Un amico chiamato cavatappi

Come faremmo senza di lui per aprire il contenuto delle bottiglie? Ecco la curiosa storia del cavatappi e le sue evoluzioni

Un amico chiamato cavatappi

L’origine e l’evoluzione del cavatappi si lega all’enologia e all’ingegno di coloro che nei secoli hanno messo in atto tecniche diverse e adoperato diversi materiali per questo iconico utensile. Stappare il vino in tavola è un gesto semplice che è però accompagnato da una ritualità sia per gli amanti del buon vino che per i sommelier i quali, una volta estratto il tappo, lo annusano per poi degustarlo e servirlo. 

L’antenato del cavatappi risale al 1400 ma la sua funzione era ben diversa da quella attuale: si trattava di un “cavapallottole” che si poteva reperire nelle armerie inglesi. Era in ferro con la punta attorcigliata e la sua funzione era quella di estrarre le pallottole rimaste incastrate nelle armi da fuoco a retrocarica e, quando di formato più grande, quella di estrarre i proiettili dalle canne dei cannoni. 

Sembra che utensili simili al nostro attuale cavatappi ma di piccole dimensioni e realizzati con materiali preziosi servissero per aprire ampolle e flaconcini di profumo o prodotti medicinali. Il motivo per cui il cavatappi non trova presto il suo attuale utilizzo è presto detto. Sino al 1700 per il commercio del vino si utilizzavano le botti o le damigiane; il vino veniva spillato e portato in tavola in bottiglia per essere subito consumato

Per conservare il vino in bottiglia. ma per poco tempo, si adoperavano dei tappi fatti con pezzi di legno con avvolta intorno della canapa; anche quando in seguito si cominciarono ad usare i tappi in sughero questi superavano il collo della bottiglia e quindi risultava facile estrarli. Se non si pensava di conservare il vino a lungo era perché le bottiglie in vetro erano costose e fragili. La necessità di adoperare il cavatappi nacque in particolare in Inghilterra e Olanda, nazioni che importavano il buon vino dalla Francia, dall’Italia e dal Portogallo dove si produceva anche il sughero dei tappi. 

E fu proprio in Inghilterra, nel 1795, che il reverendo inglese Samuel Henshall ottenne il primo brevetto per il suo cavatappi che era un adattamento del cavapallottole; in Italia invece solo dal 1728 era stata consentita la commercializzazione del vino in bottiglie “a vetro nero” prodotte in Inghilterra, più spesse e aventi tutte la stessa capacità per evitare frodi da parte dei commercianti. Gli importatori avevano poi preteso che le bottiglie di vino avessero il tappo in sughero ben inserito nel collo e questo rese indispensabile il cavatappi. 

Le due opere “La moglie saggia” (1752) e “I morbinosi” (1759) di Carlo Goldoni danno la conferma che nel 1800 il cavatappi in Italia lo si conosceva e adoperava. Nella prima di queste opere Goldoni cita infatti l’utensile usando il francesismo “tirabusson”, probabilmente perché era ancora stato attribuito il suo nome in lingua italiana. Da quando fu istituito l’Ufficio Brevetti in Italia nella seconda metà dell’800, artigiani e designer si ingegnarono nella ricerca di nuovi meccanismi e nuove tecniche per rendere più pratico l’uso del cavatappi. Furono allora prodotti i modelli a farfalla, a campana, a strappo con molla, a doppia vite, a leva doppia o a leve multiple, a pignone e cremagliera   fino a quelli elettrici. 

Fra tutti i modelli quello a doppia leva è oggi il più funzionale e diffuso, apprezzato da sommelier e camerieri a tal punto che gli inglesi e gli americani lo chiamano “the waiter’s friend”, l’amico del cameriere. Nei cassetti di molte delle nostre cucine è poi frequente trovare il “levatappi campagnolo”, prodotto a Vicenza; ha la forma a campana e consente di posizionare l’elica a vite al centro del tappo per poi sollevarlo con le due leve laterali. Questo è un buon cavatappi perché non viene agitata la bottiglia quando lo si adopera e non si rischia di forare il fondo del tappo che potrebbe produrre briciole che cadrebbero nel vino. 

Nei modelli successivi al primo questo cavatappi è stato dotato anche di un apribottiglie che è in cima alla campana. Per il vino molto invecchiato è di sicuro molto utile il cavatappi a due lame, che entra tra il vetro e il sughero nel collo della bottiglia attraverso due lame di diversa lunghezza e riesce ad estrarre anche tappi consumati. I cavatappi ad ago o a pressione sono quelli in cui attraverso l’ago che penetra nel tappo e nell’interno della bottiglia viene pompata dell’aria così che l’aumento di pressione possa far sollevare dolcemente il tappo. 

Meno diffuso è il tappo a corona perché, soprattutto nella vecchia Europa, c’è un atavico legame tra il gesto di stappare e quello schiocco leggero che prelude l’assaggio di quello che è uno dei piaceri della tavola (benché non sia giudicato di bon ton, è innegabile che a molti di noi piaccia sentirlo!). Tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 si diffuse la moda dei cavatappi con il manico in corno di vari animali, o ancora cavatappi figurativi con il manico costituito da un bassorilievo raffigurante un personaggio storico o di fantasia o un animale.

Tra i tanti modelli di cavatappi ci sono anche quelli da muro, da banco, da cantina e nei coltellini multifunzione non manca mai lo strumento cavatappi. Per questo dal momento del suo primo brevetto e fino ai giorni nostri il cavatappi è diventato un oggetto da collezione, un “cult” che vede in Italia la nascita di diverse associazioni di collezionisti e di musei dedicati, in particolare uno a Barolo in Piemonte che conta ben 500 esemplari, ed un secondo a Montecalvo Versiggia in provincia di Pavia, entrambi degni di una visita.

Vi salutiamo con un aforisma di Jean Carmet:La sola arma che tollero, è un cavatappi”!

Sul sito del Consiglio Regionale del Piemonte è disponibile un interessante opuscolo contenente molte immagini dell’evoluzione dei cavatappi dal XVII secolo ad oggi. Clicca sul link seguente per consultarlo: http://www.cr.piemonte.it/dwd/attivita/mostre/pdf/2012/catalogo_cavatappi.pdf

Photo via Canva

Scritto da Elena Stante

Laureata in Matematica nel 1981 presso l’Università degli Studi di Bari, dal 1987 al 2023 ha insegnato Matematica e Fisica presso il Liceo Ginnasio Aristosseno di Taranto .Ha partecipato ai progetti ESPB, LabTec, IMoFi con il CIRD di Udine e a vari concorsi nazionali ed ha collaborato con la nomina di Vice Direttore per la regione Puglia alla rivista online Euclide, giornale di matematica per i giovani. Le piace correlare la scienza al cibo, nonché indagare su storie e leggende, e con Prodigus inizia il suo percorso di redazione di contenuti golosi per gli utenti del web.

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