Le evoluzioni del vitello tonnato

Prima venne il vitello, poi il tonno, e solo in tempi moderni la maionese. Scopriamo il vitel tonnè come piatto freddo storico tra i più amati

Le evoluzioni del vitello tonnato

A chi non sarà mai capitato di assaggiare una pietanza d’eccellenza della cucina italiana come il vitello tonnato? E se davvero non ne avete mai avuto l’occasione, vi consigliamo vivamente di farlo, perché questa celebre preparazione di origine piemontese che ha conquistato il mondo intero, buona tanto da gustare come antipasto che come ricco secondo piatto freddo. 

Nel suo elogio del contrasto di gusto più indovinato, il vitello tonnato non è mai “passato di moda”, anzi, la sua essenza si è evoluta nel tempo: le sue prime citazioni si ritrovano all’interno di ricettari piemontesi settecenteschi, che non prevedevano in realtà la presenza del tonno. Secondo alcuni esperti, l’appellativo tonné derivava originariamente da una tradizione culinaria ereditata dalla vicina Francia, ovvero quella di servire le carni di vitello bollite (poi anche brasate o arrosto) tagliate a fette sottili e “conciate” (tanné) con diverse, saporitissime salse

Da sempre si predilige l’uso delle parti anatomiche più magre del vitello, in particolare fesa e girello, ma anche la noce è un taglio che si presterà ottimamente: suggerisce infatti l’utilizzo di tagli del coscio Pellegrino Artusi, che sul finire dell’Ottocento inserisce la ricetta nella sua Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, citando per la prima volta l’uso del tonno sott’olio per la preparazione dell’insolita quanto stupefacente salsa d’accompagnamento. A giocare un ruolo fondamentale nell’introduzione vera e propria del tonno fu di certo l’avvento dell’industria conserviera, che conservandolo in scatola lo rese alla portata di tutti. 

Nelle versioni più antiche della ricetta, la carne di vitello veniva condita con una semplice salsa preparata con olio e acciughe: non è dato sapere chi abbia avuto per primo l’idea di accostare il sapore di una carne delicata a quella del piccolo e saporitissimo pesce, che ai tempi era reperibile in Piemonte soprattutto in versione salata, e proveniva soprattutto dalla vicina Liguria (dove le acciughe sotto sale sono tradizione antica, e si fregiano oggi del marchio europeo IGP). 

Per l’intero Settecento, nei libri di cucina si cita una salsa ancora non ben definita, ma che inizia comunque a variare, con la possibilità di aggiunta, alla base di acciughe e olio, di capperi e a volte anche olive, nonché una parte (spesso lasciata restringere sul fuoco) dello stesso brodo di cottura della carne. Artusi, introducendo l’impiego del tonno sott’olio, suggerisce la preparazione della salsa disfacendolo al coltello insieme alle acciughe, per poi setacciare il tutto e aggiungere olio e succo di limone fino ad ottenere una consistenza più liquida, e infine aggiungere capperi interi. 

Da lì in poi, non sono mancate nel corso del Novecento le versioni della salsa evolute con aggiunta di tuorli d’uova sode o di una modesta quantità di patate bollite (entrambi utili a rendere la salsa ancor più cremosa e vellutata al palato), fino a giungere agli anni Ottanta, quando l’ampia diffusione della maionese industriale nelle case degli italiani ha guidato ad una forte semplificazione della ricetta, frullandovi generalmente il tonno e i capperi direttamente all’interno ed ottenendo una salsa ben saporita in modo più pratico e veloce.

Scritto da Redazione ProDiGus

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