La cucina italiana senza italiani

Chi lavora oggi nei ristoranti nazionali? Soprattutto cuochi e camerieri non italiani: analizziamo radici e prospettive del fenomeno

La cucina italiana senza italiani

Sono da diverso tempo all’attenzione dell’opinione pubblica le numerose difficoltà che le attività di ristorazione hanno attraversato e ancora attraversano per riuscire a ricostruire arduamente il proprio corpo personale. Mestieri come quelli del “cuoco” e del “cameriere” dopo 2 anni di “conseguenze Covid” sembrano essere pressoché scomparsi, o forse non suscitano più lo stesso interesse di un tempo (trattandosi peraltro, innegabilmente, di un certo lavoro di fatica).. 

Chi era dotato di un certo livello di esperienza è volato ad esercitare la professione all’estero, o ha preferito cambiare del tutto impiego alla ricerca di nuovi orizzonti professionali preso dalla paura di rimanere incastrato in luoghi di lavoro “a chiusura intermittente”. E i giovani italiani che dovrebbero essere iniziati quanto prima al mestiere, invece, lamentano troppe ore di lavoro a fronte di paghe troppo basse, dimenticando sia le caratteristiche di base proprie del settore per il quale hanno scelto (?) di formarsi (della serie: nella ristorazione si lavora sabato, domenica e giorni festivi da sempre, non certo solo in Italia e non certo solo in questo periodo storico) sia il dovere - che ciascuna risorsa “junior” dovrebbe avere - di farsi conoscere e formare dall’imprenditore prima di poter pretendere la contrattazione di un nuovo trattamento orario e/o economico. 

Capita sempre più spesso di leggere articoli e post social dedicati a questo tema, sotto i quali si instaurano vere e proprie lotte fra tastiere a suon di scambio di commenti al vetriolo nell’utenza web. Anche chef e imprenditori celebri come Gianfranco Vissani e Alessandro Borghese (per citarne solo un paio d'esempio) hanno tentato di instaurare un dialogo aperto alla ricerca di motivazioni profonde e possibili soluzioni per il problema, ma le risposte che si nota pervenire da aspiranti cuochi/pasticceri/maître/camerieri fanno costante riferimento alle questioni “tempo” e “denaro”. 

Come se i dipendenti di tutti gli altri settori non vivessero oggi i medesimi problemi (oggi rispetto a 40, anche 30 anni fa, è una tendenza generale il lavorare di più guadagnando proporzionalmente meno, così come il personale assunto è diventato, pressoché ovunque, solo quello strettamente necessario, che diventa inevitabilmente più “caricato” di lavoro). 

Come se non esistessero contratti nazionali del lavoro da rispettare (e forse sarebbero proprio loro - insieme al livello di tassazione del lavoro oggi troppo elevato - quelli da rivedere per mestieri di fatica e di tante ore come quelli legati alla ristorazione, anziché prendersela con gli imprenditori per le paghe). 

Ma soprattutto, come se tutt’a un tratto non valesse più il concetto di farsi conoscere dal proprio datore di lavoro prima di pretendere (e non parliamo solo di “gavetta”, perché ogni nuovo posto di lavoro trovato, anche se si possiede esperienza, necessita ogni volta di un nuovo fondamentale training iniziale per valutare l’adattamento alle dinamiche della specifica realtà e per valutare l’affidabilità della persona). 

Il tutto avviene inoltre sotto la luce (o l’ombra?) degli incentivi statali, che se da un lato hanno avuto il buono di sostenere e rassicurare, dall’altro, a lungo andare, si stanno rivelando un’arma a doppio taglio che fa da vero deterrente alla volontà di trovarsi realmente un impiego (dal momento che l’usanza prediletta dall’italiano medio sembra essere quella di paragonare l’entità del sussidio con quella della propria futura busta paga… altro grande errore). 

L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro” vuol dire che tutti hanno il diritto a lavorare, ma non che i datori di lavoro siano tenuti ad assumere persone contrattando a livello “personalizzato” ore, mansioni, paghe e termini dei contratti. Soprattutto se si pensa all’epoca che stiamo vivendo, in cui le tasche degli imprenditori della ristorazione (e non solo) non si riempiono di certo “per magia”, e necessitano di dipendenti che facciano vero gioco di squadra per segnare il miglioramento e la differenza costruendo con reciproco sacrificio l’economia di un’azienda dal futuro migliore. 

Non esiste momento storico critico senza necessità di costanza e sacrificio al fine di superarlo con spirito di gruppo a partire dal luogo di lavoro: siamo noi con i nostri comportamenti, i nostri “si” e i nostri “no” a poter determinare ciascuno nel nostro piccolo i veri cambiamenti. Necessitiamo di sviluppare la consapevolezza che far bene il proprio lavoro e dare il proprio meglio per far crescere la propria azienda significa anzitutto lavorare sul mantenere la propria occupazione. 

Perché dopotutto, come il mio mentore Fabio Campoli mi ha insegnato a chiedermi sempre: “la qualità su un posto di lavoro la si trova o la si fa?”. Forse molti dei nostri lettori vedranno la verità nel mezzo, ma il significato più profondo di questa frase vive nel riflettere su quanto siano le Persone la componente che fa la differenza (e non solo nella ristorazione).

Ma ecco che quanto sopra esposto qualcuno lo sta facendo, e si parla di pochi italiani e tanti non italiani. Sono sempre più numerosi bar, ristoranti, lidi e persino trattorie tradizionali che stanno puntando su apprendisti di ogni età provenienti dai più disparati paesi del mondo. Persone che attualmente, silenziosamente, stanno letteralmente salvando il settore della ristorazione italiana. Perché oggi, affacciandovi nelle cucine dei ristoranti, non troverete poi molto personale italiano: spesso oltre l’imprenditore e il capo chef, dalla cucina alla sala, tutto è a cura di coloro che qualcuno ancora oggi ha il coraggio di additare con disprezzo sotto il nome di “immigrato” (come se poi a “noi italiani” nella storia non fosse mai successo di scegliere di andare via in massa dal paese). 

I nuovi eroi della cucina italiana? Non sono italiani, e ce la stanno mettendo tutta per imparare a proporre degnamente la cucina nazionale. L’appello finale non può che essere rivolto ad enti pubblici, associazioni di settore e istituzioni, affinché inizino a soffermarsi maggiormente sulla situazione, pensando magari, tra i tanti fondi che si mettono a disposizione per finanziare i più svariati progetti, di supportare ristoratori italiani offrendo loro contributi concreti per investire sulla formazione di questa nuova, grande e multietnica brigata di cucina italiana per il bene della loro professionalità e dell’intero futuro degli esercizi di ristorazione nazionali. 

Scritto da Sara Albano

Laureata in Scienze Gastronomiche , raggiunta la maggiore età sceglie di seguire il cuore trasferendosi a Parma (dopo aver frequentato il liceo linguistico internazionale), conseguendo in seguito alla laurea magistrale un master in Marketing e Management per l’Enogastronomia a Roma e frequentando infine il percorso per pasticceri professionisti presso la Boscolo Etoile Academy a Tuscania. Dopo questa esperienza ha subito inizio il suo lavoro all’interno della variegata realtà di Campoli Azioni Gastronomiche Srl, , dove riesce ad esprimere la propria passione per il mondo dell'enogastronomia e della cultura alimentare in diversi modi, occupandosi di project management in ambito di promozione, eventi e consulenza per la ristorazione a 360°, oltre ad essere referente della comunicazione on e offline di Fabio Campoli e parte del team editoriale della scuola di cucina online Club Academy e della rivista mensile Facile Con Gusto.

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