La storia della toque

È il nome originale del bianco cappello da chef: scopriamo origini e curiosità su di lui, tra storia vera e leggende

La storia della toque

Un cappello, una professione: la toque (al femminile, come prevede la lingua francese da cui origina il termine), il cilindro bianco, a pieghe, spesso rigonfio alla sommità, racchiude tutto il sapore di un mestiere meraviglioso e della sua arte. Secondo la gerarchia e il protocollo della brigata di cucina, la toque blanche identifica l’apice della piramide, il ruolo di colui che coordina e anima la cucina stessa, ovvero lo chef.

Simbolo internazionale di una categoria, la toque ha origini curiose. La parola toque, infatti, indicava originariamente le parrucche che venivano indossate dai nobili francesi e spagnoli; solo in seguito questo nome venne dato a una particolare tipologia di cappello di forma cilindrica che identificava una carica o una professione (come, ad esempio, il cappello del giudice).

La toque in cucina pare sia stata introdotta per la prima volta nel 1823 dal celebre cuoco dei re Marie-Antoine Carême, uno degli esponenti più importanti della haute cuisine, che si ispirò al cappello indossato da un suo inserviente nelle cucine di Carlton House. Influì molto sugli usi e sulla cucina ottocentesca con le sue opinioni e le sue invenzioni, ritenute illustri in tutte le cucine di corte d'Europa. Egli stabilì così che in cucina si doveva usare una toque rigida e alta, con delle pieghe e rigonfia. La necessità di indossare un cappello aveva ragioni igieniche e allo stesso tempo voleva dare autorità e prestigio alla categoria; l’altezza della toque conferiva a chi lo indossava tanto prestigio quanto più era alta. Per motivi strettamente funzionali (traspirazione e capacità di assorbimento del sudore), fece utilizzare del cotone leggero inamidato e il colore scelto fu rigorosamente il bianco.

La toque alta, a pieghe, gonfia all'estremità e di colore biancodivenne così simbolo ed emblema della cucina; a seconda di come venivano portate le pieghe e la forma del rigonfiamento che si dava al cappello, si riusciva addirittura ad individuare il carattere dello chef. Si racconta che se veniva portata molto gonfia e leggermente posizionata all'indietro, indicava che lo chef era un uomo molto autoritario con una indole irascibile, al contrario di chi, invece, portava il berretto calcato sulla fronte che veniva considerato un cuoco pacato e pensatore. Lo chef che la indossava più laterale era borioso e presuntuoso mentre chi calcava la toque appiattita sulla sommità era considerato un cuoco negligente. Se invece veniva indossata ben inamidato e dritto, stava a significare che la persona si sentiva superiore agli altri collaboratori.

Secondo la tradizione, la toque deve ben 100 pieghe, a simboleggiare i 100 modi di cuocere le uova che un bravo chef deve conoscere, e dunque diventa, in senso traslato, sinonimo di esperienza e conoscenza. Tra leggenda e storia si inserisce anche la narrazione, meno accreditata, che vuole invece far risalire la nascita della toque all’Inghilterra del re Enrico VII. Secondo questa versione, durante un banchetto il re trovò dei capelli nel cibo e decise di far decapitare lo chef responsabile di questo imperdonabile errore. Da quel momento, quindi, si decise di ricorrere a dei cappelli da far indossare ai cuochi durante l’attività per evitare di fare la stessa fine del povero malcapitato.

Oltre la tradizione, è bene ricordare che il cappello da chef ha una vera e propria funzione tecnica e igienica: protegge gli addetti ai lavori quando spadellano, friggono o brasano a fuoco vivace ed è una garanzia per il consumatore finale, in quanto preserva da contaminazioni varie (capelli, sudore, ecc.) che potrebbero avvenire durante le fasi di manipolazione, cottura e impiattamento dei cibi. Indossarlo nella propria professione quotidiana al servizio del pubblico è dunque non solo una giusta abitudine, ma anche un segno di appartenenza storica ad una categoria di lavoratori che da secoli d più gusto alla vita dei propri clienti.  

Scritto da Viviana Di Salvo

Laureata in lettere con indirizzo storico geografico, affina la sua passione per il territorio e la cultura attraverso l’esperienza come autrice televisiva (Rai e TV2000). Successivamente “prestata” anche al settore della tutela e promozione della salute (collabora con il Ministero della Salute dal 2013), coltiva la passione per la cultura gastronomica, le tradizioni e il buon cibo con un occhio sempre attento al territorio e alle sue specificità antropologiche e ambientali.

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