Omaggio ad Anthony Bourdain

Tra notizie e riflessioni sulla vita di Anthony Bourdain: filosofia di vita e di cucina, trasmissioni televisive e libri dell’indimenticato chef

Omaggio ad Anthony Bourdain

“Il vostro corpo non è un tempio, è un parco dei divertimenti. Godetevi la corsa”
Anthony Bourdain

Dopo numerose recensioni dotte, sento il bisogno di scendere nell'agone di quella che, prendendo a prestito un'espressione generale del mondo della cultura e dell'arte, chiamo critica militante, ricordando una figura di cuoco recentemente scomparsa che ha segnato, in modo assolutamente atipico, inusuale e trasgressivo la "nobile arte della cucina" di questi ultimi decenni. Sto parlando di Anthony Bourdain che, l'8 giugno del 2018, è morto suicida nella stanza del suo albergo in Francia durante le riprese della pluripremiata serie di Parts Unknown della Cnn

Bourdain ha messo fine ai suoi giorni per motivi personali, ma lasciatemi ricordare un episodio storico che ha acceso l'interesse di tanti ed è diventato anche spunto per un film niente male. Il 24 aprile del 1671 all'alba, nel castello di Chantilly, Francois Vatel, dopo due serate di cene memorabili, si uccise perché per la cena conclusiva con la presenza del Re Sole erano arrivate solo due ceste di pesce per sfamare settecento persone. Ironia della sorte di lì a poche ore arrivò tutto il pesce richiesto, ma era troppo tardi. Ai tempi un cuoco, così come i musicisti e gli artisti in generale, lavoravano in una posizione di assoluta dipendenza e subalternità.

Vatel fu una figura emblematica, ricordato non solo per la drammaticità del fatto, ma come tragico interprete della nouvelle cousine ai tempi di Luigi XIV, così diversa da quella della Reggia di Versailles.  Se ne può leggere un serio ritratto nel saggio di Francesco Antinucci, scienziato cognitivo prestato alla storia gastronomica, Il potere della cucina. Storie di cuochi, re e cardinali.

La digressione non è inutile, perché anche Bourdain ci permette di ragionare sulla figura del cuoco. C'è una grande ipocrisia a pensare che nel mangiare ci sia sempre un registro alto, elegante, salutista e creativo. La realtà è più complessa e proviamo a parlare delle nostre sane perversioni alimentari che in realtà rendono possibile il generale equilibrio del gusto. Sappiamo bene, grazie soprattutto alla psicologia del profondo e alle nostre personali autobiografie, quale carico di emozioni siano insite nel nostro quotidiano mangiare, atto che facciamo solo noi umani, che non ci limitiamo all'atto fisiologico del nutrirci. Una sana ventata di liberalismo, contro fake news, edonismo gastronomico, perbenismo e salutismo, farebbe bene alla nostra salute, al nostro buon vivere e a tutto il mondo della gastronomia. Invece il cibo spesso è visto come un nemico, un invasore da tenere a bada. E' alternativamente anoressico e bulimico. 

La ritualizzazione estrema degli snob del cibo, quelli che sono pensiero dipendenti dalle Guide, che al ristorante fotografano i piatti e che intristiscono il piacere della tavola con le loro pedanti e banali dissertazioni mentre mangiamo, sono allevati e nutriti da questa generale cultura esibizionista, conformista nel suo anticonformismo di facciata. Per una maggiore argomentazione su questi temi rimandiamo ad un nostro precedente intervento sul piccolo e fondamentale saggio di Andrea Segré, Cibo.

Bourdain con le sue provocazioni può aiutarci in questo percorso di liberazione dal pensiero politically correct, per trovare-ritrovare un rapporto diretto con il cibo, fuori dagli schemi della grande chiacchiera. Ma, si potrebbe obiettare, che anche la sua è una furba operazione di consenso mediatico. Può anche essere così, eppure la sua scena, il suo discorso ci riporta con i piedi per terra rispetto a dolci signore, esperti e politici del cibo che calcano la scena. Il cibo come spettacolo e basta, con lui come un Virgilio informale e scorretto. Proviamo allora a liberarci da questa gabbia, anche omaggiando il nostro personaggio che, per usare una espressione del Gastronauta Davide Paolini "a me mi piace".

Pubblicato nel 2000 (in Italia nel 2004), Kitchen confidential è il racconto, più autobiografico che professionale, di circa tre decenni di vita in cucina dell'iperattivo Bourdain, che si era laureato al prestigioso Culinary Institue of America e aveva lavorato in alcuni dei più prestigiosi ristoranti della Grande Mela. Anni tosti, caotici e complicati dalla dipendenza della droga. Prima chef e poi pioniere di format innovativi e non patinati, a cominciare  dal distonico e interessantissimo show No Reservations. Nel 2004 l'edizione italiana del libro addolcisce e cloroformizza il sottotitolo inglese Adventures in the Culinary Underbelly, traducendolo con un pacato Avventure gastronomiche a New York e non con il significato vero, più o meno, “avventure nel sottopancia culinario”, che allude ad un dietro le quinte senza censure di sorta. 

Un racconto che non risparmia episodi di trasgressioni, non solo culinarie, che l'autore sparge come pepe sulle pagine del libro. Anche se diversi, ho ritrovato questo mondo nella biografia del 2017 di Marco Pierre White La vita dannata di uno chef stellato. Anche in questo caso la traduzione italiana del titolo ne annacqua il significato che, nel titolo originale inglese The devil in the Kitchen. Sex, pain, madness, and the making of a great chef, riecheggia il bestseller di Bourdain.

Le cucine più o meno stellate che lo chef statunitense ci descrive sono ambienti con comportamenti per cui l'autore ad un certo punto afferma che comandare una brigata di cucina è come dirigere una ciurma di pirati. Il New York Times riconobbe valore letterario allo stile con cui Bourdain racconta “una sottocultura la cui gerarchia militare e l’etica vecchie di secoli creano una miscela di ordine inossidabile e caos capace di mettere a dura prova i nervi di chiunque”. Ma è un mondo che lui conosce come le sue tasche. “In cucina so come comportarmi, diversamente da quanto mi accade nella vita di tutti i giorni, dove mi trovo su un terreno meno solido”. Parole dolorosamente profetiche. 

Negli anni che seguono Kitchen confidential, mentre ci accompagna in un viaggio che ha come punto di partenza la sua prima ostrica alla Gironde, passando da Tokyo e Parigi, pubblica via via Il viaggio di un cuoco, Avventure agrodolci , Al sangue , I miei appetiti. Non si limita solo a testi o a saggistica di cucina, ma scrive anche gialli e la grafic novel Get Jiro pubblicata anche da noi. Soprattutto mi piace ricordare Il Segreto di Mary la Cuoca. Una micro-storia di notevole valore storico e letterario,in cui racconta una grave epidemia tifo scoppiata a N.Y. che ha come protagonista la cuoca Mary Mallon.

Tra ricostruzione storica e identificazione con la biografia di Mary, svela il suo continuo interrogarsi in difesa di un mestiere che più volte ha definito Incompreso e artefatto. In I miei appetiti, suo primo ricettario, raccoglie unesperienza quarantennale ai fornelli e racconta attraverso i suoi piatti l’amore per la cucina saporita, ricca di contaminazioni culturali in perfetto stile statunitense, e decisamente per palati “strong”. Un ricettario divertente e irriverente, che presenta gli ingredienti e i piatti preferiti con fotografie non patinate e filtrate da obiettivi compiacenti. Descrive sia ricette come la Caesar salad o la Bisque di gamberi, che strizzano l’occhio alla tradizione sia il panino polpette e parmigiano, i ravioli di baccalà in salsa di aragosta, il sugo di salsiccia con biscotti salati, il purè di patate alla Robuchon, ma anche proposte originali come le vongole con chorizo, porri, pomodori e vino bianco o i cavolfiori al forno con sesamo.

Riguardo ai dessert: "mi piacciono ma, se dovessi scegliere di vivere per sempre senza una portata, il dessert sarebbe quella a cui rinuncerei". L'elenco dei Paesi che Bourdain ha visitato è impressionante e praticamente infinito, ma uno in particolare gli è rimasto nel cuore. Il Giappone. "Sono andato in Giappone pensando che ci fosse un certo numero di colori primari, ma lì mi sono accorto che ce ne sono 10 o 12 in più. C'è così tanto da imparare e così tante cose belle là fuori". 

Intanto continua con i suoi programmi televisivi dissacranti. Lo vediamo in giro per il mondo commentare in diretta mentre mangia cibo di strada con la bocca unta, mischiando parole e bocconi; in luoghi per niente blasonati entusiasmarsi per piatti fuori da ogni "buon gusto" ma vere rappresentazioni di comportamenti e tradizioni popolari di culture diverse. Come con Kitchen, anche con i suoi programmi tv, ha inventato una nuova relazione tra il commensale e il cuoco, radicando le ricette ai luoghi più impensati, come nel 2016 a cena ad Hanoi insieme allora presidente Usa Barack Obama davanti a una birra e a del maiale grigliato. Chissà cosa ne pensò la First Lady Michelle che aveva intrapreso la sua giusta campagna alimentare, allestendo un orto alla Casa Bianca, avvalendosi della collaborazione di Alice Waters cuoca e saggista statunitense, attivista per l'educazione alimentare e proprietaria del celebre Chez Panisse di Berkeley, California. Una professionista certo non in sintonia con il nostro.

Un personaggio distonico, alla fine più documentarista che cuoco, che ci aiuta a riflettere sulle liturgie canoniche della ristorazione. Personaggio eclettico e complesso, praticante delle arti marziali. Privo del senso della misura e di stile, ma proprio per questo lo vogliamo omaggiare. Un cuoco senza l'"aura" che, se mi si permettete la citazione, ricorda l'analisi di Walter Benjamin in L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica applicata alla gastronomia. Scorretto, intriso di acido sarcasmo, ma sincero. In un passo del suo Al sangue scrive più o meno così:" in cucina non è possibile mentire. Una omelette o la sai fare o non la sai fare. Nessuna credenziale, nessuna cazzata, nessuna bella frase o nessuna supplica cambierà le cose.

La cucina è l'ultimo baluardo della meritocrazia." Ma non gli sono alieni i comportamenti e i temi di responsabilità sull'alimentazione. Infatti ha prodotto personalmente il docufilm contro lo spreco alimentare The Story of Food Waste”, presentandolo al Tribeca Film Festival a inizio 2017. Un lavoro di grande attualità, in cui Bourdain ha coinvolto colleghi famosi come Danny Bowien, Mario Batali e Massimo Bottura.

Lo scorso 25 giugno in tutto il mondo si è ricordato lo chef ribelle che ha sconvolto la ristorazione e noi lo ricordiamo con le parole del suo amico Eric Ripert, noto chef francese: "Il suo amore per le grandi avventure, nuovi amici buon cibo e vino e le straordinarie storie del mondo lo hanno reso un narratore unico, i suoi talenti non hanno mai smesso di stupirci e ci mancherà moltissimo".

Scritto da Sergio Bonetti

Ha insegnato all'Università, si è occupato di piccole imprese e, negli ultimi anni, soprattutto di quelle del  settore enogastronomico, per le quali ha promosso eventi legati alla cultura del territorio. Le sue grandi passioni sono i libri, il cibo, il vino…e le serie tv.  

Ama viaggiare e per lui ogni tappa diventa occasione per visitare i mercati alimentari e scoprire nuovi prodotti, tecniche e tradizioni.

E’ inoltre appassionato di ricerca e dello studio di testi in ambito culinario, per contrastarne la spettacolarizzazione e i luoghi comuni.

0 Commenti

Lasciaci un Commento

Per scrivere un commento è necessario autenticarsi.

 Accedi

Altri articoli