Niente è ciò che sembra, come nella “Natura morta con aringa” di Peter Claesz (prima parte)
Per le grigliate augustee, a ciascuno la sua salsiccia! Piccolo viaggio tra ricette e tradizioni italiane dell'insaccato fresco più amato
La salsiccia fresca è una golosità talmente apprezzata da essere fonte di acquolina in bocca per la maggior parte di noi, ma anche ispiratrice di dipinti famosi (come il Venditore di salsicce di A.C.H. Vernet, Natura morta con formaggio di F.C. van Dijck), film (come Totò sceicco del 1950, Altrimenti ci arrabbiamo e Lo chiamavano Trinità con Bud Spencere e Terence Hill), e persino scenografie presepiali (specialmente in quel di Napoli).
Il nome ci dice già quasi tutto del prodotto (sals per salso cioè salato, ciccia o siccia per carne, in tal caso tritata) e tutti gli storici della gastronomia nazionale concordano nel ritenere la Basilicata (antica Lucania) patria della salsiccia fresca da cuocere, seppur vada detto che anche gli Etruschi (esperti allevatori di suini) la producevano (una sorta di susianella di Viterbo), i Greci antichi l’avevano conosciuta per gli scambi commerciali tra la Lucania e la confinante Magna Grecia (loukanika è una salsiccia tipica in Grecia), mentre gli antichi Romani (in latino salsiccia si traduce con lucanĭca, con evidente riferimento alla Lucania) ne consumavano tanta, specialmente fuori casa in locande (deversorĭum) e trattorie/osterie (caupōna), tanto che Apicio (Marco Gavio Apicio, vissuto tra il I sec. a.C. e il I secolo d.C) ne riporta una ricetta nel suo famoso testo De Re Coquinaria (L’arte della cucina), Varrone (Marco Terenzio Varrone, 116-27 a.C.) nel suo De Re Rustica (tre volumi dedicati all’agricoltura e all’allevamento, come fecero anche Columella e Catone), mentre il grande Cicerone (103 – 46 a.C.) esalta esplicitamente la bontà di quella prodotta in Lucania.
Il viaggio nell’Italia delle salsicce fresche sarebbe troppo lungo da esporre in poche righe, tante sono le salsicce tipiche, per cui mi limiterò a segnalare le più note.
In Piemonte rinomata è la salsiccia di Bra o Braidese (CN), in piemontese sautissa ëd Bra, arrotolata a spirale, che si differenzia dalle altre perché oggi fatta con più carne bovina (70 -80%) che suina (20 – 30%, ma si tratta solo di pancetta, quindi grasso e non carne), mentre in passato esclusivamente bovina sia per la vocazione zootecnica vaccina della Regione e l’alta specializzazione degli allevatori piemontesi, ma ancor più per la presenza in zona di una comunità ebraica (a Cherasco, CN) molto influente sull’economia locale (la religione ebraica vieta di mangiare maiale).
Oggi questa salsiccia ha ottenuto il riconoscimento PAT, cioè Prodotto Agroalimentare Tradizionale, e viene prodotta esclusivamente a Bra, peraltro solo da un ristretto numero di macellati, i quali a protezione della tradizione e della genuinità di questa salsiccia, hanno costituito il Consorzio per la Tutela e la Valorizzazione della Salsiccia di Bra. La carne e il grasso vengono macinati più volte, salati, aromatizzati con pepe e altre spezie. Per insaccare la carne devono essere utilizzate budelli naturali edibili (di agnello, montone o pecora).
Una curiosità: la salsiccia di Bra è stata la prima salsiccia fresca ad essere autorizzata in Piemonte (e certamente su tutto il territorio italico, anche se il Regno d’Italia non esisteva ancora) con Regio Decreto emanato a seguito dello Statuto Albertino del 1848, ovviamente dei Savoia, reali del Regno di Sardegna. Per tradizione si consuma cruda, anche se ormai è affermata la cottura alla griglia o servita cotta in vari modi.
Nella confinante Lombardia caratteristiche sono: la Luganega di Monza (PAT), la Salamella di Mantova (PAT), i Verzini o Salsicciotti milanesi (PAT). La Luganega in apparenza rimanda col suo nome a Lugo (di Romagna, in provincia di Ravenna), mentre in realtà è originaria della Lucania (tanto da essere chiamata anche lucanica, oltre a luganica e luganega). Nel Nord Italia (Lombardia e Trentino in particolare) questa salsiccia fresca giunse attraverso gli scambi commerciali con la Repubblica di Venezia (marinara e chiamata anche la Serenissima), ma a dire il vero la producevano già i Romani (dominatori) che, a loro volta, l’avevano conosciuta grazie ai Greci della Magna Grecia, che commerciavano con i Lucani. Molti, invece, propendono per un’influenza Longobarda. La Luganega è PAT anche in Trentino e Veneto, sia nella versione classica che con diverse varianti.
La Luganega lombarda è ripiegata su se stessa a forma di guscio di una chiocciola, viene prodotta con carni e grasso suini, macinati e salati, speziati con pepe, talvolta vino aromatizzato con aglio, spezie che ne determinano poi il sapore, quindi insaccati in budello naturale. I pezzi hanno lunghezza di 20 cm e più (la più grande mai fatta misurava 18 m), vengono legati manualmente a catena, con testa e coda unite per consentire l’avvolgimento a chiocciola o grappolo che dir si voglia. In cucina si consuma preferibilmente alla griglia, ma va bene anche cotta in padella o sbriciolata in gustosi risotti (come quello alla monzese nel quale, però, è inserita a pezzettini) e ripieni.
Simile nella composizione è la Salamella di Mantova che si differenzia sia per la grana grossa (6 mm) che per la presenza (oltre al solito sale e pepe) di finocchietto – aglio – vino rosso nell’impasto, sia perché fatta con parti di maiale poco pregiate (pancetta, spalle, rifilature), sia perché insaccata (nella versione più tradizionale) in budello di montone, caratteristiche che la rendono superba se ben cotta e usata come farcitura dei panini da “stadio”, come in uso nella città virgiliana, ma ottima anche alla griglia, in padella, nei tortelli e nel risotto alla pilota.
I verzini o salsicciotti milanesi sono molto piccoli (5 – 6 cm, peso 56/60 g), preparati con carne suina e, come si deduce dal nome, serviti con contorno di verza, usati anche nella cassoeula, il piatto milanese per eccellenza, da preparare dopo le prime gelate delle verze, non proprio leggero da digerire data la presenza anche di orecchio, cotenna, piedino, codino, a cui si possono aggiungere anche musetti, costine e puntine (tutto di maiale!).
Passando in Toscana, dove la tradizione gastronomica è davvero straordinaria, facciamo la conoscenza con la Salsiccia Toscana (PAT), conosciuta anche come Sarciccia, di forma cilindrico-tubolare, lunghezza di circa 10 cm, colore roseo, insaccata in budello naturale di maiale, legata a mano e poi intrecciata, di consistenza morbida grazie alla tritatura meccanica. Nell’impasto sempre carne di maiale, per 2/3 magra e per il resto grassa, a tutto vantaggio del sapore, ineguagliabile per aggiunta di aglio triturato, sale, pepe e aromi naturali. Cruda è usata come antipasto, può essere impiegata su crostini coperti di formaggio spalmabile, oppure come piatto unico per la scottiglia (iniseme a carni di coniglio, maiale, faraona e pollo).
Nella confinante Liguria apprezzata è la Salsiccia o Sousissa di Ceriana (PAT), comune millenario nella Valle Armea (IM) a 1647 m s.l.m, consumata per tradizione cotta in padella ricoprendola di acqua, aglio, olio, prezzemolo e olive taggiasche. La sua ricetta non è stata mai descritta, per cui è praticamente sconosciuta e ogni produttore ne ha una personalizzata: unica cosa certa è che si usa esclusivamente carne e grasso suini.
Passando sul lato adriatico, nelle Marche si può degustare l’impareggiabile la Salsiccia Matta di Senigallia (PAT), ottenuta da carni suine, vaccine e grasso suino, cotte per il 50%, tritate, salate, bagnate con vino, speziate come al solito, insaccata in budello naturale. Varianti sono derivate dall’aggiunta di vegetali o di pane all’impasto. Si può mangiare cruda o cotta, anche se di solito viene cotta alla griglia su barbecue a carbonella per una leggera affumicatura, molto gradita da tanti.
Nella vicina Umbria identitaria è la Salsiccia di Norcia (PAT), fatta solo di carne suina (spalla, rifilatura di coscia, pancetta, previa eliminazione di nervi e cotenna) e/o di cinghiale, salata, pepata, lievemente agliata e speziata, insaccata in budello naturale, viene realizzata a mano (nella versione stagionata, matura per circa 30 gg). Si consuma cotta alla brace, oppure in sughi e ragù, nei fagioli o nelle lenticchie, nei risotti, con i funghi, con le patate e in tanti altri modi.
Tipica della Campania è la PAT Cervellatina campana (o Salsiccia di cervello, perché in passato il cervello figurava tra gli ingredienti, ma oggi non più), nome correlato alla parola cervelas che in lingua francese corrisponde a cervello (i francesi sono stati tra i tanti dominatori di Napoli, dal 1806 al 1815). La componente carnea, sia grassa che magra, è di maiale, frollata, macinata a grana grossa o (meglio ancora) a mano con coltello (grana ancora più grossa), insaporita con sale, pepe, spezie, talvolta aromi vegetali, con o senza peperoncino piccante, insaccata in budello di maiale, più sottile delle altre salsicce fresche (ha un Ø tra 1 e 2 cm), lunghezza variabile da 30 cm a 1 m. Nella saporita e sostanziosa cucina napoletana, questa salsiccia si mangia con i famosi friarielli (cime di rapa), patate cubettate e fritte, con orecchiette e friarielli.
Rappresentativa di tutto il Sud Italia è la classica Salsiccia a punta di coltello, tecnica che consente di non riscaldare troppo il grasso durante la cottura, lasciando nella salsiccia morbidezza e gran sapore. Caratterizzata da un budello spesso, HA lunghezza di circa 10 – 15 cm e Ø di circa 2,5 – 3 cm, e la carne viene tagliata con il coltello (grana grossa), utilizzando soprattutto spalla – coscia – pancetta – lardo suini, tanto prelibata da poter essere mangiata cruda (anche se in genere se ne consiglia l’accurata cottura, visti anche i parassiti che possono annidarsi nella muscolatura del maiale), oppure cotta alla brace.
Le versioni di questa salsiccia sono numerose con riferimento sia al Sud (Campania come PAT “Salsiccia fresca a punta di coltello”, Sicilia come PAT “Salsiccia di maiale fresca a sausizza”, Puglia come PAT “Salsiccia a punta di coltello dell’Alta Murgia”), che al Nord, dove questo tipo di salsiccia è stato adottato e variato (specialmente in Veneto come PAT “Salsiccia tipica polesana“ e Trentino come PAT “Salsiccia fresca o Luganegheta fresca o Salziza fresca”). Come la cervellatina di Napoli, anche questa salsiccia (di grandezza superiore alle altre) viene esaltata se affiancata ai friarielli napoletani (cime di rapa appena sviluppatesi, molto tenere), specialmente quando arricchita di semi di finocchio e/o cumino.
Tra le salsicce a punta di coltello non si può non citare la madre di tutte le salsicce, cioè la “Salsiccia lucana” (PAT Salsiccia fresca a catena) della stupenda regione Basilicata, che si differenzia per la presenza nell’impasto del peperone crusco (IGP Peperone di Senise), di grasso duro e per essere posta (dopo breve riposo e qualora non si debba consumare fresca) sotto sugna o sott’olio di oliva, in modo da mantenersi comunque fresca e morbida, potendola così conservare. Varianti di questa salsiccia sono: la "pezzente” fatta con gli scarti delle varie lavorazioni di maiale, agnello e vitello (salsiccia dei poveri), la “Lucanica di Picerno” e la “Salsiccia di Cancellara”.
Da consumare sia fresche che stagionate, quasi sempre impreziosite dal peperoncino, dal finocchietto selvatico e talvolta dal rosso peperone crusco macinato, vengono consumate in umido, alla brace, nei ragù per condire la pasta fresca, con le cime di rapa, nelle zuppe di legumi o altri ortaggi, sbriciolata nei ripieni, ma più caratteristica è la cottura sotto la cenere oppure alla fiamma del caminetto a legna, dopo averla infilzata su spiedi.
Tra le salsicce a punta di coltello è presente anche una specialità calabrese, la Salsiccia rossa fresca del Pollino, fatta esclusivamente di carne del maiale nero della Calabria, arricchita dei soliti aromi e spezie, sale, pepe nero, peperoncino dolce e veramente tanto peperoncino piccante (componenti che conferiscono il rosso acceso). La piccantezza è rilevante, tanto che la si cucina tagliandola a metà longitudinalmente e ponendola sulla brace, o in padella, affiancandola con verdure, patate "mpacchiuse" (cotte in padella) o ancora cipolle che possano attenuare l’impatto del bruciore nella bocca e nello stomaco.
Concludiamo con la Sicilia per gustare la Salsiccia di Altavilla Milicia, prodotto fatto con carne di maiale (70% grassa – 30% magra), tritata non a punta di coltello, speziata, pepata, salata, con varianti all’aglio, al peperoncino, al finocchio. Ogni pezzo di questa salsiccia pesa circa 150 g ed è chiamato “caddozzo” (termine che in zona rappresenta l’unità di misura per acquistare la salsiccia dal macellaio), una ruota di salsiccia è fatta da 12 caddozzi, consumata di solito fritta o arrostita dopo averla infilzata su spiedini di legno o acciaio. In Sardegna si vende il panino caddozzo, apprezzato e diffuso street food, ripieno di salsiccia.
Note bibliografiche
S. Vignozzi - M. Lanza, Arrosti, stufati e grigliate
G. Costa, Le cento migliori ricette di salsicce, salumi e insaccati , Ed. Newton Zeroquarantanove
Corriere della Sera - La grande cucina regionale
A. Molinari Pradelli, Cucina regionale italiana, Newton Compton Editori
Photo made in AI
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