Le produzioni italiane sono cresciute esponenzialmente nel giro di soli 5 anni, anche grazie al successo della cucina etnica
Com’è finito in cucina il metallo fra i più preziosi al mondo? Ripercorriamo la storia dell’oro nella decorazione (e non solo) delle pietanze
Basta solo 1 grammo di oro per ottenere 2500 metri di filo o per ricoprire un’area di ben 2000 metri quadrati; la sua duttilità consente infatti di ottenere fili sottilissimi e lamine dello spessore minore di dieci alla meno sette metri. E in cucina? Era già sulla tavola dei re della Mesopotamia, e pare che per i faraoni dell’antico Egitto si preparassero dei pani con della polvere d’oro nell’impasto.
Nell’opera Il Milione, Marco Polo racconta appunto che le civiltà dell’Estremo Oriente si cibavano del prezioso elemento per ingraziarsi gli dei. Nella antica tradizione del Giappone la polvere d’oro entra nella decorazione di cibi e bevande, in particolare tè e sakè. Nella Roma imperiale si spolveravano con briciole d’oro i dolci come oggi si fa con lo zucchero a velo. L’uso di polveri d’oro e d’argento serviva ad esaltare l’aspetto scenografico delle ricette e in diversi casi, come si legge ad esempio nel De Re Coquinaria di Apicio, pur di fare impressione sui convitati si ricopriva addirittura (ad esempio il pesce) con vernice di oro o di argento, ignorando la tossicità dell’eccesso.
Con un salto temporale in avanti ci portiamo in Europa, dove durante i pantagruelici ricevimenti del Medioevo l’ostentazione dello sfarzo si manifestava attraverso portate di grande effetto scenico, ideate ad arte dai cuochi del tempo che volevano sorprendere gli ospiti camuffando con spettacolari allestimenti dei vassoi di servizio i veri ingredienti e i sapori per lasciare ai convitati la sorpresa dell’assaggio. In alcuni ricettari del tempo, quale quello di Maestro Martino, sono descritte le tecniche per decorare anche la cacciagione col prezioso metallo.
E ancora, è rimasto negli annali della storia di Milano il banchetto nunziale di Violante Visconti, figlia del duca Galeazzo Visconti, nel corso del quale furono servite agli invitati ben sedici portate interamente ricoperte di foglia d’oro. Stessa decorazione per il pane e le ostriche fu riservata ad un banchetto in onore del principe di Bisignano a Venezia, e qui siamo già nel Rinascimento. Questo periodo vede ancora assai diffusa l’usanza di rivestire le pietanze con foglie d’oro e persino d’argento come fu per il pranzo di nozze tra Gian Galeazzo Sforza e Isabella d’Aragona, nel quale tra le tante portate restano memorabili il vitello argentato e l’agnello dorato.
Ancora a Venezia le monache del Convento di S.Maria Celeste usavano oro alimentare nell’impasto dei bussolà, tipici biscotti locali. Ma verso la seconda metà del 1500 diversi Consigli Cittadini, principalmente veneti, cercarono di porre un freno all’ostentazione del lusso in tavola imponendo ai signori che in occasione di eventi e matrimoni non vi fossero più di due portate con impiego di oro.
In Europa l’uso dell’oro si trova anche sulla tavola della regina Elisabetta I: la sua frutta è infatti ricoperta di polvere d’oro e alla fine del pasto dalla sua corte si diffonde l’uso di mangiare un confetto ricoperto di foglia d’oro ritenendo di poter così prevenire le malattie cardiache. Non a caso in Italia si pensò di aggiungere dell’oro anche nei farmaci per incentivarne i benefici dell’assuzione, e probabilmente il modo di dire “indorare la pillola” deriva proprio da questo uso.
Dal Seicento in poi, è necessario un grande salto temporale per ritrovare nuovamente l’uso dell’oro nei cibi. Siamo nel 1981, anno in cui il prestigioso chef Gualtiero Marchesi propone una rivisitazione del suo piatto preferito proponendo il risotto allo zafferano con foglia d’oro, servito rigorosamente su un piatto di colore nero. E a tutt’oggi l’oro è in auge, soprattutto nelle decorazioni dei capolavori di pasticceria.
L’oro alimentare oggi è classificato come colorante alimentare con le secondo la direttiva europea 94/36/CE; in commercio si trova in diversi formati: foglie e lamine adatte per risotti e dolci o per esaltare l’aspetto estetico delle portate con superfici piatte e regolari; polvere nei liquori e nelle bevande soprattutto quelle trasparenti dove rimane in sospendione; briciole e fiocchi per guarnizioni dei piatti; spirali e bastoncini nell’allestimento di piatti dalle linee irregolari. Tanti sono gli chef che si cimentano nei nostri giorni nel rifinire le proprie ricette con l’oro , protagonista di azioni di marketing che in realtà prendono spunto proprio dal passato. Ne è un esempio quella dell’imprenditore turco noto sotto lo pseudonimo di Salt Bae, che ha creato un impero di ristoranti dove serve bistecche dorate per le quali i clienti sono disposti a pagare cifre decisamente consistenti.
Oggi l’oro alimentare è altrettanto ricavato dall’oro puro (23-24 carati), e la sua idoneità all’uso alimentare è persino normata da una direttiva europea, che lo classifica come additivo colorante per gli alimenti (indicato sulle etichette dei prodotti alimentari con le sigle E175 ed E174). Di sapore neutro, non ha controindicazioni ed è puro, a 23-24 carati: oro e argento sono gli unici metalli che se ingeriti “puri” non provocano effetti collaterali (naturalmente evitando pur sempre un’assunzione di quantità eccessive, ma dato il costo di questi “ingredienti metallici” è davvero difficile correrne il rischio!).
Oggi l’oro alimentare è facilmente alla portata di tutti, reperibile nei negozi specializzati come in quelli online, nelle versioni in polvere, in fiocchi, in fogli e persino in minuscole briciole. Un tocco unico da concedersi nelle occasioni speciali a tavola non solo per puro trionfo estetico, ma anche per i retroscena storici, che con questo articolo potrete finalmente raccontare anche ai vostri fortunati ospiti.
Photo via Canva
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