Sbucciarla o mangiarla integra? Questo è il dilemma
La relazione pericolosa tra i social network e l'insorgenza di disturbi del comportamento alimentare soprattutto nei più giovani
I disturbi del comportamento alimentare (DCA) riguardano tutte quelle forme morbose che interessano l’alimentazione e la condotta alimentare con specifiche alterazioni delle abitudini e la patologica preoccupazione per il peso corporeo, in particolare per l’aumento della massa grassa. Il Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM 5) ne riconosce diversi tipi: l’anoressia nervosa (AN), la bulimia nervosa (BN), il disturbo da alimentazione incontrollata (DAI), i disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati (DCA-NAS), la pica (consumo di sostanze non commestibili), il disturbo da ruminazione, il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo.
I DCA rappresentano un problema sociosanitario dal notevole impatto economico che, negli ultimi anni, ha registrato un progressivo aumento con numeri tali da rappresentare un fenomeno di grande allarme medico e sociale, con risvolti epidemiologici importanti. Inizialmente, i DCA si presentavano come una patologia prevalentemente femminile, oggi l’incidenza è in netto aumento anche tra i maschi (si pensi, ad esempio, al fenomeno del binge eating e del binge drinking). Tutte queste condotte alimentari disfunzionali sono la manifestazione di vissuti complessi, fatti di sofferenze e malessere interiore, di un rapporto non sano con il cibo, di una alterata percezione del proprio corpo uniti a situazioni ambientali specifiche. Le cause che portano all’insorgenza di un disturbo del comportamento alimentare sono infatti sempre multifattoriali.
All’interno di questo panorama ampio e variegato che individua fattori sociali, relazionali, psicologici, culturali, biologici, familiari e a volte ereditari, si deve tener conto del ruolo dei social media in quello che è, ormai, un fenomeno di indiscussa portata globale. Il legame tra social media e DCA è stato evidenziato da decine di studi effettuati negli ultimi anni ed ora confermati da una review che mette a confronto realtà sociali e culturali diverse che mostrano purtroppo le stesse tendenze disfunzionali. Ne sono autrici due ricercatrici dell’Istituto globale dell’University College di Londra che hanno pubblicato su PLOS Global Public Health quanto emerso in cinquanta studi condotti tra il 2016 e il 2021 su ragazzi di entrambi i sessi di età compresa tra i 10 e i 24 anni, provenienti da 17 Paesi (alcuni dei quali asiatici, altri europei, oltre a Stati Uniti e Australia).
In tutti gli studi considerati sono stati evidenziati i legami tra l’utilizzo dei social, l’immagine corporea e i DCA. L’evidenza conclusiva è stata che, pur con tutte le differenze del caso (dovute a fattori spaziali, ambientali, culturali) esiste un nesso di causalità tra l’aumento del rischio di sviluppare un disturbo del comportamento alimentare e la diffusione social di immagini corporee poco realistiche, la colpevolizzazione dei corpi non perfetti e addirittura l’esistenza di gruppi social che esaltano i DCA (fenomeno che meriterebbe una attenzione specifica).
I social media, infatti, possono concretamente aumentare il rischio di disturbi alimentari partendo dalla diffusione di abitudini alimentari scorrette, di diete “strampalate”, di regimi dietetici alternativi e di consumo incontrollato di junk food ed hanno inevitabilmente una funzione determinante nella percezione, spesso alterata, della propria immagine corporea a confronto con quella “socialmente” proposta. La tendenza a mostrare e ad esibire sulla vetrina social la propria immagine porta inevitabilmente con sé il pericolo della ricerca ossessiva della perfezione socialmente accettata.
Ciò che si fa vedere al mondo social diventa inevitabilmente la presentazione di sé che deve fare i conti con gli standard genericamente accettati e ritenuti idonei. Quando tutto ciò non avviene, il disagio che si genera può portare allo sviluppo di un DCA. In questi casi l’alimentazione perde ogni connotazione di salubrità, benessere e appagamento per il palato assumendo connotazioni disordinate, caotiche, ossessive e ritualistiche fino a compromettere la possibilità di consumare un normale pasto e di assicurare il giusto equilibrio e l’adeguato benessere all’organismo.
La preoccupazione per l’aspetto fisico diventa così pervasiva da arrivare a minare anche la concreta socialità, chiudendo l’individuo in una morsa tra il mondo reale e quello virtuale che sembrano rifiutarlo. Questo processo, inoltre, si auto-alimenta e si amplifica in maniera “matematica” nel senso che chi è già propenso ad avere una immagine dismorfica di sé e del proprio corpo inizia a ricorrere proprio ai social in cerca di soluzioni e/o di conferme attivando algoritmi che propongono continuamente argomenti correlati e alimentando il circolo vizioso.
Da non sottovalutare poi che l’uso dei social media risulta più ampiamente diffuso tra gli adolescenti e i giovanissimi che, per definizione, vivono già una fase evolutiva vulnerabile, fatta di incertezze e di dubbi sulla definizione della personalità, dell’immagine di sé nel confronto costante con il gruppo dei pari; il confronto continuo con la realtà virtuale porta con sé l’insidia di una percezione distorta e non veritiera.
Per comprendere la complessità del fenomeno può aiutare il concetto del cosiddetto “modeling”, cioè della capacità che gli individui possiedono di apprendere attraverso il modellamento, una pratica inconscia che permette di modificare il proprio comportamento osservando un altro individuo che assume un ruolo di modello. E’ chiaro che in una società in cui l’utilizzo dei social network sites risulta fondamentale se non imprescindibile, soprattutto per i più giovani, la spettacolarizzazione di se stessi, il desiderio di approvazione e la necessità di sentirsi parte attiva del mondo virtuale diventano predominanti e determinanti, anche nel campo della salute e delle abitudini alimentari.
Tali evidenze, ormai universalmente riscontrate dall’intera comunità scientifica (psicologi, medici, psicoterapeuti, sociologi, economisti) sono da ricondurre alle peculiarità proprie dei social network: l’immediatezza, l’interattività, l’interconnessione universale e continua, la disponibilità di utilizzo dei dispositivi stessi. Si stima infatti che nei social più diffusi (Facebook, Instagram, Twitter, Pinterest) gli individui trascorrano in media due ore e trenta minuti al giorno.
Ecco perché oggi la comunità scientifica, concorde nel confermare la concomitanza di più fattori nell’insorgenza dei DCA, lancia un allarme importante per cui si fa sempre più stringente la necessità di adottare azioni formativo-educative e preventive sul corretto e consapevole uso dei social. Se si considera che i DCA producono, come effetto, un consumo e un assorbimento di cibo che compromette la salute della persona in modo significativo tale da intaccare la sfera del funzionamento psicosociale, si comprende come gli interventi di educazione devono mirare a far comprendere l’importanza dell’alimentazione come fattore di equilibrio finalizzato al benessere complessivo della persona nella sua accezione più strettamente biologica e in quella più affettiva e sociale.
Secondo il Ministero della Salute, in Italia il numero di soggetti che soffre di DCA si attesta intorno ai 3 milioni di individui, l’età media di insorgenza dei disturbi si è notevolmente abbassata negli ultimi anni interessando i giovani dai 13 anni, probabilmente a causa del progressivo abbassamento dell’età media in cui si accede ai social network. Inoltre, le condizioni legate alla pandemia e alle chiusure forzate cui sono stati costretti ragazzi e ragazze ha comportato un aumento del 30% rispetto al biennio antecedente l’emergenza da covid-19.
Photo made in AI
Scritto da Viviana Di Salvo
Laureata in lettere con indirizzo storico geografico, affina la sua passione per il territorio e la cultura attraverso l’esperienza come autrice televisiva (Rai e TV2000). Successivamente “prestata” anche al settore della tutela e promozione della salute (collabora con il Ministero della Salute dal 2013), coltiva la passione per la cultura gastronomica, le tradizioni e il buon cibo con un occhio sempre attento al territorio e alle sue specificità antropologiche e ambientali.

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