Continua l’interessante approfondimento del dipinto “Natura morta con aringa” di Peter Claesz
La sua “Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”: opera nazionale o regionale?
Se glielo avessero pronosticato a quei tempi, ovvero nel 1891 con il Regno d’Italia appena nato, non ci avrebbe creduto nemmeno lui che il suo libro avrebbe avuto tanto successo.
Tanto perché in primis il suo caro amico, il prof. Francesco Trevisan l’aveva definito “libro che avrà poco esito”, e in secondo luogo perché tanti editori avevano rifiutato la stampa del manuale di cucina ritenendolo inadatto a produrre guadagni, trovandosi già in commercio diversi piccoli ricettari di tipo regionale o propriamente locali.
Uno degli editori consultati affermò che se quel libro l’avesse scritto un famoso cuoco come Doney, allora certamente l’avrebbe pubblicato perché ne sarebbe bastato il nome famoso per vendere, a prescindere dal contenuto (anche se in realtà Doney scriveva in modo incomprensibile per la gente comune, come nell’opera “Il re dei cuochi”).
Artusi decise allora di far stampare a sue spese solo 1.000 copie, ma perfino in una fiera del suo paese natio, Forlimpopoli, il libro non fu apprezzato e chi lo comprò (o lo vinse a lotteria), che si racconta lo rivendette immediatamente per pochi soldi.
Finalmente giunse un giudizio positivo, quello dell’amico professor Paolo Mantegazza, che ritenendo il libro molto utile alle massaie e cuochi, per le materie prime usate e i modi di preparazione, nonché per aver tenuto conto dell’alimentazione degli stomaci deboli e aver indicato norme di igiene, lo definì opera buona donata alla società e augurò tante edizioni.
Ad oggi le edizioni sono state 112, a fronte di circa 948.000 copie stampate! Fu il pubblico a decretare il successo del libro. La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene raggiunse la popolarità tanto da rimanere ancora in stampa ad oltre cent'anni di distanza.
Artusi poté curare le prime quindici edizioni, dal 1891 al 1911, susseguitesi con grande rapidità. In questo lasso di tempo le ricette, che spaziano dagli antipasti fino ai dolci, aumentarono da 475 a 790.
Alla sua morte, avvenuta nel 1911, egli, non avendo figli, lasciò in eredità ai suoi due cuochi Marietta Sabatini e Francesco Ruffilli i diritti d'autore dell'opera, con i quali essi poterono vivere di rendita anche dopo lo scadere degli stessi, nel 1961.
Premesso che le ricette del libro sono storicamente inquadrate nella realtà economica e culinaria del Regno d’Italia appena nato, l’analisi di questo testo base della cucina ci porterebbe ad esaminare (e oggi anche criticare alla luce delle nuove conoscenze in tema alimentare) tanti aspetti dell’alimentazione affrontati dall’ Artusi, ma (come nel titolo di questo articolo) ci interessa discutere su un aspetto: questo testo si può inquadrare come opera di cucina nazionale o regionale?
Artusi nasce nel 1820 a Forlimpopoli e da 1852 abiterà per oltre 50 anni a Firenze, per esercitare l’intermediazione finanziari e dedicarsi alle sue due passioni: la letteratura e la cucina.
L’asse portante della sua cucina è la cultura gastronomica tosco - romagnola. Da giovane accompagna il padre, spostandosi con vetture a cavalli, tra i mercati di Rovigo e Senigallia (quindi dal Veneto alle Marche); valica gli Appennini fino a Livorno (Toscana).
Con lo sviluppo delle ferrovie riesce a conoscere anche Napoli, Roma, Padova, Milano e Torino, ma più di tutte frequenta Bologna e le sue buone tavole. Grazie alla sua conoscenza di tante località italiane, nel 1891 dà alle stampe “La scienza in cucina”, una sua guida gastronomica comprendente i territori del Granducato di Toscana, dello Stato della Chiesa e di tutte le aree che si trovano al di sopra di questo sino al Polesine (area veneta nei pressi di Rovigo, tra il Po e l’Adige), mentre per il sud si ferma a Napoli.
Restano escluse dalla sua guida le regioni del Sud, tranne la Sicilia di cui pubblica le ricette di tre piatti (però nella seconda edizione dell’opera), mentre la Sardegna resta ignota.
Il modello a cui si ispira Artusi è quindi quello toscano – emiliano – bolognese, come si denota anche dai tipi di condimento : olio per la Toscana, lardo per Bologna e burro per la Lombardia. E’, quindi, una guida molto incompleta, ma nonostante ciò è stata per lungo tempo simbolo delle guide sulla gastronomia italiana.
Certamente ciò fu dovuto al fatto che l’immagine proposta da Artusi era quella condivisa da molti suoi contemporanei, esperti di cucina o gente semplice, secondo cui la cucina rappresentativa era quella di alcune aree d’Italia, con esclusine di altre come tutto il sud, visti anche i pareri estremamente negativi espressi dal Collodi sulla pizza napoletana e dall’Artusi sui maccheroni cacio e pepe venduti per strada a Napoli.
L’ Artusi costruisce, quindi, la sua guida sulle città in quanto rappresentative, con i loro mercati e i loro negozi, del contado, delle provincie e delle regioni. Nell’opera di Artusi compare anche la cucina locale e popolare, ma essa viene rappresentata nell’ambito della casa borghese e non come realmente è nella famiglia popolare.
Il fatto che Artusi basi la sua guida sulle città e non sull’italianità è dimostrato dall’uso dell’aggettivo “italiano” solo per i tortellini e il lesso rifatto, mentre nel descrivere ciò che accade nella cucina borghese egli usa termini come fine, delicato, signorile per indicare sommariamente le caratteristiche delle pietanza (condimenti, materie prime, profumi e sapori).
La diffusione della ferrovia, su cui circolano derrate e viaggiatori, favorirà questo modello regionale e parziale dell’Artusi, considerato che le ferrovie si sono sviluppate prima e molto al centro nord, lentamente e in ritardo al sud e nelle isole.
Altri autori (come l’Agnetti) condividevano la visione di Artusi di una “cucina nazionale” e e di una “Cucina delle specialità regionali”, da cui la necessità di pubblicare guide gastronomiche strettamente regionali.
Negli scritti di Artusi e di Agnetti, come di altri che condividevano le loro idee, si configura un’identità nazional – regionale attraverso piatti come gnocchi alla romana, agnolotti, cappelletti, ravioli, maccheroni, ecc.: sono questi i piatti che, pur differenziando in Italia le diverse regioni geografiche (o almeno quelle degne di rilievo per Artusi e company), rappresentano all’estero la cucina italiana.
Denominatore comune tra tutti questi piatti nazional – regionali, ricchi di italianità, è la pasta nelle sue diverse tipologie: questo elemento caratterizzerà i futuri ricettari simbolo della gastronomia italiana.
Gli alimenti possono, quindi, essere visti come i dialetti che pur caratterizzando una regione possono essere tradotti in italiano: ecco allora che da tante differenze emergono dei caratteri comuni tra le diverse cucine, caratteri che possono ben rappresentare, perciò, all’estero la cucina italiana, perché comuni tra le regioni d’Italia (abbiamo detto della pasta, ma si potrebbe dire lo stesso del vino e dei vari tipi di pizza e focaccia).
Possiamo concludere allora che Artusi diventa per le massaie il “padre della cucina Italiana” in quanto ha saputo, attraverso le differenze regionali, cogliere i caratteri comuni tra i diversi modi di cucinare presenti sul territorio, riuscendo in tal modo a presentare oltre confine una cucina italiana.
Note bibliografiche e sitografiche
- P. Artusi , La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, Ed. La Gazzetta del Mezzogiorno
- A. Capatti, M. Montanari , La cucina italiana, Ed. Laterza
- www.pellegrinoartusi.it
0 Commenti