L’astice e l’aragosta

Due grandi crostacei che portano il lusso in tavola al sol pronunciarli: scopriamo come distinguere astice e aragosta e come trattarli in cucina

L’astice e l’aragosta

Astice e aragosta sono crostacei che appaiono sulle nostre tavole solo in occasioni molto speciali. La loro polpa pregiata, sicuramente non tra le più economiche ma certamente tra le più deliziose che ci siano, non richiederebbe altro condimento se non olio e succo di limone. Ma la fantasia dei buongustai e degli chef  ha portato questi due prodotti ittici a diventare protagonisti esaltandoli in tante gustose ricette, a partire da quegli invitanti primi piatti in cui troneggiano tra la pasta cotta al dente e il suo delizioso sughetto. Su astice e aragosta esistono però molte convinzioni errate, per cui faremo un piacevole per divertici insieme e istruirci.

Innanzitutto sfatiamo la convinzione che l’astice sia il maschio dell’aragosta: sono entrambi decapodi (cioè con 10 zampette), ma appartengono a due famiglie diverse:a i Nephoforidi il primo, ai Palinuridi la seconda. Diversi sono quindi il genere e la specie a cui appartengono, e lo deduciamo dal nome binomiale di Linneo: Homarus gammarus (europeo, ma ne esiste anche uno americano) l’astice, Palinurus elephas l’aragosta. Concludiamo quindi che l’astice non è assolutamente il maschio dell’aragosta, come molti invece sostengono.

Dell’astice diciamo subito che esistono due grandi gruppi: l’astice americano (H. ameicanus) che in natura è di colore vivace tendente al marrone verso il nerastro, l’astice europeo che tende al bluastro con striature gialle sul dorso. Gli astici sono forniti di grosse chele (l’aragosta invece non ha chele, primo e principale elemento per distinguerli sui banchi della pescheria!). Altra differenza visibile facilmente prima dell’acquisto è quella per cui il carapace dell’astice è liscio mentre quello dell’aragosta ha delle spine di difesa; il primo non ha antenne, mentre la seconda le possiede e anche belle sviluppate.

L’astice americano si pesca vicino alle coste atlantiche del Canada e dello stato americano del Maine, quello europeo nel Mediterraneo e nell’Atlantico orientale (quindi coste portoghesi, spagnole, francesi e dei paesi africani che vi si affacciano, compreso Sudafrica); inoltre quello americano è più abbondante in natura perché si muove molto per la ricerca del cibo e per la riproduzione, mentre quello europeo è più stanziale e territoriale, esce poco dalla tana e questo spiega il perché dell’abbondanza sul mercato del primo e la penuria del secondo. Astici e aragoste vivono comunque sul fondale, nascondendosi tra le rocce, anche a 200 m di profondità, perché amano le acque fredde.

Come tanti altri pesci e crostacei, anche l’astice e l’aragosta possono essere allevati, specialmente l’astice  americano, anche se non vanno male i tentativi con quello europeo e con le aragoste: questo consente di contenere un pochino i prezzi, di per sé già alti per i crostacei pescati, di circa 30 – 40 fino a 60 – 70 €/kg per l’astice,  da 30 – 60 fino a 90 – 100 €/kg per l’aragosta. Ovviamente quello americano spunta prezzi minori dell’europeo, non perché meno buono ma solo perché più abbondante, sia in natura che grazie all’allevamento. L’aragosta costa di più perche se ne trova di meno nei mari, tanto che la Convenzione di Berna già nel 1979 la considerava specie in pericolo d’estinzione. Prezzi inferiori, diciamo 20-25 €/kg per l’aragosta e 15-20 €/kg per l’astice, insegnano che si tratta di crostacei decongelati.

Gli allevamenti si trovano in Norvegia e Inghilterra, (in Italia a Civitavecchia alcune esperienze universitarie per produrre astici da reintrodurre nelle aree naturali). Spesso l’allevamento dei crostacei è realizzato con la tecnica dell’acquaponica (coltivazione idroponica + itticoltura o acquacoltura), che unisce agricoltura e allevamento. Praticamente le piante (alimentari e ornamentali) vengono allevate col sistema idroponico (quindi senza terra ma con le radici direttamente nella soluzione acquosa nutritiva) utilizzando l’acqua proveniente dall’allevamento dei crostacei. Le piante traggono dall’acqua gli elementi per sé stesse (con il ciclo dell’azoto, che si svolge grazie agli azoto batteri, ammonio ed ammoniaca prodotta dai pesci si trasformano in nitriti e nitrati, principale nutrimento delle piante); in tal modo l’acqua cosi ripulita viene rimessa nell’allevamento.

Altra differenza: mentre l’astice in vendita raggiunge i 30/40 cm di lunghezza e un peso variabile da 300 – 450 a 800 g, l’aragosta invece si aggira sui 20/30 cm di lunghezza, con un peso di 450 g -1,5 kg; aragoste giganti arrivano anche a 8 kg. I pesi sono, ovviamente, funzione della vita del crostaceo, se libera nel mare o racchiusa in un allevamento.

Anche il gusto delle carni è differente: quella dell’astice è elastica e compatta, dal sapore deciso, dal colore bianco rosato, quella dell’aragosta è invece dolce e delicata, meno dura e molto pregiata. Ma passiamo all’aspetto pratico della preparazione di piatti a base di astice o aragosta. Diciamo subito che l’astice deve sempre avere le chele legate, sia quando è in acquario che quando si maneggia per immergerlo in pentola (evitiamo così dolorose pizzicate delle potenti tenaglie). La delicatezza delle carni di questi due crostacei comporta che se usati quando ormai morti si corre il rischio di non poterli usare affatto, perché le carni a differenza di altri crostacei, pesci, molluschi, si deteriorano subito, a meno che non si proceda a surgelazione o congelamento, con successivo scongelamento e perdita della prelibatezza tanto decantata. Per questo motivo l’uso diffuso è quello di cucinare i due crostacei quando sono ancora vivi, immergendoli in acqua che bolle e tirandoli fuori dopo pochi minuti, non appena il loro colore diventa rosso. Appena tolti dalla pentola, i crostacei vanno posti in acqua a raffreddarsi.  Se si prolunga la cottura le carni perdono in delicatezza e diventano sode e stoppose.

Possiamo comprare i crostacei vivi o congelati. Nel primo caso decideremo se procedere come detto sopra o attendere che l’animale sia morto, visto che molti ritengono che il crostaceo immerso nell’acqua bollente soffra, tanto che si sentono sibili, come urla di dolore. In realtà i sibili sono causati dai gas che si formano sotto la corazza e che sfiatano come possono da questa; ritengo che il problema del dolore non si ponga (anche se la Svizzera vieta la procedura a vivo in acqua bollente e il congelamento da vivi, mentre la Cassazione italiana vieta solo il secondo)perché la morte in acqua bollente é praticamente quasi istantanea; inoltre non saprei dire se è da preferire l’agonia dell’animale che estratto dal mare muore perché non riceve più ossigeno per respirare. Allora chiediamoci: meglio una morte velocissima (dall’acquario direttamente nell’ acqua che bolle) o una lunga agonia per mancanza di ossigeno? A mio parere, l’animale a questo punto soffre meno con il metodo classico di immersione in acqua bollente.

Se i crostacei vivi vogliamo conservarli in frigorifero, al massimo per un solo giorno, avvolgiamoli in un panno bagnato, oppure mettiamoli in una vasca con acqua marina o comunque salata (ottima la vasca da bagno, specialmente se i soggetti sono più di uno).  I due crostacei possiamo anche congelarli, mettendoli in un sacchetto ben chiuso e a -18° nel congelatore. Se abbiamo acquistato i crostacei freschi ma già morti, potremo agire con molta più calma sia per la cottura che per ricavare la polpa dal corpo e dalle chele (per l’astice). Se ancora ci troviamo davanti ad astici e aragoste congelati, teniamoli almeno mezz’ora in acqua ambiente o tiepida prima di cucinarli.

Ma cosa preparare con astici e aragoste? Prima di proseguire una curiosità: per evitare che la carne si arricci durante la breve cottura, si usa inserire un lungo stecchino di legno nel corpo del crostaceo, infilandolo dal lato opposto alle chele (astice) e alle antenne (aragosta); si usa anche legare l’intero corpo del crostaceo a un cucchiaio di legno.  Altra accortezza suggerita dai gourmet: per mangiare la polpa dei due crostacei non usare forchette ma le mani, perché il metallo delle posate altera il sapore.

Le tecniche di cottura variano dalla griglia, al vapore, alla bollitura. La ricetta più adatta per sentire davvero il sapore della polpa di astice e aragosta è quella che prevede, appena estratte le carni dalle corazze, senza attendere che diventino fredde, l’aggiunta di un filo di olio extravergine fruttato delicato, limone, un pizzico di pepe (niente sale per non alterare il sapore del mare che queste carni possiedono). Ovviamente tante sono le altre ricette che vedono questi due crostacei attori incontrastati della scena: tagliolini o linguine o spaghetti all’astice, maltagliati con fagioli e astice saltato, astice al forno (gratinato in 10 minuti a 200°C; ricordarsi di aprire e pulire la coda perché accolga i condimenti del caso, oltre a un pochino di pangrattato per la crosticina), panini e toast con astice e avocado, gnocchetti al nero di seppia con ragù di astice, astice con avocado e lime, avocado con cuore di aragosta, spaghetti all’aragosta, astice e cozze, aragosta alla catalana, riso con spumante e crema d’aragosta da servire in sformatini, aragosta e astice grigliati con verdure anch’esse grigliate. Ovviamente, l’astice e l’aragosta prima di essere cucinati vanno privati del lungo intestino.

Come vino è da consigliare sempre un bianco, secco, profumato perché i due crostacei hanno ovviamente odore di mare persistente, alcolico in funzione della succulenza e/o untuosità della preparazione, con discreta acidità oppure vivace in funzione della tendenza dolce e/o della grassezza della vivanda che contiene astici e aragoste, abbastanza persistente in bocca come persistente è una preparazione a base di questi crostacei a cui spesso si aggiungono altri molluschi, facendo ricorso classicamente a prezzemolo fresco e aglio.

Note bibliografiche

  • P. Manzoni – V. Tepedino, Grande enciclopedia illustrata dei crostacei, dei molluschi e dei ricci di mare, Ed. Eurofishmarket
  • M. Colacchi, Aragosta e astice tutti i più celebri crostacei e i modi più prelibati di cucinarli, Ed. F.lli Melita
  • Dizionario gastronomico compatto, Edigeo – Zanichelli
  • M. Guarnaschelli Gotti, Grande enciclopedia della gastronomia, Ed. Mondadori DOC
  • AA.VV., Merceologia del alimenti, Ed. AIS
  • AA.VV., Tecnica dell’abbinamento cibo vino, Ed. AIS
  • L. Veronelli, Bere Giusto, Ed. BUR Rizzoli

Scritto da Luciano Albano

Laureato con lode in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Bari nel 1978, ha svolto servizio come dirigente del servizio miglioramenti fondiari della Regione Puglia presso l’Ispettorato Agrario della città di Taranto. Appassionato di oli e vini, ha conseguito il diploma di sommelier A.I.S. e quello di assaggiatore ufficiale di olio per la sua regione

Specializzato in Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli presso il C.I.H.E.A.M. di Bari (Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Mediterraneennes)" . Iscritto all'Ordine dei Dottori Agronomi della Provincia di Taranto. Iscritto nell'Albo dei C.T.U. del Tribunale Civile di Taranto

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