vieppiù perché pagato molto meglio degli altri cereali della Valle Padana, capace quindi di far arricchire chi lo coltivava; cita anche di malattie diffuse dalla coltivazione del riso in quanto le aree di coltivazione, sommerse dall’acqua, diventavano paludose e quindi culla di insetti e di miasmi che invadevano Milano, per cui si decise di fare le risaie almeno a un miglio di distanza dal centro abitato o dagli agglomerati di case fuori dalla città. 

Gradevole è poi la disquisizione sullo zafferano, di cui il Bonalumi traccia una breve cronistoria, che lo vede ricavato dagli stimmi del Crocus sativus, originario di Creta, già conosciuto dal antichi ebrei, romani, greci, e particolarmente caro agli arabi, nella cui lingua zafran (o zafaran) vuol dire appunto giallo (sia con stimmi crudi ma ancor più se cotti). Portato in Spagna con la conquista araba, era già ai tempi tanto prezioso da far nascere un monopolio internazionale spagnolo per la sua produzione e vendita; l’arrivo in Italia nel XIII secolo grazie a quel che si racconta esser stato un furtarello di un padre domenicano, ne vide l’uso per lo più nell’industria tessile per colorare il lino, mentre solo i ricchi lo usavano a tavola. 

Nel piccolo libro si ricerca anche l’origine del termine risotto, che sembra derivi da un tipo di cappello rigido e a cupola simile bombetta, di moda a Milano nel XIX sec., oppure dal chiasso che facevano gli spettatori amici di uno degli attori o da una claque pagata, oppure infine indicherebbe una situazione caotica in cui non si capisce nulla. 

Del risotto vengono colti alcuni aspetti che lo caratterizzano come l’essere piatto alla moda, scenografico, che anticipa i food designers ed è conviviale ma soprattutto un cibo slow e non fast. L’autore ci fa riflettere anche su quanto il risotto sia un simbolo anche multietnico (gli elementi che lo compongono non sono tutti milanesi, a partire dal riso e dallo zafferano, oltre al fatto che possono essere della zona in cui lo stiamo cucinando, sia per il formaggio che per il vino che per il burro che per il midollo, ecc.), nonchè della gelosia (il giallo è il colore della gelosia e, forse, fu proprio questa a condizionare l’aiutante del maestro vetraio). A completare la pubblicazione, non manca un ricco ricettario a tema risotti, completa di una piacevole disquisizione sulle varietà di riso più adatte al risotto, sul midollo di bue e sul vino da usare se gradito nella preparazione; sono riportati gli ingredienti e il procedimento di preparazione) e su quello da abbinare mentre lo si mangia (per alcuni si dovrebbe usare lo stesso vino usato in cottura, per altri meglio la libertà di scelta).

Concludo con una  frase dell’autore che sono certo vi farà venire ancor più voglia di cucinare il risotto allo zafferano e di leggere questo piccolo ma ricco e prezioso libro: 

 “il giallo è il colore del sole e della vitalità, è caldo, irradiante, indica il desiderio di espandersi, di comunicare… simboleggia la luce del sole, la felicità, la crescita e l’oro e sarebbe bello se ogni volta che siamo davanti a un piatto di risotto giallo alla milanese sentissimo tutte queste sensazioni”

Photo made in AI

Scritto da Luciano Albano

Laureatosi nel 1978 con lode in Scienze Agrarie, presso l'Università di Bari, si è specializzato nel 1980 in "Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli" presso il C.I.H.E.A.M. (Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici del Mediterraneo) di Valenzano (Bari), ha conseguito nello stesso anno anche l'abilitazione alla professione di Agronomo. Fino al 1/3/2018 ha lavorato alla Regione Puglia nell'Ufficio Territoriale di Taranto, quale Responsabile della P.O. "Strutture Agricole". Appassionato di olio e vino ha conseguito il Diploma di Sommelier AIS nel 2005 e ottenuto nel 2008 l'Attestato di Partecipazione alle Sedute di Assaggio ai fini dell'iscrizione nell'Elenco Nazionale di Tecnici ed Esperti degli oli di oliva extravergini e vergini. Fino al 2018 è stato iscritto all'Albo Provinciale dei Dottori Agronomi e Forestali e come CTU presso il Tribunale di Taranto. Ama il food & beverage e ne approfondisce i vari aspetti tecnici, alimentari e storici

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