L’arte del Fugu

Tra storia, cucina e disciplina intorno alla velenosità del pesce palla, le cui carni sono molto amate nella cucina giapponese

L’arte del Fugu

Come spesso avviene in natura, la bellezza, la particolarità, l’estro, il colore, una specificità, nascondono in realtà un’esigenza a prima vista non percepibile. Direste mai, vedendolo, che il pesce palla (come altri bellissimi pesci dei fondali marini) è velenoso se mangiato, al punto da essere mortale per un uomo? Ebbene sì. Ma nonostante tutto, per secoli è stato ritenuto – e lo è tutt’ora - un piatto centrale nella secolare e affascinante storia della cucina giapponese.

Esistono prove che ne attestano il consumo già nell’era Jomon (dal 10000 a.C. al 300 a. C.). Nel corso della storia ci stati diversi momenti in cui, a causa delle morti per avvelenamento, è stato proibito l’uso e la somministrazione del Fugu. Per esempio, durante lo shogunato Tokugawa (1603-1868) venne vietato il consumo di Fugu nella zona di Edo, ma il divieto non durò a lungo. Il piatto fu nuovamente proibito durante il periodo Meiji (1867-1912). L’apice della mortalità per avvelenamento si raggiunse nel biennio 1956-1958 (si parla di 420 decessi in due anni), che spinse le autorità Giapponesi a introdurre una normativa e una disciplina ferrea che portasse gli chef a doversi specializzare e qualificare per poter cucinare questo prodotto molto particolare e altamente pericoloso.

In Italia dal 1992 è vietato il commercio dei tetraodontidi (pesci palla) a scopo alimentare, e lo stesso è avvenuto in tutta la Comunità Europea a partire dal 2004. Negli USA esistono pochi ristoranti giapponesi autorizzati a servire il Fugu (gran parte dei quali a New York): oltre a ciò, le leggi federali impongono che il pesce debba essere importato unicamente dal Giappone, già sezionato in filetti e preventivamente congelato.

Ma in cosa consiste questa pericolosità del pesce in questione? Esso possiede all'interno dei propri organi una dose letale di tetrodotossina, ed è quindi consumabile solo a seguito di una preparazione appropriata, tale da rendere inoffensivo il veleno ed impedirgli di contaminare la pietanza. La difficoltà di preparazione lo ha reso uno dei piatti più celebri in Giappone e la città di Osaka gli ha addirittura dedicato un museo.

Una piccola ma doverosa digressione sulla Tetrodotossina. Si tratta di una neurotossina concentrata nella cistifellea, nel fegato, nelle ovaie e nella pelle del pesce, che prende il nome stesso dalla specie del pesce con cui si identifica. La tetrodotossina è 100 volte più tossica del cianuro di potassio; 25 milligrammi di tetrodotossina sono sufficienti ad uccidere una persona.

L'avvelenamento in seguito al consumo di pesci Tetraodontiformes è estremamente grave. La pelle e gli organi - soprattutto il fegato - del pesce palla possono contenere livelli di tetrodotossina sufficienti a produrre paralisi del diaframma e morte a causa dell'insufficienza respiratoria. La tossicità della carne, ad eccezione del fegato che risulta quasi sempre letale, varia tra le specie, nel corso delle stagioni e località geografiche, e in molti pesci palla può non essere così pericolosamente tossica. La tossina blocca la conduzione nervosa provocando paralisi, vomito, diarrea, convulsioni, blocco cardiorespiratorio.

In realtà il fascino creato dal nostro pesce palla e dal suo consumo risiede probabilmente nel fatto che il pesce in sé non è velenoso. Il veleno si annida in alcuni suoi organi interni (oltre alla pelle) che quindi non possono essere considerati edibili. Quindi la bravura dello chef è quella di dover applicare un disciplinare rigidissimo nella pulizia e nel trattamento del pesce stesso, per evitare la contaminazione delle parti che potranno invece poi essere mangiate. 

Ad avvalorare questa tesi, si ricorda un aneddoto storico in cui a bordo di una nave fu dato da mangiare ai marinai la carne del pesce palla, mentre gli scarti della lavorazione furono dati in pasto ai maiali. Al mattino seguente, mentre la ciurma era affetta da distonia, giramenti di testa, vomito e stordimento, i maiali furono trovati tutti morti, per l’elevata concentrazione di veleno ingerito attraverso gli scarti.

Quindi, come ricordavo poco prima, dal 1958 il Governo giapponese ha introdotto una severa normativa in virtù della quale è necessario praticare 10 anni di apprendistato e conseguire successivamente una licenza per poter essere autorizzati a lavorare e somministrare la carne di Fugu. Tale licenza viene rilasciata dal Ministero della Salute del Lavoro e del Benessere, a seguito del superamento di un esame sia scritto che pratico, in cui il candidato è sottoposto a varie prove tra cui il saper riconoscere oltre 30 specie della famiglia cui il pesce appartiene, saperlo pulire e lavorare,  e alla fine doverlo anche mangiare al termine della prova stessa – se non si viene bocciati prima - per avere la definitiva conferma di aver eseguito e rispettato perfettamente il rituale, se così lo vogliamo definire, della lavorazione del pesce palla. 

La realizzazione di un piatto a base di Fugu deve essere fatta a regola d’arte: gli abbinamenti devono essere delicati per poter accentuare il gusto incredibile della sua carne, viene tagliato in modo talmente sottile da sembrare quasi trasparente, e servito abitualmente in una composizione che ricorda i petali del crisantemo. Il prezzo di vendita con cui si può pensare di mangiare tale pietanza varia molto anche in base al livello del ristorante, ma considerando l’elevato grado di professionalità necessario, difficilmente sarà un piatto economico.

Nonostante un disciplinare rigidissimo, anni di apprendistato ed esperienza, certificazioni, solo ad una persona non può essere somministrato il Fugu: l’Imperatore del Giappone. La legge gli impedisce – infatti - di mangiarlo per non mettere a repentaglio la propria vita. Sarebbe un metodo di avvelenamento troppo facile.

Concludo riportando le parole dello chef Yutaka Susaki, che da 45 anni si dedica a questa particolare arte, perché tale va considerata nel panorama della millenaria tradizione giapponese: «Quando preparo questo pesce» spiega lo chef «lo faccio sapendo che la tua vita è nelle mie mani, quindi devo avere estrema cura e attenzione». Se preparato da mani competenti, il Fugu è sicuro da mangiare: «se mi guardi prepararlo, capirai di essere al sicuro».

Photo via Wikimedia Commons

Dopo la laurea in Lettere Antiche segue la passione per la cucina non smettendo mai di approfondirne l'essenza sia nella pratica che nell'approfondimento degli aspetti storici. Oggi cura varie attività che cura in qualità di chef e libero professionista, supportando diverse tipologie di aziende.

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