Perchè "vicentini magnagati"?

Sul motivo per cui in Italia è diffuso il pensiero (o meglio, il modo di dire) che vedrebbe gli abitanti di Vicenza dediti a cucinare gatti

Perchè "vicentini magnagati"?

Le filastrocche rappresentano un patrimonio culturale e folkloristico di cui il nostro paese ha sempre abbondato nei svariati dialetti locali. La loro funzione poteva essere indirizzata ad uno scopo educativo oppure ludico-ricreativo. Lo sbeffeggio in rima si tramanda fin dal tempo delle lotte tra comuni: tra le dicerie più celebri, c'è "VENEZIANI GRAN SIGNORI, PADOVANI GRAN DOTORI, …VISENTINI MAGNA GATI", riportata in una raccolta di proverbi veneti pubblicata nel 1879.

Chiunque di noi abbia transitato per la bella Vicenza o abbia avuto a che fare con dei vicentini sicuramente nel sentir questo detto avrà pensato… ma il micio finisce davvero in pentola da queste parti?! Anche gli studiosi dei detti e delle usanze popolari si sono interrogati in merito, e hanno cercato di scovarne il senso. Pare che ci siano diverse ipotesi: curiosiamo fra le più accreditate .

La prima, di natura fonetica, riporta al 1800 quando a Venezia la frase "hai mangiato?'" corrispondeva a "ti ga magnà?", che in padovano diventava “gheto magnà” e che a sua volta in vicentino si trasformava in “gatu magnà” i veneziani, che usavano la desinenza "magna" in termine dispregiativo (es. magnamaroni i ruffiani, magnacarta gli scribacchini) presero in prestito la locuzione per sbeffeggiare i rivali vicentini.

Un'altra interpretazione venne data da Jerome Lalande, il quale visitando vicenza nel 1765 notò che su un totale di una popolazione di 200.000 abitanti si erano avuti circa 300 omicidi, da ciò colse l’indole litigiosa dei cittadini che erano come cani e gatti, definizione distortasi poi in magna gati. Altro episodio che andò ad alimentare il detto,fu quello relativo ad un’invasione di topi nell’archivio notarile e nel monte della pietà vicentini; per debellare l’invasione dei ratti, si inviarono barconi a Venezia per far incetta di gatti, visto che la città ne era ricca. Per ringraziare i barcaroli, i veneziani burloni gli avrebbero offerto gatti cucinati spacciati per carne di coniglio.

Altra ipotesi che si riallaccia alla precedente fu quella secondo la quale, siccome i gatti dati in prestito non furono mai restituiti dai vicentini, questi ultimi li avessero mangiati. Altro episodio tramandato fa risalire l’associazione tra gatti e vicentini al 1509, quando Padova veniva attaccata dalla lega dei Cambrai (coalizione militare contro Venezia di cui fece parte anche Vicenza): dall’alto delle sue mura la città mostrò un gatto appeso ad una lancia in segno di monito e di disprezzo.

Ma se ci lasciamo alle spalle questi cruenti episodi (che ricordiamo essere parte di leggende mai confermate) e giungiamo in epoca moderna, nel 1943 a Vicenza il prefetto locale emana il Decreto Salva Gatti: in un momento di alta scarsità del cibo, si proibiva ai cittadini di uccidere e mangiare gatti. Il monito si estese un pò a tutte le province italiane.

Ognuna delle precedenti ipotesi ha un suo fondo di verità mista a leggenda, eppure pare che in un vecchio libro di cucina vicentino sia contenuta effettivamente una ricetta per il "gato in tecia"...tuttavia - grazie al cielo - ben più celebre in città è diventata la ricetta della gata che ancora oggi si degusta qui. Un dolce locale, nato dal sapere di sette pasticceri che mettendo in comune antiche ricette e conoscenza, mescolando in modo sapiente farina di mais, grappa vicentina, burro, latte, miele, cacao e mandorle, sfornano un capolavoro che con la propria dolcezza mette d’accordo tutti senza lasciarci   la zampa in teglia!

Photo made in AI via Canva

Buongustaia di nascita,  gastroamatrice per indole, la sua curiosità  per le materie prime, le preparazioni e il mondo del food la fanno approdare a scienze e culture enogastronomiche all'Università di Roma Tre. Da qui in poi, il "menù" delle sue esperienze è sempre in nuova e appassionante costruzione.

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