Fa male alla salute? Non si tratta necessariamente di un’esperienza negativa, ma è importante tener conto della salute psicofisica
A Urbino la caciotta diventa “casciotta”, dando vita ad un formaggio delicato ottimo puro in tavola e come ingrediente in cucina
Urbino è uno splendido comune marchigiano (il suo centro storico è divenuto nel 1998 patrimonio dell’umanità UNESCO) famoso nel mondo sia per le sue ineguagliabili caratteristiche medievali, legate ai famosi conti di Montefeltro che la governarono dal 1234 al 1508 (anno di estinzione di questa famiglia), sia per la bellezza naturalistica del suo territorio. Non è da meno la ricchezza di prodotti caseari grazie alla presenza di aree ricche di pascoli, nelle quali è facile incontrare sia greggi di pecore che di vacche, produttrici del latte usato per produrre la famosa Casciotta di Urbino DOP (richiesta nel 1979 del riconoscimento della DO, approvazione della DO nel 1982, mentre a DOP dal 1996, come da Reg. CE 1107/96, con Consorzio di Tutela istituito nel luglio 1992).
Di caciotte in Italia se ne trovano tante, alcune di grande qualità e storicità come quella di Urbino, per la quale la S in più non è un vezzo commerciale o campanilistico, ma semplicemente il risultato di un errore correlato alla pronuncia locale della parola caciotta, errore trascritto nei primi documenti che citano questo formaggio (come il Commento alle Costituzioni del Ducato di Urbino, scritto dal Solone di Campello nel 1545). La citazione in questo documento conferma la preferenza che i duchi di Urbino, di Montefeltro e dei Della Rovere avevano per questo formaggio, tanto da volerlo sempre presente sulle loro tavole.
Per tutelarne la qualità i duchi decisero innanzitutto di favorire l’allevamento delle pecore locali, anche se meno produttive delle classiche maremmane da sempre destinate a fornire il latte per fare la Casciotta, oltre a ridurre le tasse che si pagavano per il pascolo delle pecore durante la transumanza e il trasporto del formaggio prodotto (in particolare sul territorio dello Stato Pontificio, con decreto di Papa Bonifacio IX nel 1402). Saggiamente pensarono anche di favorire l’esportazione nei contadi confinanti e anche oltre, scelta che consentì a tanti personaggi famosi, come Michelangelo e Papa Clemente VII, di diventarne veri e propri estimatori, pronti a pagare qualsiasi prezzo pur di averla in tavola. Come detto, la zona dell’Urbinate è ricca di sorgenti, pascoli e prati naturali, ricchi di flora variegata, molto apprezzata sia da pecore che vacche al pascolo, per cui la produzione di questo formaggio non ha avuto difficoltà ad affermarsi, anche grazie all’introduzione della pecora di razza sarda (al posto della Sopravissana e dell’Appenninica), capace di produrre molto latte e alla razza bovina Bruna.
Val la pena spendere due parole su queste tre razze di pecore italiane. La razza Sarda è classificata da latte e, in subordine, da carne e lana; rappresenta circa il 40% della popolazione ovina nazionale e si ritiene che discenda dal muflone sardo; una pecora al primo parto produce in media circa 120 litri di latte in 180 gg di lattazione; una buona parte degli esemplari arriva tranquillamente a produrre 150 litri in 240 giorni di lattazione; le pecore selezionate possono arrivare a 400/500 litri). Prima si utilizzava il latte della Sopravissana, razza da lana - carne, che produce 70 - 100 litri di latte a lattazione, al netto di quello destinato all’agnello, in 120 gg di lattazione; questa razza è un incrocio tra pecore Marchigiane locali di razza Vissana – nome derivante dal comune di Visso nei Monti Sibillini - e arieti Merinos Francesi di razza Rambouillet).
Prima della Sarda si allevava anche la pecora Appenninica, molto diffusa in Toscana, razza da carne e in subordine da latte - quantità simile alla Sopravissana - e da lana (2,5-1,5 kg di lana sucida a capo). Pascoli e prati naturali della zona rendono il latte della razza Sarda diverso da quello prodotto nelle zone di origine, molto più adatto alle caratteristiche storiche e tradizionali della Casciotta di Urbino. Il Disciplinare di Produzione (approvato con DM 4/8/1995, modificato il Reg. (UE) 1719 del 28/11/2020) ha fissato quale area autorizzata alla produzione della Casciotta, l’intera provincia di Pesaro e Urbino, più 7 comuni di quella di Rimini. Per quanto riguarda le razze ovine, oltre alla Sarda possono essere utilizzate le Comisana, Massese, Vissana, Cornella bianca, Fabianese, delle Langhe, Lacaune, Assaf, Pinzirita e relativi meticci; per le razze bovine oltre alla Bruna italiana, si usa il latte della Pezzata Rossa, Frisona italiana, Jersey e relativi meticci.
Il latte utilizzato per produrre la Casciotta di Urbino è misto, ovvero per il 70-80% di pecora e per il resto di vacca; il latte misto può essere lavorato crudo (T max 38°C) o pastorizzato (T 65-68°C); si usa caglio di agnello liquido o in polvere, aggiunto al latte alla T di 35°C, per cui nel formaggio avremo ancor più sapori e odori che richiamano il latte ovino; alcuni aggiungono colture batteriche nel latte in caldaia; in passato la cagliata veniva cotta brevemente per asciugarla un po’ dal siero, e per un maggiore spurgo veniva anche ben pressata dato che gli stampi in cui veniva messa erano di terracotta, con solo 4 buchi sul fondo per cui sgrondavano poco e troppo lentamente, con rischio di alterazione del formaggio; oggi invece gli stampi sono di plastica e molto forati e sgrondano molto e velocemente, per cui le due pratiche citate non vengono più applicate e il formaggio si può definire perciò a pasta cruda perche la cagliata non viene cotta affatto.
La salagione si effettua a secco, ma alcuni produttori la alternano con quella in salamoia per 12 ore; dopo 15-30 giorni, quindi si tratta di un formaggio a maturazione breve (in ambienti a T di 8-14°C e UR 89-90%, a seconda delle dimensioni della forma) la Casciotta si può consumare, procedendo però a rivestire le forme con una cera trasparente e lucida (non edibile) che protegge la crosta del formaggio. Alcuni produttori preferiscono far maturare le forme nelle botti piccole, riempite con del fieno e foglie di castagno, dopo aver avvolto le forme in foglie di noce. Questo procedimento fa sì che la Casciotta si arricchisca di aromi erbacei molto intensi.
In commercio la Casciotta si trova in forme cilindriche (Ø 12-16 cm, h scalzo di 5-9 cm), del peso di 800-1200 g, con crosta sottile di 1 mm circa di spessore, colore giallo paglierino intenso; al taglio la pasta è bianca o giallo paglierino, compatta, morbida, con piccole occhiature, friabile se più stagionata; l’aroma è caratteristico e richiama quello di pecora, mentre il sapore è delicato, dolce, di latte, con retrogusto acidulo in bocca dovuto sia la latte ovino che al caglio di agnello. Le forme prodotte tra aprile e ottobre sanno di amarognolo ed erbaceo (per il consumo di erba fresca), mentre quelle prodotte dopo sono più profumate e sanno di fieno. La composizione della Casciotta di Urbino vede in 100 g l’apporto di 385 kcal, 22 g di proteine e 32 g di grassi sul tal quale (corrispondente ad almeno il 45% sulla s.s., per cuo si tratta di un formaggio grasso perché superiore al 42%).
In cucina la Casciotta di Urbino è formaggio da tavola e non da grattugia, ed oltre a poter essere degustata pura con o senza pane casareccio, la Casciotta di Urbino è adatta a preparazioni poco impegnative, non sontuose e chic ma molto semplici, popolari, rapide a farsi, in genere delicate e non impegnative per lo stomaco. Eviteremo perciò grassi impegnativi che ne smorzerebbero le caratteristiche (come burro, olio di semi, strutto, pancetta, panna), fatta eccezione per un ottimo olio extravergine, da usare sempre a crudo sia sulle fette di formaggio che nelle salsine di accompagnamento. Bisognerà però districarsi un pochino tra le diverse stagionature in commercio, dato che con questo parametro variano il sapore salato, il grasso presente, il sapore, il profumo, tutte caratteristiche della Casciotta che non solo devono integrarsi con gli altri componenti del piatto ma che vengono modificate con la cottura.
Deve sempre essere tenuto presente che la Casciotta di Urbino è un formaggio dal sapore delicato, per cui la sua aggiunta conferirà delicatezza, sapore, morbidezza alla preparazione. Potremo abbinarla a uova, prosciutto crudo, prosciutto cotto, salame ciauscolo, fette lardo arrostito, fette di polenta abbrustolita; ottimi gli abbinamenti con verdure come sedano, ravanelli, fave, olive verdi, oltre che con pere, noci e frutta secca, miele, pane.
La si serve di norma a dadini o listarelle per un momento di allegra e serena convivialità, sia che si tratti di colazione, che di merenda, che di aperitivo e altre occasioni. In cucina la tipologia meno stagionata servirà anche per mantecature e salsette, creme, risotti, ripieno di torte salate, pizze e piadine; quella più stagionata per grigliate, farciture e ripieni. Spesso la Casciotta fa da apripista quando devono essere serviti più tipi di formaggi, come accade con i vini (dai bianchi ai rossi attraverso i rosati, dai più beverini a quelli più impegnativi). Il vino da abbinare alla Casciotta di Urbino sarà, se possibile, una tipologia territoriale, dato lo stretto legame che l’ambiente crea tra i formaggi e i vini in esso prodotti, considerati l’unicità dei fattori ambientali (terreno, luce, temperatura, umidità, ecc.) e umani (storia e tradizioni agricole e alimentari del luogo).
La Casciotta di Urbino è caratterizzata da un gusto morbido e piacevole, con un sapore dolce che ricorda latte e burro, appena sapido per il ridotto contenuto di sale, e un profilo aromatico che riporta alle erbe e al fieno con cui di alimentano ovini e bovini, con tipici odori di latte ovino, per cui il vino da abbinare per gustarla al meglio è certamente un bianco, purché intensamente profumato, con aromi di fiori e frutta per affiancare i profumi del formaggio senza sovrastarli; acido (fresco) per contrastare adeguatamente la tendenza dolce (dovuta al lattosi residuo e ai grassi del latte, oltre che alle proteine coagulate) e la grassezza (scivolosità in bocca) del formaggio. Sarà un vino bianco giovane (un anno dalla vendemmia) per trovare profumi fragranti e acidità sufficiente, secco (non amabile, non abboccato, non dolce) per non sovrapporre toni dolciastri.
Di questi vini le Marche sono ben fornite, basti pensare agli ottimi Verdicchio, Bianchello, Falerio. Volendo usare un vino rosso, ci orienteremo su un vino poco strutturato, leggero di alcol, giovane, secco, profumato: ricordo che non essendoci nella Casciotta di Urbino succulenza e untuosità, dovremo orientarci su vini rossi poco tannici e poco alcolici, in buona sostanza poco impegnativi e molto beverini, ottenuti per esempio da uve Sangiovese.
Note bibliografiche
- AA.VV, Tecnica dell’abbinamento cibo-vino, Ed. AIS
- AA.VV., Merceologia degli alimenti, Ed AIS
- Mucchetti – Neviani, Microbiologia e tecnologia lattiero – casearia, Ed. Tecniche Nuove
- Mensile Il mio vino, Ed. Il Mio Castello
- L. Veronelli, Bere Giusto, Ed. Rizzoli
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