Dall’Oriente con amore, colore e sapore: scopriamo tutto sull’albicocca, da storia e origini a coltivazione e uso in cucina
Il prosciutto crudo che si produce in Sardegna merita di espandere il suo mercato e la sua conoscenza: ecco perché provarlo
Ogni prodotto della tradizione gastronomica e contadina del nostro paese rappresenta un capitale prezioso per la salvaguardia culturale e la tutela della diversità. Negli ultimi anni abbiamo imparato - anche guidati da appassionati, ricercatori, gastronomi, chef e consorzi di tutela - che un buon prodotto è il frutto di un insieme di fattori “vecchi e nuovi”: da quelli geografici e culturali a quelli economici e commerciali. Tutelare il patrimonio della nostra tavola consente di tutelare anche le piccole economie locali proprio come accade in Sardegna e più precisamente in Barbagia dove un piccolo paese, Seulo (poco più di 900 abitanti), conserva i segreti della produzione di un prosciutto di rara bontà.
Territorio montano, di allevamenti ovini e caprini, vanta anche una buona tradizione suinicola che vede il maiale di razza sarda protagonista assoluto ed oggi oggetto di attenzione della politica e dell’economia locale che vogliono renderlo un concreto fattore per lo sviluppo e il recupero del territorio e la promozione di un prodotto locale di indubbio interesse. Il prosciutto sardo di montagna ha una tradizione millenaria, ne ritroviamo l’effige nelle monete di epoca augustea dove già viene raffigurato tondo e con la caratteristica postura anchilosata della zampa che dipende dal fatto che il maiale, dopo la macellazione, viene appeso per l’arcata mandibolare (e non dalle zampe posteriori come avviene generalmente), cosa che conferisce al coscio la tipica e unica forma di “zampa storta”.
Ottenuto esclusivamente da suini di razza sarda autoctona, lavorando sia le cosce anteriori che posteriori, viene chiamato Su Presuttu se si ottiene dalla zampa posteriore o Presuttu ‘e Pala se si ottiene dalla zampa anteriore del maiale (ossia dalla spalla). I maiali di razza sarda sono caratterizzati da un mantello di colore vario che va dal bianco al nero passando per il rosso e il grigio, con setole ondulate o ricce, la coda cavallina, il ciuffo lombare e una stazza media caratterizzata da arti piccoli e corti che non impediscono però di raggiungere pesi considerevoli (fino a tre quintali) grazie ad un allevamento semibrado a base di ghiande, noci e castagne.
I cosci di questi maiali, chiamati in dialetto summanali (cioè grandissimi), arrivano a pesare circa il doppio rispetto ad altre razze allevate nel nostro paese e per questo riescono a produrre carni particolarmente morbide, succulente, con una parte grassa delicata e dolce. Si tratta di un tipo allevamento lento (con un periodo di ingrasso degli animali che dura da ottobre fino a gennaio) e meno remunerativo rispetto a quelli industriali ed intensivi. La macellazione e la lavorazione dei cosci avviene nei mesi freddi con una stagionatura che varia dai 18 ai 24 mesi.
La salatura si fa “a ogu”, cioè ad occhio, in base all’esperienza dell’artigiano che valuta il livello di disidratazione dal colore delle carni; segue poi il lavaggio con aceto di vino e la pepatura. A questo punto il prosciutto viene posto alcuni giorni a terra sotto dei pesi che gli conferiscono la caratteristica forma tonda e schiacciata e successivamente appeso per i restanti mesi invernali fino al completamento della stagionatura. Sono proprio la tipologia di allevamento semi brado e le condizioni climatiche (il freddo asciutto, le basse temperature e la scarsa umidità) in cui avviene la stagionatura a determinare le caratteristiche organolettiche del prodotto finito che risulta compatto, morbido e molto profumato.
A seconda delle dimensioni può essere presuttu de ancisorgiu (ottenuto da un animale giovane e con un peso finale inferiore ai cinque chilogrammi) o de mannali (ottenuto da maiale adulto e castrato, con un peso finale che va dai cinque fino ai dodici chili). Su presuttu può essere tagliato con la testa dell’omero scoperta, come la maggior parte dei prosciutti italiani, o con la testa del femore coperta dall’osso iliaco ma rigorosamente a mano e sottile, non bloccando il prosciutto ma tenendolo con una mano per la zampa come se fosse uno strumento musicale ad arco, posto su un piano d’appoggio inclinato, eseguendo il taglio dall’estremità verso la zampa.
Si caratterizza per il sapore dolce delle carni, dal colore rosso vivace, con una parte grassa di colore bianco candido che si scioglie già a temperatura ambiente. La salatura a secco e la stagionatura naturale lenta (che può arrivare ai 36 mesi) conferisce a questo prosciutto un sapore pieno dal retrogusto di castagna capace di regalare al palato tutta la piacevolezza di un prodotto deciso ma al tempo stesso mai esagerato.
Nella tradizione contadina, questo prosciutto, proprio per la sua pregevolezza, veniva riservato alle occasioni speciali e alle feste; oggi la produzione del prosciutto di Saulo è limitata alla zona geografica limitrofa, con una produzione di poche centinaia di pezzi che vengono prodotti a filiera chiusa e a stagionatura naturale da un piccolo consorzio di produttori locali, il Consorzio del suino sardo. La produzione virtuosa e l’esperienza centenaria dei norcini sono i veri punti di forza per la valorizzazione di un prodotto di nicchia che vale la pena imparare a conoscere ed esportare fuori dai confini dell’isola.
Photo via Pexels
Scritto da Viviana Di Salvo
Laureata in lettere con indirizzo storico geografico, affina la sua passione per il territorio e la cultura attraverso l’esperienza come autrice televisiva (Rai e TV2000). Successivamente “prestata” anche al settore della tutela e promozione della salute (collabora con il Ministero della Salute dal 2013), coltiva la passione per la cultura gastronomica, le tradizioni e il buon cibo con un occhio sempre attento al territorio e alle sue specificità antropologiche e ambientali.
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