Fa male alla salute? Non si tratta necessariamente di un’esperienza negativa, ma è importante tener conto della salute psicofisica
Bello, buono, ma anche sacro e fortemente simbolico: scopriamo il frutto del fico tra storia, origini e impieghi gastronomici
Che l’albero del fico sia fra i più anticamente conosciuti lo conferma la Bibbia: tutti ricorderanno che nel Vecchio Testamento (libro della Genesi) si parla di Adamo ed Eva, i quali, dopo essere stati cacciati dal Paradiso terrestre, usarono una foglia di fico per coprire le proprie nudità, poiché dopo aver mangiato il frutto dell'Albero della Conoscenza del bene e del male iniziarono a provarne vergogna.
Nell’antico Egitto, mentre la popolazione povera si nutriva di aglio e cipolle, sulle tavole dei ricchi non potevano mancare angurie, miele, carni di capre e montoni, e non per ultimi i fichi, sempre presenti poiché considerati frutti di un albero simbolo d'immortalità (non a caso, se ne ritrovano resti anche nelle loro tombe). Il fico ritorna anche nel mito sulla fondazione di Roma: fu sotto un albero di fico selvatico (il fico ruminale, secondo alcune fonti situato presso il Lupercale, alle pendici del colle Palatino) che la culla di Romolo e Remo si fermò e questi vennero allattati dalla famigerata lupa che trasse in salvo da morte certa nelle acque del Tevere.
Con l’avvento del Cristianesimo, il fico mantenne il suo valore simbolico di pianta dell’abbondanza, ma assunse anche connotati più sinistri: è con un albero di fico che Giuda Iscariota scelse il suicidio, e San Girolamo più volte nei suoi scritti ricordava quanto il fico simboleggiasse non solo l’ozio, ma propriamente il demonio. Complice di questo fu forse l’aspetto rosso vivo della polpa dei suoi frutti, unitamente alla loro voluttuosa e travolgente dolcezza.
Il fico è una pianta della famiglia Moracee, ordine Urticales, genere Ficus, che possiede un gran numero di specie, tra cui il fico domestico a tutti noto il cui nome botanico è Ficus carica. Col termine fico si indica sia la pianta che il frutto. Le prime notizie sul fico risalgono ad epoca remotissima, circa 4000 – 1500 a.C.; già noto presso Egiziani e Babilonesi, alcuni autori ritengono che sia originario dell’Asia Minore e la coltivazione ebbe inizio, probabilmente, in Arabia Meridionale dove numerosi sono gli esemplari di fico selvatico, mentre i Fenici ne diffusero la coltivazione nel Mediterraneo, specialmente a Cipro, Rodi, Sicilia, Malta, Corsica, Portogallo. I Greci la diffusero ancora in Palestina e in Asia Minore, mentre i Cinesi conobbero il fico grazie ai Persiani nell’ VIII secolo d.C. Nel Nuovo Mondo il fico giunse dopo la scoperta di Cristoforo Colombo, si ritiene intorno al 1520, quando chi vi si recava con le navi spagnole e portoghesi portava con sé anche rami di questa pianta da far radicare.
Di fico esistono tre specie: Ficus carica erinosyce (fico selvatico), Ficus carica alfa caprificus (caprifico) e Ficus carica beta domestica (fico propriamente detto). Il nome latino Ficus pare derivi da una più antica radice indiana, fag, o ebraica, feg. In Grecia il fico selvatico (spontaneo) era chiamato erineós; quello edule (domestico o gentile) sýkon, da cui la parola italiana siconio, impiegata nella terminologia botanica per indicare i ricettacoli fiorali del fico che simulano un frutto.
In Italia la maggior parte della produzione viene dalle regioni del Sud, in particolare Puglia, Calabria, Sicilia e Campania.
Il fico domestico o gentile è la specie più importante per il consumo di frutto fresco ed essiccato, particolarmente coltivata nelle aree temperate e subtropicali. Il Caprifico (che spesso è stato confuso con il fico selvatico) deve il suo nome probabilmente al fatto di crescere in aree in cui pascolavano le capre (caprifico da fico + capra), quindi in luoghi scoscesi e nelle fessure e rupi, producendo frutti immangiabili, asciutti e stopposi. La pianta del fico domestico raggiunge altezze fino a 10 metri, ed ha un tronco liscio con corteccia grigio - cinerina, legno tenero e leggero, rami tortuosi e foglie caduche, ampie e palmate – lobate, con 3-5 lobi più o meno profondi, scabre e dentellate. La riproduzione del fico avviene per talea e successivo innesto della varietà preferita. Tutte le parti della pianta sono percorse da tubi laticiferi, contenenti un lattice bianco che coagula all’aria ed è costituito da una sospensione di sostanze diverse tra cui caucciù.
I fiori del fico sono molto piccoli, non sono evidenti perché racchiusi in un ricettacolo carnoso (siconio) che richiama quello che sarà il frutto finale (il fico), munito apicalmente (dalla parte opposta all’attaccatura al ramo) di un’apertura detta ostiolo. Si tratta, quindi, non di un fiore ma di una infiorescenza (cioè fiori riuniti), da cui deriverà una infruttescenza, cioè un insieme di frutti. Ciò che noi chiamiamo “fico” e che tanto volentieri mangiamo, in realtà non è un frutto ma una infruttescenza, mentre i veri frutti sono degli acheni, molto piccoli e che avvertiamo come piccoli semi (ma semi non sono) sotto i denti quando mangiamo il frutto (praticamente è ciò che accade anche nella fragola). Nel siconio del fico domestico ci sono pochi fiori maschili in prossimità dell’ostiolo, i quali non producono polline o ne producono pochissimo, mentre il resto del siconio è interamente tappezzato di fiori femminili, i quali hanno bisogno di essere fecondati per poi far sviluppare il frutto che mangiamo.
Di norma, i frutti del fico domestico sono di due tipi: i primi chiamati fioroni o fichi fiori o fichi primaticci, maturano sul finire della primavera o al principio dell’estate (data classica la metà di Giugno); i secondi chiamati forniti o fichi veri o pedagnoli o fichi tardivi, maturano sul finire dell’estate. Talvolta, come nel Fico tre volte l’anno o Fico Pasquali (Napoli), in autunno matura una terza generazione di siconi, i cosiddetti cimaruoli simili in tutto ai fichi veri della fine estate, i quali maturano in autunno ma sono di scarsa qualità. Anche il Caprifico possiede tre generazioni di siconi chiamati profichi, mammoni e mamme che seguono lo stesso ritmo evolutivo di fioroni, fichi veri e cimaruoli del fico domestico.
Molte sono le varietà di fico coltivate, con caratteristiche e pregi particolari secondo la forma, il colore, la grandezza sei ricettacoli, il sapore della polpa. Nel fico domestico (ma anche nel caprifico) si hanno varietà unifere (producono solo fioroni), bifere (fioroni e fichi veri), trifere (fioroni, fichi veri e cimaruoli). La distinzione varietale si basa sempre sul colore (giallo-verdastra, rosso-violetta, violetto-nerarstra) e la forma (sferica, schiacciata, piriforme o turbonata, ovoide-conica, ecc.). Altri caratteri differenziali sono l’epoca di maturazione (precoce, media, tardiva) e la necessità di caprificazione (caprificabili e non caprificabili). Si distinguono inoltre fichi da tavola e fichi da essiccare. I primi hanno buccia tenera, acheni (volgarmente semi) quasi assenti, maturazione graduale; i secondi buccia intera, tenace ma non dura, maturazione veloce e precoce. In alcuni casi i frutti si utilizzano nei due sensi.
In Italia le cultivar di fico da tavola più note sono Dottato, Fico nero, Brogiotto bianco e nero, Verdesco, Fracazzano bianco o nero, Marangiano, Abate di Troiano, Borsamele, ecc. Per l’essiccazione sono richieste invece le varietà Dottato, Brogiotto Pissalutto, Farà, Adriatico bianco. La maturazione dei fichi veri avviene gradualmente e procede dalla base del ramo all’apice e la raccolta di quelli da tavola avviene quando il colore è quello tipico della cv, la superficie è intera o un po’ screpolata, la resistenza allo schiacciamento non è non eccessiva, la polpa si presenta tenera, mielata e colorata diversamente a seconda della cv e a seconda che sia stata necessaria la caprificazione o meno. I fichi si raccolgono perfettamente maturi perché non sono frutti climaterici, cioè al contrario di mele, per, pesche, cachi, ecc. non maturano più una volta staccati dall’albero.
I fichi per l’essiccazione si raccolgono quando ultramaturi alquanto appassiti e per lo più con la goccia mielata pendente dall’ostiolo; si raccolgono cioè quando ricchissimi di zucchero. Per alcune cv da tavola le caratteristiche sono anche buone per l’essiccazione. Il procedimento di essiccazione avviene per via naturale al sole, o in essiccatoi o con entrambe i metodi. I fichi essiccati possono essere preparati e utilizzati variamente. L’imbottitura con mandorle, noci, nocciole, pinoli, aromatizzati con limone, cedro, alloro, chiodi di garofano, cioccolato, cannella, semi di finocchio. I siconi così preparati possono essere impacchettati variamente o disposti in scatole di legno o di cartone, avvolti con carta speciale o materiale trasparente; oppure infilzati in giunchi o altro formando trecce, crocette, ecc. I fichi vengono anche trasformati in canditi, confetture, gelatine, in sciroppi più o meno densi (come il vino cotto di fichi).
Tempo addietro dai fichi di seconda scelta, con una lavorazione industriale, si otteneva un surrogato del caffè detto caffè di fichi usato in sostituzione di quello di cicoria, capace di moderare l’azione della caffeina se miscelato a caffè vero, poco costoso, più colorante e più saporito. Contrariamente a quello di cicoria, il caffè di fichi se miscelato a quello vero consente di economizzare sullo zucchero e lo si può utilizzare ottimamente con il latte, specialmente per i bambini. In cucina i fichi, oltre che consumati freschi come frutta, sono ottimi se aggiunti alle macedonie e ai dolci, oppure usati per accompagnare antipasti, specialmente se questi contemplano preparazioni salate, prosciutto crudo o simili, salame, formaggi di media stagionatura e caprini freschi o a pasta molle, oppure per accompagnare carni varie, dal coniglio alla selvaggina. Tra i dolci è famoso il lonzino di fichi marchigiano, Presidio Slow Food dal 1999.
Dal punto di vista alimentare i fichi comuni costituiscono un ottimo alimento, ricercato e popolare sin dai tempi più remoti. Gli antichi utilizzavano i fichi sia freschi che essiccati, direttamente nell’alimentazione o preparando il pane di fichi ed altri cibi complessi. La composizione media dei fichi freschi vede un contenuto di acqua del 70-84%, proteine 0,72-2,58%, ceneri 0,36-1,16%, fibre 0,41-1,70%, zuccheri 8-20%, acidi 0,06-0,24%. La composizione dei fichi secchi vede invece acqua 23%, proteine 4,28%, ceneri 2,02% fibre 10,14%, zuccheri 60,05%, acidi 0,42%, vitamine A, B₁, B₂, C. Le ceneri contengono fosforo, zolfo, calcio, magnesio, ferro, potassio, manganese, cobalto, nichel, bromo. Le calorie apportate dai fichi variano ovviamente per i freschi in funzione dello stadio di maturazione oscillando tra 70 e 90 kcal/100 g, mentre per quelli secchi si oscilla da 220 a 280 kcal/100 in funzione del tipo di farcitura.
I fichi venivano e vengono usati anche a livello medicinale, mentre tuttora con i fichi secchi si preparano tisane e sciroppi per la cura di catarri pettorali, colluttori contro l’infiammazione delle gengive, gargarismi per la gola irritata, grazie alla grande quantità di pectine in essi presenti. il fico maturo è anche un utile digestivo grazie al contenuto di cradina; è lassativo grazie agli acheni numerosi, alla fibra di cellulosa e alla siconina. Concludiamo ricordando che il lattice dell’albero del fico può fungere da caglio vegetale per la coagulazione del latte nella preparazione del formaggio, in quanto contiene enzimi che fanno coagulare le proteine del latte, proprio come accade utilizzando il caglio animale (generalmente bovino o caprino).
Note bibliografiche
- Manuale dell’Agronomo, Ed. REDA
- Enciclopedia di Agraria, Ed. UTET
- P. Piccirillo, Il fico, Edagricole
Photo made in AI
Scritto da Luciano Albano
Laureato con lode in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Bari nel 1978, ha svolto servizio come dirigente del servizio miglioramenti fondiari della Regione Puglia presso l’Ispettorato Agrario della città di Taranto. Appassionato di oli e vini, ha conseguito il diploma di sommelier A.I.S. e quello di assaggiatore ufficiale di olio per la sua regione.
Specializzato in Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli presso il C.I.H.E.A.M. di Bari (Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Mediterraneennes)" . Iscritto all'Ordine dei Dottori Agronomi della Provincia di Taranto. Iscritto nell'Albo dei C.T.U. del Tribunale Civile di Taranto

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