Un “modus operandi” che i tempi moderni spesso dimenticano
Con le temperature più fresche sale la voglia di piatti saporiti e di pietanze addolcite dal sapore del grasso ricavato dal latte
Quante volte con l’arrivo della stagione fredda viene voglia di cucinare gustosi piatti tradizionali e non esaltati dal sapore del burro? Che si tratti di pasta, di polenta, di purè, o ancora di tanti gustosissimi dolci e biscotti, quando iniziamo con la preparazione arriva sempre il momento di cercare il burro nel frigo, sperando non solo di trovarlo ma anche che non sia rancido o insufficiente: non è raro allora che si sia costretti a scendere un attimo per acquistarlo, perché se è vero che ci sono materie sostitutive del burro per i dolci, il risultato non è mai equiparabile a quello che si ottiene usando un burro di buona qualità e ben conservato.
La definizione legale di burro è ”prodotto che si ottiene esclusivamente dalla crema di latte vaccino dopo zangolatura e sufficiente separazione del latticello, fino ad ottenere un contenuto minimo di grasso dell’80%. Il burro però contiene anche acqua per non più del 18%, oltre a proteine (caseina in particolare), pochissimo lattosio, sali minerali e vitamine A e D.
La crema di latte si ottiene per affioramento naturale del grasso o per centrifugazione del latte. Nel primo caso il latte si lascia in vasche per 15-18 ore in ambiente con temperatura ambiente di almeno 12-15°C: i globuli di grasso si uniranno tra di loro ed essendo più leggeri del resto saliranno in superficie (ovviamente dati i lunghi tempi si avrà un crema un pochino acida). Nel secondo sistema il grasso viene separato dal latte le centrifughe, ottenendo una crema detta dolce: nelle macchine il grasso resta al centro della rotante e la parte liquida viene spinta sui bordi. Parliamo di crema dolce in quanto il burro si può preparare anche da crema acida, la quale si ottiene inoculando specifici batteri nella crema, i quali acidificheranno il substrato migliorando la resa in burro, e nello stesso tempo conferiranno al burro un odore gradevole grazie alla produzione di una sostanza volatile detta diacetile.
La crema, sia acida che dolce, è una dispersione di globuli di grasso in una matrice acquosa, per cui i globuli elettricamente si respingono e se ci sono batteri nel liquido questi si sviluppano deteriorando la crema stessa, la quale per questo motivo non va mai consumata cruda ma pastorizzata. Infatti per produrre il burro si pastorizza la crema, comunque ottenuta, poi la si acidifica e quando raggiunge uno stato di agglomerazione visibile (maturazione) la si sottopone alla zangolatura. Praticamente in attrezzi detti zangole (manuali o meccaniche) la crema subisce uno sbattimento continuo, il quale fa in modo che alla fine si formi una massa solida grassa in cui sono disperse tante goccioline di acqua (una emulsione, contrariamente alla sospensione di grasso in acqua che era la crema).
Dalla zangolatura si ottiene burro e latticello, prodotto che viene destinato in genere all’alimentazione dei suini. Il burro poi viene impastato per rendere la massa più uniforme e poter aggiunge elementi come il sale (talvolta), gli aromi, i conservanti (come l’acido ascorbico). Segue il lavaggio e la formatura. Il burro fonde tra 28 e 35 °C, per cui si scioglie facilmente in bocca; per risolidificarlo si deve abbassare la temperatura sotto i 25°. A temperatura minima di 15°C è spalmabile, per questo motivo si conserva nella parte alta della porta del frigo, la zona più calda di questo elettrodomestico, anche se in ogni caso non ci sono i 15° e il burro rimane comunque solido e bisogna attendere un pochino prima di spalmarlo sul pane. Per evitare che il burro assorba gli odori del frigo e conservare la freschezza è bene usare una burriera o conservare integra la confezione di vendita.
Alla temperatura di 0-4°C la conservazione è garantita per più di un mese, mentre se si scende sotto i -18°C si può arrivare a 12-24 mesi. In mancanza di frigo la conservazione ottimale del burro si realizza ponendolo in una burriera speciale in terracotta, riempita di acqua e sale.
Odore e colore e sapore del burro sono strettamente correlati all’alimentazione ricevuta dalle bovine, salvo ovviamente fattori di degradazione del grasso (sapore di rancido e di muffa). E’ consentita l’aggiunta di sale per il 3-5%, l’annatto come colorante o lo zafferano o i carotenoidi (il colore naturale del burro è giallo in estate per l’erba fresca dei pascoli usata nell’alimentazione delle bovine, bianco in inverno perché gli animali ricevono mangimi e foraggi conservati).
Storicamente il burro era già conosciuto dai popoli antichi: gli Sciti lo introdussero presso i Greci e lo storico greco Erodoto racconta che gli Sciti accecavano gli schiavi addetti alla zangolatura affinché non si distraessero dal lavoro. I Greci e i Romani consideravano però il burro non un alimento ma un medicamento, specialmente per cicatrizzare le ferite, mentre in cucina usavano il sacro olio d’oliva. Il burro era diffuso tra i cosiddetti “barbari”: infatti i Galli producevano e usavano burro, ma furono i Normanni che assimilando la cultura dei Danesi, contribuirono a diffondere questo alimento in Europa.
Nel Medioevo la lavorazione era rurale ed artigianale, la vendita avveniva nei mercati avvolgendo grossi pezzi di burro in foglie di acetosa o di altre piante, conservandoli poi in vasi di terracotta con acqua salata. Questo perché il sale aggiunto invade le goccioline di acqua, impedendo ai batteri di svilupparsi guastando il burro, così come viene impedito lo sviluppo di microscopici funghi (il classico Penicillium), considerato che le ife di questi possono attraversare e diffondersi nel grasso (difetto per es. di burro verdastro). Non sapevano quindi nulla di batteri e micromiceti ma avevano ben chiara la funzione del sale.
Anche allora era proibito colorare il burro (si usavano i fiori di calendula, una margheritina), così come venderlo sullo stesso banco del pesce. Mangiare burro era vietato durante la Quaresima, in quanto grasso animale. E’ risaputo che nell’Europa centrale e settentrionale, così come nell’Italia del Nord, si usa essenzialmente burro nella cucina, mentre scendendo a sud si riscontra la sostituzione del burro con l’olio, lo strutto e anticamente il grasso d’oca. Di burro si fa uso anche nell’Africa Settentrionale, anche se si tratta di un prodotto particolare chiamato smeun.
Questo per dire che mentre in Europa il burro si prepara sempre dal latte vaccino, in Africa e Asia si usa anche il latte di bufala, di cammella, di capra, di pecora, di giumenta e di asina, ottenendo un prodotto da gusto piuttosto forte. Essendo il burro accusato di apportare nella dieta troppe (calorie 750/100 g) e colesterolo (250mg/100g), l’industria alimentare ha creato prodotti alternativi come la margarina, mentre in Svezia prediligono il bregott (miscela di panna e oli vegetali da tavola) e in Australia la butterine (miscela di burro e olivo vegetale), oltre a vari tipi di burro.
In commercio troviamo infatti anche burro leggero a ridotto contenuto di grassi, pari al 60-62%; burro leggero a basso contenuto di grassi nel quale i lipidi sono il 39-41%; burro a basso contenuto di colesterolo, nel quale i lipidi sono presenti in quantità ridotta del 75% rispetto al burro normale; (quindi appena 58 mg/100 g) e che può essere addizionato di proteine del latte; burro rigenerato che è in sostanza un burro difettoso, il quale subisce una fusione e centrifugazione per ottenere crema rigenerata, il riemulsionamento del grasso in latte magro, la pastorizzazione e la deodorazione a circa 90°C, a cui segue il raffreddamento, l’aggiunta di fermenti e una nuova zangolatura (questo prodotto non può però essere venduto con il nome semplice di burro; burro concentrato contenente almeno il 99,8% di grasso di latte, vi può essere l’aggiunta di sale, lecitina e proteine del latte (con questo burro la resa è maggiore del 20%).
Un burro particolare è quello chiarificato, il quale non è altro che un burro in cui è stata eliminata l’acqua e la caseina. Questo burro ha un punto di fumo di 180°C, quindi superiore a quello del burro normale, e al contrario di questo può essere usato per friggere senza che diventi scuro e con sapore sgradevole, senza produrre acroleina, tanto dannosa. Un grasso raggiunge il punto di fumo quando inizia a formare fumi biancastri visibili: è in tale momento che i trigliceridi del burro (per la maggior parte saturi) si scindono in glicerina e acidi grassi liberi, la glicerina forma molecole di acqua trasformandosi con una reazione irreversibile in acroleina, tossica per il fegato.
Per essere più chiari a riguardo, bisogna dire che quando mettiamo a riscaldare il burro, a 40°C fonde, a 100°C comincia a bollire l’acqua contenuta in esso, e osserviamo la classica schiuma; quando l’acqua è evaporata completamente la temperatura riprende ad aumentare e a 120°C la caseina comincia a dorarsi, a 140-150° brucia, per cui diventa impossibile aumentare la temperatura senza far annerire e bruciare sia il burro che ciò che in esso stiamo cuocendo (per es. friggendo), infine a 180°C il grasso bolle. Chiarificando il burro otteniamo un prodotto che può raggiungere i 180° senza brunirsi perché privo dell’acqua e della caseina, anche se diventa gradatamente prima color nocciola e se insistiamo nero (quest’ultimo usato per preparazioni particolari, specialmente a base di pesce). Ecco perché abbiamo affermato che il burro chiarificato è ottimo quando si deve friggere una cotoletta alla milanese, ma questo burro serve anche per risotti, salse emulsionate, imburrare gli stampi, bagnare un gratin, ricoprire un piatto, ecc.
Quindi il burro chiarificato non è altro che la parte grassa del burro, privata dell’acqua e della caseina. Il burro chiarificato si può preparare anche in casa sciogliendo il burro in un pentolino dal fondo spesso e più alto che largo. Se vediamo il burro bollire non c’è da preoccuparsi perché va via l’acqua e il grasso è ancora intatto. A un certo punto vedremo in superficie della schiuma: non sono altro che le proteine intrappolate in bollicine di aria. Procediamo allora a schiumare e facciamo freddare un po’ il composto. Alla fine coliamo il tutto lentamente in un altro contenitore, cercando di non versare anche la parte più chiara che si è depositata al fondo (sono le caseine del latte). Tradizionalmente il burro chiarificato si conservava in un recipiente di vetro avvolto da carta per non far passare la luce. Oggi lo si conserva facendolo nuovamente solidificare in frigo o freezer e conservandolo con le note attenzioni.
Le confezioni del burro sono di vario tipo: panetti o forme di burro campagnolo da 1 kg, rotoli o mattonelle da 500 – 250 – 125 g, mini-dosi individuali da 7- 30g. L’impacchettamento viene fatto in carta pergamena, fogli di alluminio, cartone rigido cerato, scatole di plastica. Importante è che l’involucro non faccia passare la luce per evitare l’irrancidimento del burro. Un numero perforato indica la data di impacchettamento, calcolata prendendo come valore zero il 1° Gennaio in corso (ad esempio 160 indicherà il 9 di Giugno. Cioè 160mo giorno dell’anno solare).
In gastronomia gli usi del burro sono tanti sia in cucina che in pasticceria: fresco e crudo lo si può spalmare su tartine, tramezzini, sandwich, accompagna molto bene salumi e affettati, frutti di mare e formaggi (in questi casi va posto in tavola in piccole burriere singole. Tagliato con lo speciale coltello per riccioli o a rondelle, il burro si serve con la carne o il pesce alla griglia, con la verdura, la pasta e il riso; è la base per vari tipi di burro composto o aromatizzato, in cui il burro viene lavorato con l’aromatizzante fino a farlo diventare morbido e liscio, per piatti personalizzati di vario tipo. (all’aglio, al limone, alle sardine, alle acciughe, all’aneto, all’astice, al basilico, al caviale, al rafano, al dragoncello, ai gamberetti, alle mandorle, alla senape, alla paprika, al peperoncino, al pistacchio, allo scalogno, ai tartufi, al salmone, alle nocciole, verde o agli spinaci, e tanti altri ancora).
Fonti consultate
Mucchini – Neviani, Microbiologia e tecnologia lattiero casearia, Ed. Tecniche Nuove
Vitagliano, Industrie agrarie, Ed. UTET
AA.VV. Merceologia degli alimenti, Ed. AIS
Larousse - Cucina Ed. Peruzzo
www.wikipedia.it
www.lacucinaitaliana.it
Blog Dario Bressanini
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