I consigli di Fabio Campoli per ottenere arrosti di carne sopraffini, scegliendo il taglio giusto e trattandolo al meglio in cucina
La cucina “nascosta” tra le righe del libro di Tomasi di Lampedusa
Libro: Il Gattopardo
Autore: Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957)
Con lo sbarco dei garibaldini a Marsala nel 1860 tutta la Sicilia è in fermento. La nobiltà sente avvicinarsi la fine mentre arriva la nuova borghesia. Don Fabrizio Gerbèra, principe di Salina, detto il Gattopardo per l'emblema che contrassegna lo stemma di famiglia, guarda con apparente distacco agli eventi, certo che il mondo nobile e privilegiato a cui appartiene stia per finire e che le prospettive del nuovo siano solo illusioni.
“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”
Il Principe di Salina incoraggia l'amato nipote Tancredi Falconeri, eroe dei garibaldini, a sposare la bellissima Angelica, figlia di Calogero Sedara, contadino arricchito e sindaco di Dannafugata, dove i Salina hanno un palazzo.
La dote di Angelica favorirà la carriera politica di Tancredi. Don Fabrizio, il Gattopardo, invece rifiuta la nomina a senatore del regno. E’ disilluso e sfiduciato e, da sempre appassionato di astronomia, confida solo alle stelle il suo pessimismo. Nel 1883 di ritorno da Napoli muore e il casato dei Salina s'avvia ad un inevitabile e triste tramonto.
Siamo nel sontuoso Palazzo di Donnafugata dove ogni anno i principi di Salina si trasferiscono in estate. Nelle cucine del palazzo vengono preparate da mani sapienti ricche pietanze da offrire agli illustri ospiti. Il maggiordomo di casa Salina annuncia che il pranzo è pronto ed invita ad entrare i tre servitori in verde, oro e cipria, ciascuno con un enorme piatto d’argento con un torreggiante timballo di maccheroni:
L’aspetto di quei monumentali pasticci era ben degno di evocare fremiti di ammirazione.
L’oro brunito dell’involucro, la fragranza di zucchero e di cannella che ne emanava, non era che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei maccheroni corti, cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio”.
Scritto da Raffaella Soleri

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