Una pietanza come un rito, che nasce dai paesi del bacino del Mediterraneo e conquista tutto il mondo
In italiano si chiama Gemello, ed è prodotto da una startup americana che promette un “sapore autentico”. Ma i dubbi sono molti
Una startup di San Francisco ha creato il vino e il sake sintetici. Un’idea che per essere realizzata non ha richiesto l’impiego di uva, riso, né l’utilizzo di cantine e botti. Alla base di questi prodotti ci sono solo acqua, etanolo e composti chimici in grado di donare aroma, gusto e consistenza a queste “bevande di sintesi”.
La startup aveva già realizzato, nel 2018, un whisky seguendo un analogo procedimento. Il distillato era stato venduto a 500 esercizi commerciali, tra bar, ristoranti e negozi presenti in sei diversi Stati. Anche Hong Kong lo aveva acquistato, per usarlo come elemento da aggiungere ai cocktail. L’arrivo del vino sintetico fa compiere ai creativi di Endless West (nome della startup) un altro passo verso la cosiddetta “rivoluzione molecolare”.
Dal punto di vista legale, fortunatamente i produttori di questi “nuovi prodotti” (per i quali dubitiamo si sviluppi un reale “bisogno”) non possono utilizzare le denominazioni vino, sake e whisky. A definirli è bensì una sequenza di parole, che evitiamo di riportare. In ogni paese nel quale vengono commercializzati, comunque, assumono una definizione differente, secondo la cultura e i significati linguistici del posto. In italiano il vino sintetico si chiama “Gemello”; in Giappone il sake reca sull’etichetta la definizione “Kazoku”.
Quale sia lo scopo della startup californiana, nel produrre bevande di sintesi, lo chiariscono gli stessi responsabili. La scelta di creare vini in laboratorio è per molti aspetti assai discutibile, ma tali prodotti sarebbero ecosostenibili, secondo i referenti di Endless West. La loro produzione non richiede un’agricoltura su larga scala o l’uso eccessivo dell’acqua. Rispetto alle tanto amate versioni tradizionali, i “gemelli sintetici” possono essere ottenuti più o meno velocemente e con un buon risparmio economico. Almeno questo, come già menzionato, è quanto sostengono gli startupper che hanno lavorato al progetto.
“Pensiamo che questa sia l’ultima frontiera della digitalizzazione”, ha dichiarato Alec Lee, il co-fondatore e CEO di Endless West, il quale ha paragonato i processi digitali che riguardano la musica a quelli relativi al cibo. “Tutti ormai ritengono utile aver digitalizzato la musica, sostengo che lo stesso discorso può valere per l’alcol”.
In altre parole, si potrebbe copiare un vino oggi, un Cabernet Sauvignon per esempio, in modo che un nipote possa assaggiarlo fra 50 anni. Avrebbe lo stesso sapore anche a distanza di mezzo secolo. Interessante come prospettiva, certo. Ma esistono già distillati non sintetici che si conservano benissimo nel tempo, senza alcun bisogno della tecnologia. E soprattutto, siamo sicuri che questa “digitalizzazione alimentare”, nel nome dell’impiego di sostanze chimiche sintetiche, garantisca gli stessi benefici del vino (assunto in quantità moderate) sulla nostra salute? Ne dubitiamo fortemente.
Fonte: San Francisco Chronicle
Scritto da Redazione ProDiGus
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Articolo interessante. Produzione secondo i cicli di Madre Natura versus "digitalizzazione alimentare"...... Da trevigiana e fautrice del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene non ho dubbi da che parte stare, sebbene rimanga sempre affascinata da ciò che l'Uomo attraverso scienza e chimica riesca a concepire ed ottenere.....