La susianella di Viterbo

Scopriamo il salame più celebre della tradizione del territorio della Tuscia laziale, tra peculiarità, origini e modalità di consumo a tavola

La susianella di Viterbo

Viterbo (dal latino Vetus Urbs, cioè città vecchia) è la “capitale” della parte settentrionale del Lazio nota col nome di Tuscia o Alto Lazio. È nota per essere stata la città dei Papi: vi furono eletti tra gli altri Papa Gregorio X nel 1271 e Papa Giovanni XXI nel 1276; la vicenda papale a Viterbo durò dal XII secolo a tutto il XIII, concludendosi con il francese Martino IV!), ma molti papi continuarono a scegliere la cittadina come sede per alcuni periodi del loro incarico, stabilendosi specialmente sull’isola Bisentina (attualmente di proprietà dei principi Del Drago) del lago di Bolsena.  

Ma secondo un antico adagio, Viterbo è anche la “città delle belle fontane e delle belle donne”, nonché una città di alto interesse gastronomico, dove assaporare ad esempio la canata, un’insalata simile alla panzanella tipica di tutta l’Italia centrale (o panmollepanmollo o pane zuppo). La cucina viterbese ha ricevuto influenze dalla civiltà etrusca, senza dimenticare quella romana e longobarda e di altri popoli succedutisi durante la sua storia. Come per tutto il Lazio, anche per Viterbo la tradizione gastronomica vede in prima linea i salumi, famosi e apprezzati sia dai suoi abitanti che dai viaggiatori gourmet. A Viterbo si possono gustare salsiccia sia fresca che stagionata, guanciale di maiale, salumi aromatizzati al tartufo locale, pancetta sia tesa che arrotolata, capocollo, scapicollata, prosciutti di montagna, ma in questo spazio ci soffermeremo in particolare sulla Susianella viterbese. 

Prima di continuare ritengo utile una precisazione sui salumi, in modo da saper di cosa parliamo tecnicamente. Tutti i tagli ottenuti dalla carcassa del suino possono essere impiegati per la produzione di un gran numero di differenti preparazioni industriali, artigianali o anche familiari, raggruppate sotto il nome generale di salumi. Il termine salume serve per definire, in maniera molto generica, prodotti alimentari a base di carne trattati e conservati per mezzo della salagione. I salumi sono pertanto rappresentati da tutti i prodotti carnei salati. L’animale la cui carne viene più spesso impiegata per la preparazione dei salumi è il suino ma, da sole o miscelate con quelle suine, sono usate anche carni bovine, equine, ovine e di specie avicole (polli, oche e tacchini). La parte grassa, quando viene aggiunta come nel caso dei prodotti con carne tritata, è sempre di origine suina perché più sapida e idonea da tutti i punti di vista. Tutti i salumi, comunque preparati, hanno in comune l’operazione della salagione la cui funzione fondamentale è quella di conservare la conservabilità del prodotto finale, per sua natura molto deteriorabile perché fatto di carne e grasso.

La ricetta della susianella (l’etimologia del nome è tutt’oggi sconosciuta, anche se molti propendono per un vezzeggiativo campagnolo) secondo alcuni sarebbe originaria del periodo etrusco (non sono in pochi a chiamarla “il salame etrusco”), ma secondo altri sarebbe meglio rifarsi ai longobardi i quali effettivamente allevavano molti maiali. In ogni caso la ricetta attuale si sarebbe stabilizzata tra il 1000 e il 1400, grazie non solo al sapere contadino ma anche a quello dei monaci (specialmente nel Medioevo) presenti nel viterbese. La susianella, a differenza di tanti altri salumi, vede come elementi fondamentali le frattaglie di suino, di solito della razza Cinta senese (quella con la fascia bianca) e del suino nero dei monti Lepini (gruppo montuoso tra le province di Latina, Roma e Frosinone), del peso si 130 – 160 kg (maiale pesante), di età non inferiore ai 12mesi, allevati allo stato brado (quindi facendolo pascolare nei boschi, somministrando mangimi aziendali al rientro nella porcilaia o con truogoli sparsi nel pascolo, insieme ad abbeveratoi). 

Possiamo definire frattaglia tutto ciò che dopo la macellazione dovrebbe essere eliminato in quanto residuo non commercializzabile. Ci troviamo di fronte al cosiddetto quinto quarto, una chiara assurdità aritmetica che, però, rende bene l’idea che dopo aver macellato l’animale resta qualcosa di utilizzabile, specialmente quando l’intelligenza è stimolata dalla fame. Questo è quello che è accaduto alle frattaglie, con le quali tanti hanno saputo creare preparazioni sapide, gustose, profumate, particolari, da veri buongustai. 

La susianella (dal 2011 Presidio Slow Food) è un salume che tradizionalmente si produceva solo in inverno (diciamo da novembre a marzo, per motivi di salubrità e conservazione; periodo in cui per tradizione agricola si macellava il maiale aziendale, allevato dalla famiglia contadina per farne scorte di carne, salumi e grasso), ma oggi alcuni artigiani lo preparano anche in altri periodi purché con temperature non elevate (lo prevede il disciplinare). Si tratta comunque di un prodotto artigianale, difficile da preparare perché si utilizzano le frattaglie, facili a deteriorarsi in quanto ricche di sangue a altri liquidi organici. 

La susianella, secondo alcuni studiosi, un tempo si preparava con la “corata di maiale”, cioè l’insieme di cuore, lingua, fegato polmoni, reni, milza e animelle (cioè timo, pancreas e ghiandole salivari); le frattaglie classiche usate oggi sono: il cuore, il fegato, il pancreas del maiale, a cui si aggiungono però altre parti dell’animale, come pancetta, guanciale e spalla, oltre a rifilature di quelle parti usate per fare altri salumi (prosciutto, capocollo, salami, ecc), salvo ovviamente varianti personali del produttore con aggiunta di altre parti del maiale. La carne e le frattaglie vengono tritate non troppo finemente, aggiungendo poi sale (altrimenti non sarebbe un salume), pepe e peperoncino piccante, necessari per la conservazione del prodotto; si completa con l’aromatizzazione aggiungendo fiori e semi di finocchio selvatico e altre spezie “segrete” di ogni produttore. 

Segue la fase di insaccatura, che viene realizzata in budello naturale sempre di maiale (se necessario va bene anche quello bovino), legando il tutto a mano conferendo al pezzo (lungo 30-50 cm e del peso di 30-500 g) la forma di ciambella o ferro di cavallo. A questo punto dopo una breve asciugatura (per evitare il formarsi di muffe per eccesso di umidità), la susianella viene posta a stagionare per almeno 20 giorni (ma si può arrivare anche a 6 mesi) in locali freschi e asciutti. Non si consiglia una stagionatura superiore, tantomeno una conservazione lunga post vendita, a causa della presenza di sangue delle frattaglie, ancorché in parte trasformato durante la maturazione del salume. 

Un susianella di giusta stagionatura presenta si presenta morbida al taglio (un po’ più consistente col prolungarsi della stagionatura), con colorazione dal rosa cupo (breve stagionatura) al marrone (stagionatura più prolungata), colori rapportabili alla presenza del sangue nelle frattaglie, specialmente il fegato; ed è proprio questo a dare odore e sapore tipico alla susianella (di fegato appunto, specialmente nel prodotto più fresco), senza però nascondere il finocchietto e le altre spezie segrete; si sentirà il lieve piccante del peperoncino, mentre nelle più stagionate emergerà anche tenue sapore e odore di cioccolato (come accade per esempio nel sanguinaccio della tradizione, oggi vietato) e, secondo alcuni gourmet, anche di sottobosco (rosmarino e muschio in particolare). 

Vista la composizione della susianella (rapporto grasso/magro 70-80%, dose di frattaglie 20-30%), dal punto di vista sensoriale la susianella si presenta profumata e speziata, dotata di tendenza dolce e grassezza, non untuosa, capace di creare succulenza in bocca per via del sale contenuto e del piccante peperoncino, molto persistente in bocca; di conseguenza abbineremo un vino (possibilmente della zona) rosso, secco, giovane, fresco, poco tannico e poco alcolico.

Note bibliografiche 

  • La cucina delle carni da non dimenticare, Ed. Accademia Italiana della Cucina  
  • AA.VV., Tecnica dell’abbinamento cibo vino, Ed. AIS
  • Salumi d’Italia, Ed. Slow Food
  • C. Cipolla, La grande salumeria italiana, Ed. Franco Angeli
  • Falloppi, Parolin, Sandri, Affetto in cucina. I salumi tipici e le ricette della cucina regionale italiana, Ed. Terra Ferma
     

Scritto da Luciano Albano

Laureato con lode in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Bari nel 1978, ha svolto servizio come dirigente del servizio miglioramenti fondiari della Regione Puglia presso l’Ispettorato Agrario della città di Taranto. Appassionato di oli e vini, ha conseguito il diploma di sommelier A.I.S. e quello di assaggiatore ufficiale di olio per la sua regione

Specializzato in Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli presso il C.I.H.E.A.M. di Bari (Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Mediterraneennes)" . Iscritto all'Ordine dei Dottori Agronomi della Provincia di Taranto. Iscritto nell'Albo dei C.T.U. del Tribunale Civile di Taranto

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