La cultura della fraschetta

Una storia di tradizioni, genuinità e socialità legata al territorio dei Castelli Romani e alle sue particolari osterie

La cultura della fraschetta

Quando sento pronunciare la parola “fraschetta”, il ricordo mi riporta ad una breve vacanza ai Castelli Romani, quando passeggiando per le stradine di uno dei borghi della zona decisi di entrare, data l’ora e il caldo, in una di queste particolari “osterie” locali. Ero alla ricerca di ombra, avevo sete e un po’ di fame. Cercavo un posto in cui stare in pace, al fresco, dissetarmi e sfamarmi con semplicità, magari ascoltando le chiacchiere che gli altri avventori abituali scambiavano tra loro. 

Quando entrai fui assalito dal buio, dato che i miei occhi provenienti dal selciato assolato avevano bisogno di qualche attimo per adattarsi alla semioscurità del locale. Mi ritrovai in un ambiente semplice, arredato scarsamente con mensole e attrezzi agricoli e di cantina, informale e tale da mettere subito a proprio agio. Tutto era semplice: ognuno di fronte al suo vino e alla portata richiesta per accompagnare il nettare di Bacco, da consumare con calma in modo da rinfrescare l’anima e il corpo. Questo è stato il mio primo ed ultimo incontro con una fraschetta, locale che consiglio a chiunque si trovi ai Castelli Romani di visitare, e in cui fermarsi, perché si tratta di un’esperienza che lascia un segno positivo nell’archivio dei ricordi

L’origine della fraschetta si fa risalire all’antica Roma dove (in mancanza delle insegne specifiche) rami di alloro o di altre piante sempreverdi venivano esposte sui locali in cui si vendeva semplicemente il vino buono della vendemmia ultima, un vino che oggi diremmo giovane perché consumato nel primo anno dalla spremitura dei grappoli. Il contadino aveva un suo locale in cui vendeva il proprio vino e la fraschetta indicava non solo tale caratteristica ma anche l’abbondanza per quell’anno della produzione in senso qualitativo e quantitativo. 

Secondo alcuni cultori di storia locale il nome fraschetta deriverebbe da Frascati (il centro più famoso dei Castelli Romani), dove questi localini era veramente numerosi grazie alla vocazione vinicola e gastronomica della zona. A sua volta il nome Frascati secondo alcuni studiosi deriverebbe da Frascata, termine che nel sec. IX indicava la località per la frescura che la caratterizzava (visto che il paesino è a 300 metri di altitudine), mentre secondo altri per il fatto che l’area era ricca di ville nobiliari ricche di ampi e rigogliosi giardini, alcuni aperti anche al popolo, nei quali ovviamente si godeva di un fresco piacevolissimo. Altra ipotesi vuole che il nome Frascati e Frascata deriverebbe dall’uso dei boscaioli della zona di vivere in capanne coperte di frasche; infine secondo alcuni si rifarebbe al fatto che dopo la distruzione del piccolo centro di Tusculum nel 1100, gli abitanti sopravissuti costruirono tante capanne coperte di frasche in cui temporaneamente rifugiarsi.

Tornando alla fraschetta, si può affermare che si tratta della classica osteria dei Castelli Romani, dove si beve in tutta tranquillità (in netta contrapposizione con il moderno, imposto e deprecabile fast food) vino sfuso e si mangia senza troppe formalità cibo semplice, tradizionale e genuino. La fraschetta si sviluppò particolarmente nel Medioevo, quando grazie ai monaci dei tanti conventi sorti nei luoghi eremitici, fu migliorata la tecnica di coltivazione della vite, nonché quella per produrre un buon vino e ben conservarlo. Certamente fu in quel momento che si diffuse maggiormente l’uso di frequentare le fraschette per bere un bicchiere di buon vino, perché certamente i locali del tempo dei Romani servivano un vino molto scadente in virtù degli errori di coltivazione, di quelli di trasformazione dell’uva e di quelli di conservazione di questo, tanto che il vino veniva miscelato con miele e arricchito di spezie, altrimenti sarebbe stato imbevibile. 

All’inizio nella fraschetta si vendeva solo vino e ognuno portava con se volendo del cibo da consumare: il proprietario del localetto metteva a disposizione degli avventori panche, tavolacci e stoviglie, vendendo il vino di sua produzione e prelevato dalla piccola cantina interrata, di cui ogni fraschetta era provvista. Esistevano fraschette aperte tutto l’anno, nelle quali si vendeva non solo il vino prodotto dal proprietario ma anche il vino buono e genuino che questi acquistava da altri contadini, e fraschette aperte per un breve periodo in quanto il contadino – oste vendeva solo il suo vino. In altre parole si poteva trattare di un vero e proprio commercio di vino, oppure di un modo del contadino per rifarsi quanto meno delle spese di coltivazione, vendemmia e trasformazione dell’uva, ricavando in tal modo un piccolo capitale che oggi (in base ai concetti di economia agraria) potremmo definire capitale di anticipazione, in quanto utile ad avviare la nuova annata agraria con le sue spese (aratura e altri lavori al terreno, potatura dei tralci per le future produzioni, pulizia dei fondi agricoli da pietre e altri ostacoli alla coltivazione, concimazione con il letame degli animali allevati, cura dei muretti a secco che dividevano le proprietà, ecc.).

La fraschetta denotava (e ancora denota) un luogo fresco e di quiete, fornito magari di un vero e proprio pergolato sotto il quale riposarsi, chiacchierare e bere del buon vino fresco e giovane, rosso o bianco o la classica romanella, un vino giovane, rosso e frizzantino e molto beverino da bere fresco. Un tempo nella fraschetta veniva servito soltanto vino giovane, e al massimo l’oste forniva anche acqua, pane e uova sode (che preparano il palato a laute bevute di vino). Non si trattava e non si tratta ovviamente di vino blasonati ma dei classici vini del contadino e chi lo beve certamente nel suo cuore, anche inconsapevolmente, apprezza la fatica del contadino che ha prodotto l’uva. 

Il cibo, volendo, poteva essere portato anche dagli stessi avventori della fraschetta, tanto che si diffuse il termine scherzoso di fagottaro per indicare quelle persone che frequentavano abitualmente la fraschetta, portando con sé i cibi racchiusi in fagotti. Oggi la fraschetta è un po’ cambiata in quanto, a differenza del passato, i locali si sono forniti di cucina e insieme al vino forniscono cibi tipici, come i pomodori dell’orto, antipasti di sott’oli e sott’aceti, la porchetta (possibilmente calda), carciofi fritti, salumi e formaggi locali come il pecorino, le famose coppiette (due barrette di carne di cinghiale o di cavallo, essiccata e affumicata, insaporita con sale e peperoncino, in modo da richiamare la bevuta di vino), primi piatti come pasta alla carbonara, all’amatriciana e all’arrabbiata, alla gricia e cacio e pepe. Si tratta di una cucina semplice, casereccia, non elaborata, per un pasto lento, tranquillo, ricco di chiacchiere con il vicino di sedia anche se non lo conosci, o immerso nei tuoi pensieri. Oggi le fraschette servono anche secondi come trippa, fagioli con le cotiche, coda alla vaccinara, abbacchio. Va detto però che difficilmente chi entra nella fraschetta vuole antipasto, primo e secondo, bastano di per sé gli abbondanti antipasti; in genere o si beve solo vino, o si accompagna questo con del buon pane del posto e uova sode, oppure si sceglie una sola portata. 

Caratteristica immutata della fraschetta è quindi il consumo del vino e la tranquillità, il silenzio, la quiete. Le ultime tre non hanno misura, abbondano nella fraschetta, mentre per il vino una misura bisogna usarla. Si chiede allora una caraffa il cui nome cambia con la capacità in litri: Boccale è la caraffa da 2 litri, Mezzo boccale o Tubbo è il litro, Fojetta è il mezzo litro, Quartino è quella da un quarto di litro. Il bicchiere del vino non era certamente a calice, ma un semplice vetro, ben capient, magari graffiato e scolorito dai ripetuti lavaggi, da riempire fino all’orlo in barba ad ogni regola di degustazione e bon ton!

Una volta le fraschette avevano anche un ruolo economico social - contrattuale, oltre che gastronomico e di relax. Infatti, era in questi locali che si concludevano vari tipi di affari o risolti diversi problemi. Negli anni 60 e70 del secolo scorso ci fu una certa decadenza della fraschetta causata dall’abbandono di vaste aree agricole, in particolare coltivate a vite, in quanto i contadini preferivano andare a lavorare nell’industria, nel terziario e in altri settori. Questo aveva portato alla notevole riduzione della produzione di vino in zona Castelli Romani, elemento fondamentale perché nelle fraschette non si vendeva vino se non dei Castelli. Il ritorno di tanti all’agricoltura e il rinnovato interesse per il vino al posto della birra e di altre bevande insulse, ha consentito una rinascita delle fraschette, tanto gradite dai turisti, in particolare quelli provenienti dalla capitale. Tutto questo perché alla fraschetta non si va per mangiare ma per rilassarsi, chiacchierare, fare amicizia, o semplicemente pensare, riflettere, placare un piccolo appetito e dissetarsi con il buon vino del contadino, per poi riprendere il vortice della vita. 

Scritto da Luciano Albano

Laureatosi nel 1978 con lode in Scienze Agrarie, presso l'Università di Bari, si è specializzato nel 1980 in "Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli" presso il C.I.H.E.A.M. (Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici del Mediterraneo) di Valenzano (Bari), ha conseguito nello stesso anno anche l'abilitazione alla professione di Agronomo. Fino al 1/3/2018 ha lavorato alla Regione Puglia nell'Ufficio Territoriale di Taranto, quale Responsabile della P.O. "Strutture Agricole". Appassionato di olio e vino ha conseguito il Diploma di Sommelier AIS nel 2005 e ottenuto nel 2008 l'Attestato di Partecipazione alle Sedute di Assaggio ai fini dell'iscrizione nell'Elenco Nazionale di Tecnici ed Esperti degli oli di oliva extravergini e vergini. Fino al 2018 è stato iscritto all'Albo Provinciale dei Dottori Agronomi e Forestali e come CTU presso il Tribunale di Taranto. Ama il food & beverage e ne approfondisce i vari aspetti tecnici, alimentari e storici

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