Roast beef, indivia belga e salsa al curry e mostarda, per un trionfo di gusto sulla tavola
La tradizione orientale ne conta tre varietà principali, ma oggi in supermercati e ristoranti si trovano anche altre tipologie di salsa di soia
È il condimento orientale per eccellenza, dall’inconfondibile sapore “umami” in grado di esaltare naturalmente tante pietanze diverse. Oggi parliamo di salsa di soia, sempre più richiesta al di fuori dei suoi confini geografici tradizionali.
Più di 2000 anni di storia arrivano contenuti in una bottiglietta direttamente dalla Cina: utilizzata già nel 220 a.C. durante la dinastia Han e poi ripresa dai monaci buddisti del 1600, la salsa di soia fino a solo qualche anno fa era simbolo esclusivo delle tavole di ristoranti cinesi e orientali in genere (giapponesi, thailandesi, coreani), mentre oggi la troviamo anche in tutti i supermercati (tanti amano averla a portata di mano in casa insieme ai classici olio e aceto) e nei ristoranti più variegati, da quelli street food fusion a stellati e gourmet, oggetto di nuove ispirazioni e fantasie.
Ed è probabilmente proprio al fine di incontrare la più vasta approvazione dei palati occidentali che la salsa di soia “sta cambiando”. Quella strettamente tradizionale, prodotta con metodo artigianale o industriale, è ciò che si ottiene dalla fermentazione di fagioli di soia gialla, lavati e cotti al vapore, uniti al grano tostato e schiacciato e addizionati di sale; il tutto viene riposto a maturare con l’aggiunta dei microrganismi fungini koji (Aspergillus oryzae) che attivano gli enzimi propri della fermentazione. Il composto ottenuto viene poi sottoposto alla fase di spremitura e pastorizzazione che conferisce al prodotto finito la sua sottile densità, il colore bruno e il sapore particolarmente sapido (dovuto alla naturale presenza di glutammato monosodico).
Sono tre le varietà di salsa di soia più tradizionali e “originali”: la shoyu, la tamari e la shiro shoyu (salsa di soia bianca). Mentre la shoyu è la più nota e consumata nel mondo, preparata esattamente con gli ingredienti descritti al paragrafo precedente, la tamari è più pregiata e ricercata, preparata solo con semi di soia, sale e koji, dal sapore più intenso dovuto all’assenza di grano tra gli ingredienti e all’impiego di un minor quantitativo di sale. La shiro shoyu è la versione giapponese della salsa di soia, decisamente più leggera sia nell’intensità del sapore che nel colore (più ambrato).
Ma i palati più attenti avranno di certo notato che nei piatti contemporanei serviti tanto da grandi catene di fast food (a partire da quelle dedicate a sushi e poké) quanto in ristorantini e bistrot moderni (pseudo) fusion-gourmet di target soprattutto giovanile, la salsa di soia è disponibile anche in una più recente versione semplicemente battezzata “salsa di soia dolce”. Arricchita con caramello o melassa, è bene sapere che oltre ad un tripudio aggiunto di zuccheri aggiunti nel vostro piatto (andando oltre l’evidente maggiore golosità) nei casi peggiori di fagioli di soia, in questi preparati, potrebbe non esservene addirittura alcuna traccia, grazie ad un abile impiego di aromi..
Stessa cosa vale purtroppo per la tanto amata salsa teriyaki, di certo dalle origini giapponesi originariamente non legate al più basso marketing alimentare incentrato sull’aggiunta superflua di zuccheri come accade ai nostri giorni (non solo per soddisfare più facilmente i palati, ma anche per aumentare il peso del prodotto stesso e aumentare i profitti di vendita). Chi l’ha provata sa bene quanto sia ottima per marinare brevemente carni e pesci per poi cuocerli in padella o alla griglia senza necessità di aggiungere altri condimenti, e dal momento che anche lei è sempre più presente anche nelle cucine domestiche è bene sapere che in realtà la salsa teriyaki è un “derivato” della salsa di soia, poiché la possiede fra gli ingredienti insieme a sakè o mirin ( entrambi liquori di riso) e… zucchero (contenuto orientativamente tra il 15 e il 20%).
Il nostro messaggio finale? Moderate il consumo di salsa di soia nonostante le mode del momento: se le versioni tradizionali hanno a loro sfavore un forte contenuto di sale, preferite anzitutto optare per l’acquisto di quella a contenuto di sale ridotto (altrettanto facilmente reperibile). E per quanto riguarda le “nuove” salse di soia e derivati, non dimenticate la quantità di zuccheri semplici (sempre più sconsigliati per la nostra buona salute) che andrete “più o meno inconsapevolmente” a sommare alle calorie del pasto.
Scritto da Viviana Di Salvo
Laureata in lettere con indirizzo storico geografico, affina la sua passione per il territorio e la cultura attraverso l’esperienza come autrice televisiva (Rai e TV2000). Successivamente “prestata” anche al settore della tutela e promozione della salute (collabora con il Ministero della Salute dal 2013), coltiva la passione per la cultura gastronomica, le tradizioni e il buon cibo con un occhio sempre attento al territorio e alle sue specificità antropologiche e ambientali.
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