Sulla tavola della campagna laziale, semplicità fa sempre rima con golosità!
Arriva il “codice a barre genetico” per certificare l’autenticità degli alimenti
E’ la dura verità: al giorno d’oggi viviamo in un mondo nel quale, trovandoci davanti ad una vastissima scelta di prodotti alimentari provenienti da tutto il mondo – frutto del lavoro di piccole e di grandi aziende (che non sempre scelgono la strada dell’onestà) – ci sorge sempre più insistente nella mente il dubbio sull’origine di quel prodotto, ovvero la veridicità del suo contenuto.
Acquistiamo nuggets di pesce e ci chiediamo se la materia prima sia davvero merluzzo, gustiamo un hamburger al piatto ma domandandoci quale reale tipologia di carne sia contenuta al suo interno… perché gli alimenti stanno diventando sempre più lavorati, e dunque, al tempo stesso, sempre meno “riconoscibili”.
Ai consumatori, dunque, non resta che affidarsi a etichette e fiducia vera e propria verso i propri marchi prediletti. Presto, però, potrebbe diventare concreta la possibilità di analizzare i prodotti alimentari con rapidità e semplicità per mezzo della tecnica denominata DNA barcoding.
Si tratta di una tecnica basata sull’impiego di marcatori molecolari (ovvero particolari sequenze geniche uniche e specifiche per ciascuna specie vivente), che vanno a costituire dei “codici a barre” identificativi raccolti in un database mondiale, ovvero la “Banca dati per il codice a barre della vita” o BOLD, gestito da un consorzio internazionale - di cui fanno parte anche l’Istituto di analisi dei sistemi e informatica del CNR e l’Istituto zooprofilattico sperimentale del Piemonte.
Un sistema che consente di certificare con sempre maggiore certezza l’identità delle materie prime di origine sia vegetale che animale, utilissimo anche per combattere frodi e sofisticazioni, nonché per comprendere più concretamente quali siano le aziende alimentari più affidabili.
Ovviamente anche questa nuova idea possiede dei limiti: primo fra tutti, il dato di fatto che le analisi genetiche si scontrano una volta poste davanti ad alimenti frutto di trattamenti di trasformazione molto aggressivi (che in pratica vanno a degradarne lo stesso DNA, come nei prodotti sottoposti ad alte temperature o estratti con solventi, comunque più frequenti nel campo erboristico che in quello alimentare).
Fonte: Il fatto alimentare
Scritto da Redazione ProDiGus
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