La cultura del cous cous

Una pietanza come un rito, che nasce dai paesi del bacino del Mediterraneo e conquista tutto il mondo

La cultura del cous cous

Il grano duro: una coltura (e una cultura) tradizionale dei paesi che affacciano sul bacino del Mediterraneo. Se infatti in Italia è la pasta prodotta con la sua semola a far da padrona sulla tavola di tutti i giorni, in Nord Africa questo prodotto prende la forma di piccoli granelli, lasciati essiccare al sole per poi essere stipati in dispensa ed entrare a far parte di un piatto multiregionale: il cous cous (anche scritto "cuscus" secondo l'etimologia non alla francese dei suoi paesi d'origine). 

Il suo nome deriva dalla radice araba kaskasa, che significa “pestare, macinare” e identifica una semola cotta a vapore, servita con carni, pesce e verdure d’accompagnamento. Mentre qui da noi è possibile reperire il cuscus in comode scatole poste sugli scaffali dei supermercati, presso molte famiglie africane la sua preparazione viene effettuata ancora artigianalmente, a mano, soprattutto durante la stagione estiva. E’ in questi mesi infatti che si presentano le condizioni climatiche ideali per lasciar essiccare il prodotto su grandi teli bianchi, all’aperto o in stanze ombreggiate. 

Una volta pronto, il cuscus viene confezionato e resta buono da utilizzare per un anno intero. Ma c’è ancora una differenza con il “cous cous generico” che conosciamo in Europa: infatti, in Africa se ne producono di diverse tipologie a differente granulometria. Generalmente, vengono preparati almeno due tipi di cuscus: uno a grana più fine – molto usato per la preparazione di dolci locali – e uno a grana più grossa, ottenuti grazie all’impiego di specifici setacci (ĥarrag è il nome di quello a fori grandi, reffād quello a fori più piccoli).

La preparazione del cuscus ancora oggi in Nord Africa costituisce un vero rito, fatto di una gestualità che si tramanda da generazioni, e di un’indispensabile delicatezza nel trattamento di semola e farina con le mani inumidite. Nella sua produzione può anche capitare che più famiglie riuniscano le proprie forze, soprattutto nel caso di eventi speciali come matrimoni, circoncisioni, festeggiamenti per le partenze o i ritorni dal pellegrinaggio a La Mecca. 

Bastano già queste poche righe per comprendere l’importanza del cuscus, che costituisce ben altro che una semplice ricetta: è legato all’amore quotidiano con il quale la madre di famiglia prepara i pasti per sfamare marito e figli, consiste nella vera e propria identità gastronomica di ciascun nordafricano, che una volta lontano da casa riesce a rinunciare forse a tutto, meno che a questa pietanza. 

Il cuscus è noto anche in altri territori europei e asiatici: infatti, nel Medioevo fu scoperto dai corsari mediorientali e inserito da quel momento in poi in diversi documenti di letteratura culinaria, che lo resero già ai tempi una vera moda. Nel XVII secolo si descrive all’interno di fonti europee il conforto che il cuscus riusciva a infondere  nei prigionieri vittime dei corsari arabi intrappolati nelle prigioni di Algeri e Tunisi

E anche l’America non è rimasta indenne dalla conoscenza di questo prodotto, giunto oltreoceano grazie ai coloni portoghesi evacuati dalle città marocchine, intorno al 1769. Ma una volta sbarcati nel Nuovo Mondo, dovettero subito trovare una variante che prevedesse l’impiego dei prodotti reperibili localmente: in questo modo si diede vita al cuscus di mais.

La tradizione nordafricana vuole che il cuscus venga servito su un piatto rotondo, dotato di un caratteristico piedistallo realizzato in terracotta, il mațrad. Sormontato dai legumi e tutti gli altri ingredienti che ne contraddistingueranno il sapore, la forma rotonda dei recipienti di servizio sottolinea l’uguaglianza dei commensali e l’importanza della partecipazione di ciascuno alla condivisione simbolica con l’intera umanità. 

Nella disposizione degli ingredienti d’accompagnamento, è importante l’equità: un dettaglio fondamentale dal momento che, da tradizione, ogni commensale dovrà servirsi con il cucchiaio dal grande piatto a centrotavola, ma prelevando solo la porzione di cibo disposta direttamente davanti ai suoi occhi. 

E ancora un’ultima curiosità che forse non conoscevate: secondo la Sunna (ovvero il testo di riferimento della religione islamica contenente il “codice di comportamento” dei fedeli), il giorno più indicato per preparare e servire il cuscus sarebbe il venerdì. Un giorno in cui il mondo occidentale è abituato ad andare per locali e far festa, ma che invece in diversi territori a religione musulmana conclude con tanta tranquillità le fatiche della settimana. Il venerdì è una giornata particolare di preghiere alla Moschea, dopo le quali è tradizione radunarsi intorno alla tavola per condividere i pasti; si pensi che alcuni ristoranti marocchini al venerdì scelgono espressamente di servire solo cuscus. 

Photo via Pixabay

Scritto da Sara Albano

Laureata in Scienze Gastronomiche , raggiunta la maggiore età sceglie di seguire il cuore trasferendosi a Parma (dopo aver frequentato il liceo linguistico internazionale), conseguendo in seguito alla laurea magistrale un master in Marketing e Management per l’Enogastronomia a Roma e frequentando infine il percorso per pasticceri professionisti presso la Boscolo Etoile Academy a Tuscania. Dopo questa esperienza ha subito inizio il suo lavoro all’interno della variegata realtà di Campoli Azioni Gastronomiche Srl, , dove riesce ad esprimere la propria passione per il mondo dell'enogastronomia e della cultura alimentare in diversi modi, occupandosi di project management in ambito di marketing e comunicazione e consulenza per il food service a 360°, oltre ad essere il braccio destro di Fabio Campoli e parte del team editoriale della scuola di cucina online Club Academy e della rivista mensile Facile Con Gusto.

2 Commenti

  1. lucia lucia23 aprile 2020 alle ore 12:11

    Un articolo bellissimo e completo, grazie

  2. Laura Lucarelli23 aprile 2020 alle ore 23:22

    Anche quest'articolo mi è piaciuto. Grazie. Laura

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