Una recente ricerca rivela che in famiglia si consuma almeno un pasto tutti insieme, ma ognuno siede a tavola con un piatto diverso
A tavola con uno dei mitili dal retrogusto più dolce di tutta Italia
La facilità di cattura, rispetto agli scattanti pesci, ha posto per secoli i mitili tra gli elementi principali della gastronomia marinara.
Al contrario dell’ostrica, decantata da tanti illustri letterati come Omero, Virgilio, Petronio, Marziale, la plebea ma saporita cozza, non solo è stata completamente ignorata dai letterati, ma è sfuggita persino ad Aristotele e Plinio.
Da tempo immemorabile gli abitanti di zone costiere hanno visto nei molluschi bivalvi, quindi anche nel mitilo, una sicura fonte di alimento da integrare nella propria dieta, vista la facilità di cattura dei molluschi, quasi fermi nel mare e fissati su qualunque cosa purché solida. Il primato spetta all’ostrica per le sue qualità, ma anche i mitili non erano disprezzati e furono certamente tra le vittime privilegiate degli ittiofagi. Ventidue secoli fa Catone dava consigli d’oro ai Romani sul come liberare bene l’intestino aggiungendo due misure di cozze ad elementi di vario genere in un pentola con tre litri di acqua, cuocendo, bevendone un mezzo litro. Orazio lo ricorda dicendo che “contro il ventre duro si usino cozze e vongole”.
La cozza per quanto ben conosciuta e considerata dai grandi cuochi francesi del secolo dei lumi, è stata ignorata dal grande Artusi, considerato padre della cucina italiana, che nel suo libro La scienza in cucina e l’arte del mangiar benenon la cita nemmeno. Una lacuna tanto più grande, quanto più è rilevabile in tale libro l’attenzione del maestro verso prodotti di ancora più marginale interesse gastronomico.
Ciò avvalora quanto detto in precedenza, e cioè che nel nord e centro Italia le cozze fossero ancora pressoché misconosciute intorno alla metà dell’Ottocento.
Sono invece presenti, in degna compagnia di tante altre specie di molluschi, nel Cuoco galante,ricettario settecentesco del salentino Vincenzo Corrado.
Molti studiosi consultando gli antichi registri ove venivano annotate le spese quotidiane dei conventi, hanno rilevato come le cozze negre di Taranto(così venivano denominate) costituissero un pasto frequente e ben accetto, anche nelle sempre ben fornite mense ecclesiastiche. Molte altre testimonianze certe ci dicono come le cozze fossero un alimento gradito in larga parte dell’Italia meridionale, dove costituivano preziosissime proteine per i poveri che non potevano accedere alla carne (erano dette ostriche dei poveri) già nel ‘700.
Una testimonianza al di fuori di ogni sospetto ci è stata lasciata da uno scienziato viaggiatore svedese del ‘700, Marten Khaler,che nel suo trattato Osservazioni sulla malattia della danza, ovvero il cosiddetto tarantismo(Stoccolma 1758) così riferisce a proposito degli usi alimentari dei tarantini (estendibili a tutte le popolazioni costiere che potevano avere accesso ai mitili): “ il loro prevalente nutrimento è costituito da un po’ di verdura, molti legumi, ma per lo più da ostriche e cozze, rinomate in tutt’Italia come le ostriche di Lucrino presso i Romani”.
Anche in altre cucine regionali risaltano denominazioni di piatti a base di cozze che fanno riferimento a Taranto: è il caso delle “cozze alla tarantina” piatto tipico anche nelle Marche, e della “tarantina”, appetitosa versione siciliana di pasta con le cozze.
Ciò convalida la tesi che in origine la gran parte delle cozze che si consumavano in Italia centro-meridionale provenivano da Taranto. Tutt’ora Tarantodetiene il primato della produzione di cozze in Italia(40.000 – 45.000 t su una produzione nazionale di 130.000), seguita nell’ordine da Chioggia, Cagnano Varano, La Spezia, Trieste, Napoli, Olbia, Manfredonia. Taranto è il Comune che produce più mitili allevati al mondo, non solo in Italia! A detenere però il primato italiano per il consumo di mitili è Bari con tutta la sua provincia, seguita da Brindisi.
La predilezione per le cozze di Taranto risiede nella particolare bontà dovuta all’assenza di retrogusto amarognolo e ferruginoso tipico del prodotto derivante da altri siti. Ciò è dovuto alla presenza nel Mar Piccolodi Taranto dei cosiddetti citri,cioè di sorgenti di acqua dolce di natura carsica provenienti dalla Dalmazia, acqua dolce che stempera i rialzi di salinità e di temperatura che si possono verificare durante l’allevamento, oltre a favorire la vita del fitoplancton e, quindi, dei mitili.
In cucina, l’uso dei mitili presuppone non solo l’acquisto di prodotto con etichetta sanitaria di controllo ma anche il controllo visivo e olfattivo da parte del consumatore, dell’assenza di sabbia nel mollusco; questo sia che il consumo avvenga allo stato fresco che previa cottura.
Gli studi condotti hanno dimostrato che le cozze mantengono l’equilibrio biochimico al loro interno (rapporti tra pH e ATP) sino alla 96^ - 120^ ora dall’immagazzinamento, ma ciò non coincide con le caratteristiche che deve avere il prodotto fresco avviato al consumo. E’ necessario perciò verificare sempre se ci sono le caratteristiche di freschezza e vitalità del piccolo animale.
Concludiamo con un’interessante curiosità: una ricetta storica che propone le cozze in versione…dolce!
Cognotti
Ingredienti:
- 1 kg di cozze,
- 800 g di miele,
- 1,25l di aceto bianco,
- 100 g di mandorle tritate,
- 50 di castagnelle tritate,
- 50 g di arance candite,
- olio extravergine di oliva q.b.,
- farina q.b.
Preparazione: dopo aver sgusciato le cozze, si passano nella farina e quindi si friggono in olio; si mettono ad asciugare su carta assorbente. A parte si fanno bollire in una pentola miele e aceto, nel cui miscuglio vanno successivamente immerse le cozze, le mandorle, le castagnelle e le arance e facendo bollire per qualche minuto. Una volta raffreddate andranno conservate in barattoli ermeticamente chiusi.
Sembra si tratti di una vera leccornia per palati raffinati e, soprattutto, una novità dal momento che si tratta di una ricetta tarantina completamente scomparsa dalla tavola degli abitanti di questa città, pur essendo antichissima, addirittura risalente ai Romani, che erano soliti preparare in tal modo le ostriche.
Note bibliografiche
- M. Vaglio - Piccolo codice della cozza Ed. Besaeditrice
- AA.VV - La mitilicoltura a Taranto Ed. Provincia di Taranto
- A. Semeraro – Spigolature sui mitili 1948 Ed. Arti grafiche Cressati Taranto
- AA.VV. - “Tecnica dell’abbinamento cibo – vino” Ed. A.I.S Associazione Italiana Sommelier
Scritto da Luciano Albano
Laureato con lode in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Bari nel 1978, ha svolto servizio come dirigente del servizio miglioramenti fondiari della Regione Puglia presso l’Ispettorato Agrario della città di Taranto. Appassionato di oli e vini, ha conseguito il diploma di sommelier A.I.S. e quello di assaggiatore ufficiale di olio per la sua regione.
Specializzato in Irrigazione e Drenaggio dei terreni agricoli presso il C.I.H.E.A.M. di Bari (Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Mediterraneennes)" . Iscritto all'Ordine dei Dottori Agronomi della Provincia di Taranto. Iscritto nell'Albo dei C.T.U. del Tribunale Civile di Taranto

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